Le poesie in prosa del danese Carsten René Nielsen

Carsten René Nielsen

NOTA DI LETTURA DI DAVIDE CORTESE
(Genova, 2021)

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Leggendo le prose di Quarantuno oggetti di Carsten René Nielsen (Taut, 2021) si ha la certezza di avere sotto al naso uno poeta fiducioso: fiducia verso la propria scrittura, verso la «metafora» che ne comprende l’insieme e anche verso i propri lettori. Fiducioso, sì, però nei confronti di chi scivolerà fra i suoi testi la fiducia non sembra essere riposta nella capacità di un approccio corretto, quanto di seguire in maniera ligia i suggerimenti che l’autore dissemina. Le prose, infatti, sono scritte a testimonianza di se stesso e con un gran da fare di ornamento. La pratica è questa: a partire da un oggetto («cannuccia», «frigorifero», «motosega» ecc.) si costruiscono scene – quasi tutte isometre, suggerendo così l’idea di serie – che ospitano o si deformano fino ad assumere aspetti meccanicamente stranianti.

La scrittura di Nielsen, già pubblicato in Italia nel 2014 per EDB, era stata indicata come un «surrealismo nordico» e, in effetti, scorrendo questi Quarantuno oggetti, non sono poche le volte in cui i poeti del movimento si affacciano. Ma l’autore avverte: le sue prose non hanno «niente a che vedere col surrealismo»; e c’è da credergli: anche se l’ostinata stravaganza dei testi spinge ogni volta a chiedersi il perché di cosa si va leggendo, quella si compie nell’esatto contrario: non indica un sovrappiù soggiacente agli oggetti e nemmeno qualcosa che occhieggia sopito.

Le prose suonano a vuoto. Nessun rimando. Ancora, in un altro testo, Nielsen poggia una mano sulla spalla del lettore e dice (equiparando la «metafora», la sua, a un «tappeto»): «Gli avevo spiegato che le metafore sono, discutibilmente, inevitabili ma che ciò non significa che debba sollevare un angolo per vedere se sia stato spazzato qualcosa lì sotto […] puoi sollevare un angolo […] sotto la metafora c’è solo il pavimento».

L’aspetto generale del libro e l’intento dell’autore sembra essere quello di una provocazione, raggirando il lettore fino al punto in cui tirerà il libro contro al muro: costretto a sfilare davanti a un autoritratto in forma di «poeta» diffuso e rimandato; il prossimo «quadro», la prossima prosa sarà quella decisiva.

Nielsen non lascia nemmeno la costernazione di dover apprendere ciò. Previdente anticipa e suggerisce la più giusta reazione: «per tutto il giorno sta seduto a guardarmi con il suo stanco sguardo malinconico. Sono certo che mi odia. Anch’io farei lo stesso. Sono io, dopotutto, che gli ho dato questo lavoro».

 

ESTRATTI

 

CALZINI

 

Salgo sul podio, avendo questa volta scelto di illustrare scene dalla Bibbia con due marionette fatte con vecchi calzini. È un fiasco tremendo. Vengo chiamato pervertito e blasfemo. Non solo i cardinali, ma anche il papa, usano le peggiori maledizioni contro di me. C’è un bel po’ di distanza tra me e gli spettatori furiosi, ma non riesco a evitare di essere colpito da schizzi di sputo. Rientrato in camera mi faccio la doccia e capisco all’istante come avrei dovuto farlo. Gli arabeschi delle frasi girano lentamente nel mio cranio come giostrine illuminate dai riflettori. Più tardi, mentre la Guardia svizzera fa le sue ronde notturne, sto seduto sorridente sotto il firmamento del gigantesco letto a baldacchino e ricomincio da capo: «Che luce sia», dice il calzino. Continua a leggere

Kathleen Jamie, “Accettare l’albero”

Kathleen Jamie

ALBERO SULLA COLLINA
KATHLEEN  JAMIE

C’era una volta una collina su cui cresceva un albero. Nel corso del tempo il vento l’aveva talmente assottigliato che, come un apostolo in un dipinto, sembrava allargare le braccia in un ampio gesto verso una gloria più grande, in questo caso il paesaggio sottostante.

A questo albero ti potevi appoggiare e osservare il fiume che diventava un fiordo, che si allargava per miglia e miglia mentre si preparava a incontrare il mare. Potevi osservarlo mentre si portava via non solo la pioggia invernale – addio! addio! ma tutto ciò che era necessario perdere.

E di quello ce n’era in abbondanza, ma sembrava che l’albero insistesse su qualcosa ancora più in là: oltre il ‘Braes of the Carse’ e le turbine eoliche, perfino oltre le montagne – un raggio di – cosa?

Beh, questo può funzionare in un modo o nell’altro. Potremmo restare quaggiù e sostenere che non è esistito né l’albero né, sicuramente, la distante consolazione. O forse accettare l’albero, un larice, essendo i larici tra gli oggetti di questa Terra. Ma la premonizione – no.

Concesso l’albero, tuttavia, chi può dirlo? Per quel che ne sappiamo potrebbe essere ancora là, un albero solo sulla collina. E se non un albero, allora una celidonia, che si ridesta al giallo. O una pietra che sprofonda. O il canto di un’allodola. O una lepre con i suoi occhi di mondo, in ascolto.

24/03/20

Traduzione di Giorgia Sensi
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Parmenide, nella lettura di Cagnone

 copertina del libro

ANTEPRIMA EDITORIALE – Parmenide e la modernità –

Dopo TORNARE ALTROVE (2015), CAMMINA MARE (2016) e INGENUITAS (2017) tutti pubblicati da La Finestra editrice, Nanni Cagnone esce con lo stesso editore con PARMENIDE REMASTERED (2019).
Il libro, che vi mostriamo in anteprima, è  di difficile classificazione, come spiega lo stesso autore in una breve nota qui sotto. Pensato e ripensato alla maniera di Cagnone. Continua a leggere

Ida Travi, “Dora Pal, la terra”

Con Dora Pal, la terra, Ida Travi procede nella sequenza poetica avviata con poesia dello spiraglio e della neve e proseguita nel tempo attraverso tre libri. In queste raccolte Ida Travi mette a fuoco la sua personale poetica centrata sui Tolki, esseri umani, esseri comuni, abitanti una strana terra e parlanti una lingua ridotta all’osso: figure senza tempo, ex studenti, ex lavoratori, venuti da chissà dove. Una vecchia, un uomo, una ragazza, un bambino. E intorno qualche sacco di farina, un campo, un recinto, un albero. Vre è solo una ragazza, questo è il nome che le è stato assegnato. Zet ha una benda arrotolata sulla testa. Kiv, il bambino, tira il carretto. Kiv è sottile come un filo d’erba. Dice la vecchia: “Cerca le parole e troverai le immagini’. Tra loro ogni tanto canta un usignolo. Tra loro ogni tanto compare Ur. La terra ritroverà il suo tremore. Nelle squame dei pesci, nei fossi, nelle ali degli uccelli. Dietro le porte dell’ex ufficio, in laboratorio. Nel sacchetto, nel secchio. Nel libro, nel fiore. E qui. Nell’androne. Qui. Sotto l’albero della decadenza… Continua a leggere

La Biblioteca di Mark Strand a Civitella

Mark Strand 

A novembre 2014 il mondo della poesia ha subito un duro colpo con la morte Mark Strand. Mark, che era un assiduo frequentatore dell’Umbria e della Fondazione Civitella Ranieri, aveva progettato una nuova visita per l’estate del 2015.  Il suo caro amico, il pittore Yale Bill Bailey, abita a pochi minuti dal Castello della Fondazione di Civitella Ranieri, e durante le estati in cui Mark era in Italia e non andava a Civitella, andava da Bill.

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