Emilio Rentocchini, da “Terra operaia”

Ottave Scelte

                           a Marco Santagata

Voi credete
forse che siamo esperti d’esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.
Dante Alighieri

I (29)

Luna pugeda a l’ourel dla campagna,
là in do l’as curva e an se sa piò s’l’è d’erba
o d’aria o d’aqua o d’eter quel ch’as lagna
al vód susùr ed l’orba; termer şerba,
eter l’an pól la luna, acsè cumpagna
a n’anma in sbingaioun s’un corp ch’an gherba,
na povra lus dedrê dal ciminiér
ch’el tìren vers al sél soul per mistér.

Luna posata all’orlo della campagna,
là dove s’incurva e non si sa più se è d’erba
o d’aria o d’acqua o d’altro qualcosa che si lamenta
il vuoto brusio del buio; tremare acerba,
altro non può la luna, così simile
a un’anima in bilico su un corpo che non le garba,
una povera luce dietro le ciminiere
che tendono al cielo solo per mestiere.

***

Quand po’ la tera l’as descróv areisa
e a per penser la cà dal cantunér,
quand tótt el dmand el ièin seinsa preteisa
e a perla d’eter l’ultem gest alsér
di camp cumpiû setta la lus desteisa
ad aspeter, a per ch’agh sia al mistér
in el móti paroli ch’at suvén
ma l’è l’amour, sfrisiê, ch’al se tratén.

Quando la terra si discopre arresa
e sembra pensare la casa del cantoniere,
quando tutte le domande sono senza pretesa
e parla d’altro l’ultimo gesto lieve
dei campi compiuti sotto la luce distesa
ad aspettare, pare che ci sia il mistero
nelle mute parole che ti sovvengono
ma è l’amore, lambito, che si trattiene.

***

III (57)

Al can dal rutamer a la cadeina
al cór dla not con strelli méssi a ches
al cer dal Seccia setta al punt, apeina,
la laméra ch’la siga ad ogni sques
dal veint: s’agh fóssa dio l’an gh’srév sta peina;
al frantoi di Caran ch’al sa m’al tes
la spersa vóia d’eser piò luntan,
d’n’eser, de ster pasê, d’aveir invan.

Il cane del rottamaio alla catena
il cuore della notte con stelle messe a caso
il chiarore del Secchia sotto il ponte, appena,
la lamiera che geme ad ogni moina
del vento: se dio ci fosse non ci sarebbe questa pena;
il frantoio dei Carani che sa ma tace
la spersa voglia d’essere più lontani,
di non essere, di sostare superati, di avere invano.

***

IV (58)

La gera la gira in la bituméra
la grata la grida la gréppa al cór,
l’è come al ciacarer ed la galéra,
come se po’ lè deintr al nas e al mór
monòton al dulour dla véta intéra,
e gnanch memoria, e gnanch pergher da sór:
soul geinta seinsa, sè, soul geinta gera.
Meinter ch’a vén şò l’orba, sta gatera…

La ghiaia gira nella betoniera
gratta grida grippa il cuore,
è come il chiacchierare della galera,
come se poi lì dentro nasca e muoia
monotono il dolore della vita intera,
e neppure memoria, neppure pregare di suore:
solo gente senza, sì, solo gente ghiaia.
Mentre discende il buio, tutta questa cagnara… Continua a leggere

Elena Salibra, “Dalla parte dei vivi”

ESTRATTO DALLA PREFAZIONE DI MARCO SANTAGATA

Lette in successione, le cinque sillogi raccolte in questo libro mostrano una impressionante maturazione: in quel bruciare i tempi viene progressivamente incenerito ciò, che, pur essendo significativo, non è essenziale. Emerge con nettezza un percorso che dalla sincerità approda alla verità, percorso non a caso speculare, e quindi in apparente contraddizione, a quello che dalla focalizzazione linguistico-espressiva approda alla apparente facilità comunicativa.

Non è una conquista di autenticità, è l’effetto di un fenomeno più profondo, che quasi con violenza ha imposto al soggetto di rivedere le proprie gerarchie di valore e, nello stesso tempo, lo ha costretto a denudarsi. Questo qualcosa è la malattia.

Da qui parte la seconda stagione poetica di Elena Salibra, caratterizzata da un impietoso cadere di veli, di schermi e di alibi. Il nucleo è la rinuncia, forse più imposta che voluta, alla pretestuosa distinzione fra l’io lirico e l’io biografico, dunque al pudore e alla vergogna.

Chi è consapevole di non avere un futuro, non trova più consolazione nel passato: nutre la sola imperiosa esigenza di comunicare questo suo presente, questa sua condizione, l’unica che riesce a concepire. Lo schermo dell’io letterario cade. La voce di Elena si accampa sola. Sola e straordinariamente limpida, ferma, consapevole, ferocemente sincera, e spudorata.

Da “NORDICHE” (2014)

LEGGENDO STEVENS

calpestavamo la gramigna estiva
dietro la casa mentre esplodevano
nuovi germogli oltre la barriera d’alloro.

il sole era alto già quando la piccola
elena di anni due s’accostò alla panchina
per chiedermi cos’era quel tondo di fuoco
in mezzo al cielo. risposi che serviva
per riscaldare la terra ma lei

non era convinta e m’incalzò
con nuove domande. poi d’un tratto
si mise a inseguire la flottiglia
di colorati velieri dentro la vasca

colma col suo sguardo di seta liscio
come una marina di luglio Continua a leggere

Marco Santagata e Vincenzo Manca, “Un meraviglioso accidente”

Come è nata la vita sulla Terra? Come si sono formati gli organismi viventi a partire da materia inerte? Qual è il segreto del meccanismo riproduttivo che assicura una sostanziale identità tra gli individui della stessa linea generativa? E, infine, dove si colloca la specie umana in questo strabiliante anche se sempre meno misterioso processo?

Per rispondere nel modo più semplice a domande così complicate un matematico-informatico, Vincenzo Manca, e un letterato-scrittore, Marco Santagata, hanno scelto di raccontare la nascita e l’evoluzione della vita sul nostro pianeta, a partire dal Big Bang, come la sceneggiatura di un film, descrivendo con la giusta tensione narrativa ambienti, personaggi, azioni, sequenza cronologica e i passaggi indispensabili per seguirne la trama.

Così, pagina dopo pagina, incontriamo tutti i principali protagonisti – atomi, molecole, monomeri, polimeri, membrane, cellule, cromosomi, organismi e specie – e le svolte epocali di quella grandiosa e meravigliosa avventura iniziata 3 miliardi e 800 milioni di anni fa con la comparsa della protocellula LUCA, un aggregato di molecole in grado di generare copie di sé capaci di generarne altre, dalla quale provengono tutti gli esseri viventi.

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Alperoli/ Bertoni/ Rentocchini, “Come cani alla catena”

dall’introduzione di Marco Santagata

Rieccoli, eccoli di nuovo qui i tre poeti di Recordare. E però, quanto mutati da quelli! Per sei anni – tanti ne sono passati da quella raccolta – ciascuno dei tre ha seguito la sua stella lungo una rotta che non solo lo allontanava dal porto di partenza ma che anche lo divideva sempre più da quella degli altri due. E così, adesso, il loro ritrovarsi in uno stesso porto a tutta prima ha un po’ l’aria di un appuntamento al quale si è voluto mantenere fede, diciamo, un debito pagato all’amicizia, un modo per non perdersi di vista. Tuttavia si sa che le prime impressioni sono quasi sempre ingannevoli. Continua a leggere