Il cane del nulla

Mario Benedetti, poeta italiano. Foto di proprietà dell’autore

di Andrea Cortellessa

«Scusatemi tutti.»

 

Due foto, alla fine della storia. La prima l’hanno vista tutti; è quella del Mario Benedetti “sbagliato” messa in pagina da «Repubblica». L’altra l’ha scattata Viviana Nicodemo e l’ha pubblicata qui Milo De Angelis. Due immagini che, come si dice, dicono più di mille parole. La prima dice della trasandatezza criminale del nostro tempo (dove a fare più rabbia è la coazione burocratica di dover “coprire” – nel minor tempo possibile, con la minore cura possibile – un “fatto” di cui non frega nulla; perché nulla, in verità, frega di nulla; e allora meglio, tanto meglio, sarebbe stato il silenzio – cioè il nulla, appunto). La seconda, semplicemente, continuerà a guardarci a lungo. (Ma tutte e due si riguardano; l’una non si capisce senza l’altra: e per questo, insieme, ci riguardano.)

E poi il video. Esequie in remoto: come tutto, ormai (ma come tutto, al di là delle apparenze, già era diventato da un pezzo). È stato detto che ricordano quelle di Mozart nella fossa comune. Già; ma quella che ci ricordiamo è la scena di Amadeus, dove lo squallore aveva un suo accattivante package hollywoodiano; era uno squallore glamour. Qui invece lo squallore ha la brutalità, la letteralità della plastica e del cemento, del vento freddo nel microfono; delle parole al vento di un prete impaurito, che va di fretta. Lo squallore osceno di chi, a futura memoria, comunque registra; e di chi, come me in questo momento, comunque propala. Continua a leggere

L’umile scrittura di Mario Benedetti

Mario Benedetti, poeta italiano, foto di proprietà dell’autore

di Giancarlo Pontiggia

Ho qui davanti a me La casa, il libretto con il quale Mario Benedetti, appena trentenne, esordiva nel 1985 per le edizioni «Polena» di Emy Rabuffetti.

Non versi, ma una lunga prosa divisa in sei parti e trentun capitoli: non versi, eppure già versi, perché la poesia di Mario non è tanto una poesia che va verso la prosa, quanto una poesia che sbalza fuori dalla prosa, tra i buchi, gli strappi, le ferite, i rari baluginii di una scrittura esilissima che deve per forza farsi poesia, per non morire del poco e del niente al quale si è offerta.

Una scrittura umile, porosa, proprio come le cose, le strade, le stanze di cui è pervasa, che non vengono però descritte, e neanche evocate: sono materia che fluttua in vortici freddi, scuri, quasi annichiliti, come se venissero da lontano, da una terra che non è più nostra, da una sorta di ade raggrumato: ombre, non corpi. Anche per questo il poeta sente il bisogno di reduplicazioni, quasi avvertisse l’esigenza di trattenere un oggetto, un nome, una parola, prima che si inabissino nel nulla, nello «Sprigionato nulla» di Pitture nere su carta: «Dove dicono che sia il cielo, dove dicono che sia il cielo» (V). Così come, più di vent’anni dopo: «Un sabato, un sabato, un sabato, / anni». Un grido di inappartenenza che si slancia in coaguli ripetuti, dove lo stesso nome sembra in realtà volgersi al suo vuoto, al niente in cui si versa.

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Franco Buffoni, per Mario Benedetti

Mario Benedetti (poeta italiano)

Caro Mario,
sei finito a Piadena, in provincia di Cremona, nel momento peggiore: il luogo meno indicato per poter sopravvivere nella primavera del 2020. Ma lì c’era Donata che poteva venirti a trovare.
Ricordo quando ti preoccupavi per lei e mi telefonavi, ma lei non doveva saperlo.

Ricordo Giuseppe Genna, che vi frequentava nei tempi belli a Milano.
Ricordo anche il tuo esordio in poesia: per poco non finisti nei Quaderni, come Stefano e Antonio e Gian Mario. Tu eri un po’ più vecchio e restasti fuori.

Ricordo quando mi venisti a trovare all’oncologico di via Ripamonti: nel 2000, ero appena stato operato di cancro al polmone. Era anche appena uscito Il profilo del Rosa. E subito dopo apparve il libro di Stefano Ritorno a Planaval. Quando ti ebbi ben spiegato l’intervento subito, durato sei ore, ti limitasti a dirmi che si vive bene anche con un polmone e mezzo: “L’importante è che funzioni questa”, e con l’indice della mano sinistra ti toccasti la fronte. Continua a leggere

La stanza dei poeti

Mario Benedetti e Luigia Sorrentino a “Ritratti di poesia”, Roma, 28 gennaio 2014. Credits ph. Dino Ignani

E’ stato un grande sogno vivere
di Luigia Sorrentino

Se io dicessi: “Questa è la stanza dei poeti”. Quanti ne entrerebbero e quanti ne uscirebbero?

(Silenzio)

Che cosa determina e definisce il poeta e la poesia?

(Silenzio)

Il successo in vita di una persona che scrive poesie, è decisivo?

(Silenzio)

Quando il valore di un poeta o di una donna poeta è indiscutibile?

(Silenzio)

Valgono forse premi, riconoscimenti a definire il valore di un poeta o di una donna poeta?

(Una voce, la mia)

Forse in alcuni casi sì. I Premi e i riconoscimenti internazionali possono avere un valore. Continua a leggere

Mario Benedetti (poeta italiano)

Mario Benedetti, credits ph Dino Ignani

Povera umana gloria, quali parole abbiamo ancora per noi?

di Claudia Crocco

Quando ho incontrato per la prima volta Mario Benedetti, era appena morto Mario Benedetti. Mi è tornato in mente leggendo i post Facebook di chi segnalava l’errore di «Repubblica». «Repubblica» ha pubblicato un articolo sulla morte di Mario Benedetti poeta italiano, ma corredato dalla foto di Mario Benedetti poeta uruguaiano. Mario Benedetti poeta uruguaiano è morto nel maggio 2009, quando io ho conosciuto Mario Benedetti poeta italiano. Mario Benedetti poeta italiano ci rideva su, aveva ricevuto chiamate che chiedevano conto di quella presunta morte. Chissà cosa direbbe oggi, vedendo la foto sbagliata associata al suo nome su un giornale nazionale. Penso che si arrabbierebbe, perché si arrabbiava spesso per cose del genere – per il mancato riconoscimento dato a lui e alla sua poesia. Per ricordarlo, ho deciso di scrivere di questo.

Ci sono varie idee di poesia oggi, spesso concorrenti fra loro. Benedetti non fa nulla per sembrare à la page: non esita a usare la prima persona, parla di ricordi privati e personali, talvolta si rivolge a un tu femminile. Per il pubblico della poesia italiana del ventunesimo secolo tutto questo è terribilmente fuori moda. Umana gloria, infatti, non ha ancora avuto il riconoscimento che merita. Eppure Umana gloria è uno dei libri cult fra i venti-trentenni che appartengono alla ristretta cerchia di cui sopra. Come si spiega? Credo che, alla base, ci sia un’originalità che Benedetti condivide con pochi altri: da Umana gloria a Tersa morte, ci mostra come sia possibile scrivere poesia lirica senza essere desueti. Questo esercita ancora un certo fascino su chi inizia a scrivere versi oggi. Ecco un esempio: Continua a leggere