Salvatore Sblando, “Ogni volta che pronuncio te”

 

ogni-volta-che-pronuncio-teDalla prefazione di Davide Rondoni

Libro di argute sincerità, di dissimulata capacità letteraria: questo di Sblando offre i suoi momenti più forti quando – cedendo dai territori più sicuri della sagacia e della letteratura – quasi si perde, sgomento e quasi attonito, dinanzi a certe dismisure della esistenza. Intendo che una controllata composizione, una trama di riferimenti letterari tra gli assodati e conclamati non impediscono al tramviere «prestato alla poesia» di essere una «chiave da 14» che «tenta di stringere un bullone da 11». Il libro abita questa sproporzione, al limite tra l’ironico e il tragico. E la abita attraversando vari livelli del problema – già messo a fuoco da Montale – della inappartenenza. Che è poi il problema della poesia che nasce nell’ambito borghese contemporaneo, una poesia che sembra galleggiare in una espressione infinita e sfinita dell’io che appartiene solo a se stesso.

Sblando una poesia del genere non la vorrebbe, ma tale sua volontà non si esprime come fanno altri – più facilmente – in una forzatura ideologica che interviene in modo esteriore sul corpo della poesia, bensì soffre interamente la situazione dall’interno.

Mi piace quando riconosce qualcosa che attorno a lui gli parla una lingua non immediatamente decrittabile in pensieri e riflessioni […] E questa capacità percettiva, viva, si sposa talora ai movimenti dettati da vivacità e da una certa acribia auto-riflessiva.

Il lavoro di questo scrittore disincantato e acuto, per il quale non esiste la felicità ma la speranza, mi pare rappresenti un libro che dice di un’epoca, di un noi, e non sia solo lo strano diario di un tramviere.

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SIAMO

Siamo le parole che non scriviamo

quelle che pronunciamo

siamo gesti tra i pensieri

la carica a molla di un orologio

                                  da taschino

le poesie rubate ai malanni

                                di Ripellino

Siamo la voce che non sentiamo

nel diniego in trasparenza

                             di una amicizia

Siamo la luce infinita dei lucernari

la disciplina del sorriso di Mandel’stam

aperto come una strada,

                            non docile

                            non servo

Siamo l’assoluta ragione del consorte

la quiete nell’irrazionalità di una accusa

Perché voglio il silenzio in questa vita

l’urlo eterno nella mia discendenza

                                  dopo la morte

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Da: “Ogni volta che pronuncio te”, di Salvatore Sblando, La Vita Felice, 2014

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In copertina acquerello di Roberto Matarazzo

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Salvatore Sblando
nasce nel 1970 a Torino dove lavora come dipedente di trasporti pubblici. Membro del comitato di lettura della casa editrice La Vita Felice, organizza e partecipa a reading e a manifestazioni di poesia.
La sua prima opera di poesia, “Due granelli nella clessidra” (LietoColle, 2009) – giunta alla seconda edizione – ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti.

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