Opere Inedite, Davide Zizza

Oggi a Opere Inedite incontriamo Davide Zizza – qui accanto fotografato in un giorno importante – nato a Crotone il 16 febbraio del 1976, nello stesso giorno e nello stesso mese in cui nacquero Giorgio Saviane e Luigi Meneghello, mi scrive Davide. 
Davide vive a Crotone e lavora in un call center.  La laurea in lingue e letterature straniere – come lui stesso racconta – l’ha appesa al muro del suo studio: «testimonia la mia prima, imprescindibile, passione per le lingue e la traduzione». Ma – precisa Davide – sin dall’adolescenza, «ho riservato altrettanta passione per la poesia». 
La poesia di Davide mi è piaciuta per la discrezione, per il rapporto diretto e semplice che Davide ha con la parola, fuori da ogni retorica.
Davide  è un appassionato bibliofilo, «ha fame d’arte», mi scrive, ed ha un vero interesse per la lettura. I suoi maestri sono «tanti, e sono soprattutto quelli che mi aiutano a cambiare visione». Davide mi racconta di essere nutrito da un’antica devozione per Borges, e poi Pavese, Sciascia, Caproni. Mentre, i suoi poeti contemporanei sono Enrico Testa, Cesare Viviani, Gianni D’Elia, Maurizio Cucchi.  Continua a leggere

Monodia, addio a Mario Trevi

Qualche tempo fa ho avuto diversi incontri con Mario Trevi – uno dei primi e più autorevoli psicoanalisti junghiani italiani – scomparso, all’alba del 31 marzo nel 2011.  
Ero andata da lui perchè non riuscivo a rassegnarmi all’ineluttabile morte di una persona a me cara. 
Avemmo in tutto ventisei incontri. Ventisei dialoghi in cui parlammo con commozione e stupore di quel confine che ciascun essere umano raggiunge a un certo punto, quando è necessario lasciare la propria vita. Parlammo dell’importanza del rapporto tra l’uomo e la natura e “di quel dolore”  ineluttabile della morte.

Con Mario Trevi, nato nel 1924 ad Ancona, tornai a rileggere I dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. In quei dialoghi il mito viene riproposto come necessario e la poesia, ad esso intimamente legata, si rivela, al tempo stesso, la cifra, misteriosa e crudele.  
di Luigia Sorrentino

(Nella foto, Mario Trevi, ritratto nel suo studio da Luigia Sorrentino) 

Continua a leggere

PoEtiche, biografia e memoria

Quinta giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, venerdì 15 ottobre all’ Istituto Statale di G. Caetani di Viale Mazzini 36, dalle 10 alle 12, Florinda Fusco, Giovanna Marmo, Marilena Renda, Silvia Salvagnini incontrano gli studenti.
Dalle 11 alle 13 alla Libreria Empiria di via Baccina 79 si terrà il laboratorio di lettura di poesia ad alta voce / 2. La vocazione poetica con Rosaria Lo Russo. Dalle 15 alle17 laboratorio di scrittura poetica / 2. Buongiorno Poesia con Anna Lamberti Bocconi.
Nel pomeriggio, alla Biblioteca Vaccheria Nardi, di via Grotta di Gregna 27, dalle 18 alle 20: lettura / dibattito ‘Poesia/biografia/memoria’ con Gabriella Musetti, Maria Pia Quintavalla, Lisabetta Serra, Luigia Sorrentino.
In serata, all’ESC di via dei Volsci 159, dalle 20.30 ‘lettura / musica / video’Poetesse & Poete’ con Cristina Ali Farah, Silvia Bre, Antonella Bukovaz, Maria Grazia Calandrone, Elena Chiesa, Tiziana Colusso (con il soprano Carmen Petrocelli), Biancamaria Frabotta, Florinda Fusco, Francesca Genti, Vivian Lamarque, Mia Lecomte, Rosaria Lo Russo, Giovanna Marmo, Francesca Matteoni, Brenda Porster, Jonida Prifti, Ida Travi, Maria Valente. Musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project. Spazio video: Genealogie presentazione di Fragili guerriere (video di Daniela Rossi per romapoesia 2010) e di altri video.

(Nella foto Biancamaria Frabotta)

http://romapoesia.blogspot.com

Mario Benedetti, Materiali di un’identità

In “Materiali di un’identità” (Transeuropa Edizioni 2010, euro 9,50) – prefazione di Antonella Anedda – Mario Benedetti ci presenta una nuova poetica, di forte impatto emotivo.
L’autore calandosi nella sua relazione più intima – l’esperienza della poesia – smaterializza, decompone, disintegra, l’identità dell’uno per consegnare al lettore un corpo poetico dai molteplici significati, chiusi all’interno dell’opera.
Il libro è suddiviso in sei sezioni, La lacerazione del vertice, Ti ricordi?, A metà sulla terra, a metà nel cielo, Maggio 2009 (Intervista con Claudia Crocco), Mi ricordi?, Biosfere.
Ne La lacerazione del vertice scritto in una tipologia testuale saggistica, Benedetti spezzetta frammenti di identità che sospendono il materializzarsi di una sola – di soltanto una – identità e, al tempo stesso, compatta e aderisce a un percorso poetico assoluto che l’identità contiene e ricompone, attraversamento che si realizza a partire da un’iniziazione, un reclutamento.
Chi è veramente quella persona in cui vive e si muove la poesia?
Benedetti sa e non sa.
L’identità del poeta è e rimane un’entità misteriosa. Di essa si può dire solo che è nascosta nel fondo dell’essere e che viene rivelata dalla parola che si fa poesia.
Come accede Benedetti a quel fondo?
“So da chi iniziare e come”, scrive, “ma fino a un certo punto”.
Dopo questa ammissione e presa di distanza (so-non so) Benedetti spalanca il suo laboratorio segreto: il filosofo Michaelstaedter innanzitutto, ma anche Apollinaire, Bataille, Rilke, Celan, Bonnefoy e, Beppe Salvia. Tutti i reclutati hanno un comune denominatore, parlano della stessa cosa, l’anima del mondo.

La “trasparenza” produce “frammenti” scrive Benedetti. Eppure e da lì che viene il dato concreto, esperienziale. Il discorso parte da questi materiali e procede per brandelli – assonanze, interruzioni, intermittenze – fino a raggiungere “la scossa estetica”, il brivido che percorre la colonna vertebrale quando ci si trova di fronte a un’apparizione, a un’immagine divina.

Da quel lontano arriva il timbro inconfondibile della parola che innalza il corpo della poesia: “Gente passava e vi cercavo il mio corpo./ Tutti quelli che sopraggiungevano e non erano me stesso portavano a uno a uno (forse a due a due, coppia amante) i pezzi (gli arti) di me stesso. Mi costruivano a poco a poco come si innalza una torre. Popoli si accatastavano e io apparivo / formato da tutti i corpi e le cose umane.” Qui Benedetti riprende e traduce la prima strofa della poesia Cortège dalla raccolta Alcools di Guillaume Apollinaire. Il discorso però si interrompe bruscamente: “Mi fermo al primo corpo”, scrive Benedetti, “oltre non so andare”. Un atto di rinuncia dopo un’estrema tensione nel corpo della poesia, nell’angoscia-lacerazione, il silenzio, la parola che si chiude, il sacrificio – rendere sacro – il separarsi da – atto propiziatorio – non proseguire, non andare oltre, perché in quel primo corpo c’è già tutto. “Addio versi di Cortège”, scrive Benedetti, “addio torre innalzata. Popoli. Ho le pastiglie per la notte. Guardo i comignoli mentre altri guardano altro. Vado a letto tra poco. E’ tutto.”
Ed è proprio là, nella battuta di arresto, in quello spazio e in quel tempo indefinito, che il vertice si lacera.

“Spiel mit mir ein Spiel, Spiel mit mir ein Spiel” (gioca con me un gioco , gioca con me un gioco) scrive Benedetti riportando una frase tratta da Sehnsucht dei Rammstein. “Tutto si fa diverso – registra il poeta – in questo fragore. Persecutorio. Ossessione compulsiva che non libera. Accompagna. Si ripete.”

Vi è esposizione del corpo in questo libro, materia, ma anche eccedenza della materia. Perché è traboccando, debordando, che si vanifica il senso del nostro limite, la finitude di cui scrive Benedetti richiamando Bonnefoy che “è tutta dappertutto”. Ecco che i materiali del poeta sfiorano o fuoriescono da altri materiali senza mai del tutto concedersi a uno solo. Materiali che sono, ancora una volta, riconoscimento – so da dove vengo – ma anche separazione – non so chi sono -.

“Terrore per la dismisura” scrive Benedetti “di fronte a cui la via seguita non è l’eccedere, l’ ‘ esplodere’ di Bataille ma l’implodere…” E ancora è il “bianco” di cui parla Beppe Salvia a “snebbiare le parole”, ad avere l’effetto di annullare ogni relazione tra le cose, fino a renderle equivalenti, a placare la tensione dall’interno, a scaldare la misura , “la bianca bianca eroina”…

Il corpo tragico di Benedetti si spezza, più e più volte, nel silenzio: “L’intimo della cosa è la sua discrezione, riservatezza, il suo saper mantenere un segreto, ed è pure il suo incantesimo, il suo rimanere ‘incantata’, in qualche modo un suo particolare silenzio.”
Chiuso nell’invisibile, nel vuoto della parola, il corpo indomabile precipita: “Riguardo al mio morire è stato per me un difendersi, un difendersi strenuamente. Non più. Ma non faccio fatica. Come dentro un’epidemia vivo nel casuale.”
La materia viva si contrappone o si sovrappone a altra materia, fino a diventare crosta, strato su strato, come nei gretti di Burri, ma essa è anche materiale umano nel suo disfarsi, che si porta verso il morire.

Figure si schiariscono in forme e essenze che non ci sono, o che non ci sono più: “Essere qui è molto”, scriveva Rilke nella nona elegia, la penultima, “tutto qui ha bisogno di noi”, ma questo stato, questo stato terreno, non sembra revocabile, ci accade una sola volta. Mai più. L’essere transitorio, perituro, caduco di cui parla Benedetti è il non revocabile, il terreno, di cui parla Rilke. Ecco dunque che nell’ultima sezione Biosfere, il poeta ci parla di un fegato “appuntato con gli spilli”, prima di cadere nella malattia del “poco respiro”, dove si soffoca: “… lo so,/ che tutto è qui, adesso, con tutto quello che c’è, di me e di noi.”

di Luigia Sorrentino

«Sono uscito di mattina prima di partire, di corsa fino alla chiesa per vedere l’interno. Ho preso del vino, delle caramelle per il viaggio. Ho fatto colazione. Non so, cosa dovevo fare?
Che cosa si deve fare? Dico anche i vestiti, il caldo alle mani, il guardare le mani rigirandole…»
Da ‘Materiali di un’identità’ di Mario Benedetti

Mario Benedetti è nato a Udine nel 1955. Vive a Milano.
Ha pubblicato fra l’altro le raccolte I secoli della Primavera, Sestante, Ripatransone 1992, Umana gloria, Mondadori, Milano 2004 e Pitture nere su carta, Mondadori, Milano 2008 (Premio “Stephen Dedalus” 2009).
Ha tradotto il volume antologico delle poesie di Michel Deguy, Arresti frequenti, Luca Sossella, Roma 2007. Ha curato per gli Oscar Mondadori l’antologia Bloggirls – Voci femminili dalla Rete. Collabora all’Almanacco dello Specchio di Mondadori.