La vocazione lirica di Maurizio Brusa

Periferia del Domino

(da Grammatica del Silenzio, Manni, 2008)

ad Alessandro B.

L’uomo tace.
Si ferisce dormendo:
alla terra quel ch’è dovuto.
Al cielo l’ordine di restare sospeso.

*

Non è compito mio
il tubo dell’acqua.
Quel che c’era da fare l’ho fatto.
Ho venduto il vendibile:
a moneta di scambio il disegno di Ruth.

*

in breve
le incomprensioni
i buffi litigi
(capì
quel suo modo
di aderire alla luce
di opporsi
inevitabile
nella perenne vigilia del corpo)

*

più debole
insidiosa
la goccia
ferendo le ossa
muovendo la terra
(l’erba velenosa
ti dico
è più saggia)

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Adrienne Rich

Adrienne Rich

I

Una conversazione inizia
con una menzogna. E chiunque
parli la cosiddetta lingua comune avverte
lo spaccarsi dell’iceberg, la deriva
come impotente, come contro
una forza della natura
Una poesia può iniziare
con una menzogna. Ed essere strappata.
Una conversazione segue altre leggi
si ricarica con la propria
falsa energia. Non può essere
strappata. Ci si infiltra nel sangue. Si ripete.
Con la sua punta irreversibile incide
l’isolamento che nega.

II

Il programma di musica classica
che per ore e ore risuona nell’appartamento
il sollevare e risollevare
e sollevare ancora il telefono
le sillabe che scandiscono
ora e sempre il vecchio soggetto
la solitudine del bugiardo
che abita la rete convenzionale della bugia
gira i comandi per affogare il terrore
sotto la parola non detta
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Vittorio Bodini

Vittorio Bodini

Da Foglie di tabacco (1945-47)

1.
Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia d’un dado.

4.
Quando tornai al mio paese nel Sud,
dove ogni cosa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi dei morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.

Quando tornai al mio paese nel Sud
Io mi sentivo morire.
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Philip Larkin

Philip Larkin

 

 

 

THIS BE THE VERSE

They fuck you up, your mum and dad.
They may not mean to, but they do.
They fill you with the faults they had
And add some extra, just for you.

But they were fucked up in their turn
By fools in old-style hats and coats,
Who half the time were soppy-stern
And half at one another’s throats.

Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
And don’t have any kids yourself.

SIA QUESTO IL VERSO

Mamma e papà ti fottono.
Magari non vogliono farlo, ma tant’è.
Ti trasmettono le loro antiche meschinità
E aggiungono qualche extra, solo per te.
Però anche loro sono stati fottuti
Da alienati con cappelli e cappotti fuori moda,
Che passavano metà del tempo a poltrire
E l’altra metà a ghermirsi la gola.
L’uomo cede all’uomo la disperazione.
Sprofonda come una piega costiera.
Quindi sbrigati a levarti da mezzo,
E non mettere al mondo alcun figlio.
(dalla raccolta High windows, 1974)

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Golan Haji, “Le poesie che scrivo iniziano, come me, ad allontanarsi dalla Siria. Sento che la fine si avvicina”

Golan Haji

di Luigia Sorrentino

Ho incontrato per la prima volta Golan Haji poeta curdo- siriano (migrato  in Europa nel 2011) a Roma, il 15 maggio 2017, in occasione dello spettacolo CANTI D’ESILIO, con musiche di David Lang, Carlo Galante, Carlo Putelli, Matteo D’Amico. Lo spettacolo proponeva per la prima volta al pubblico versi di Golan tradotti in italiano.

Poco tempo dopo, ho incontrato nuovamente Golan Haji a Parigi, città dove vive. Il nostro secondo incontro ha generato questa sorta di “Racconto autobiografico” che Golan ha scritto in inglese, qui riportato anche nella traduzione in lingua italiana.

Naturalmente prima di conoscere personalmente Golan, avevo già letto il suo primo libro di poesie pubblicato in Italia: “L’autunno qui è magico e immenso”, traduzione dall’arabo di Patrizia Zanella, a cura di Costanza Ferrini (ed. Il Sirente, 2013).

La lingua madre di Golan è il curdo, ma le sue poesie sono scritte in arabo. Qualche volta Golan le traduce in inglese.

Leggendo la poesia di Golan ho incontrato l’orrore e la disperazione della guerra in Siria, il silenzio che tutto copre, ma anche la bellezza e l’amore. La guerra è per il poeta siriano un colpo contundente che colpisce e ferisce la sua terra d’origine, ma la sua lingua è magica, lenisce le ferite e cammina, viene verso di noi e ci tocca, intimamente, ci tocca.

Scrigno di dolore

Ti sostengo,
seppure debole come te, io ti sostengo.
Non come una mano che sorregge il mento di un saggio,
né come un invalido che aiuta gli invalidi,
né come un bastone che un cieco
infila nelle foglie cadute sul marciapiede,
né una palla su cui i pagliacci stanno in equilibrio
come se fosse un unico pianeta
a ruzzolare su questo folle pianeta.

Io, che sono lontano,
ti sostengo nella solitudine,
come un dito che va sulla gota di una vedova,
vibrando come una freccia appena scoccata,
mentre gli brilla sulla punta un cristallo di sale
che risale all’occhio che l’aveva versato
inondato di ombre e ali.

 

di Golan Haji

La mia prima raccolta di poesie si intitola “Chiamò nelle tenebre” ed è stata pubblicata nel 2004. Ha vinto il premio Mohammad Al-Maghout.

Al-Maghout era un importante poeta siriano, considerato un pioniere del verso libero e della prosa nella poesia araba modernista. Prese parte al movimento che c’era dietro la rivista Poesia negli anni ’50. Quel movimento modernista cambiò profondamente la poesia araba nella seconda metà del XX secolo, sebbene Al-Maghout non dimostrò mai interesse per nessun movimento. Diceva che l’unica ragione per cui era diventato membro del Partito Nazionalista Siriano era il camino nel suo ufficio, per lui che nella sua città natale era uno senza un soldo. Continua a leggere