La terza raccolta di Sandro Pecchiari, L’imperfezione del Diluvio–An Unrehearsed Flood, è costituita da diciannove poesie bilingui sulla condivisione, sulla precarietà e sulla perdita.
Si tratta di testi asciutti e forti in cui il dolore si elabora e si cristalizza in immagini di esemplare e ficcante quotidianità: gesti scolpiti e sospesi, piccole epifanie e resistenze contingenti che si contrappongono all’incombente vuoto spazio-temporale. In tale contesto, i preziosi momenti di amore e di gioia scaturiscono con una forza dirompente e abbagliante: «che occhi limpidi che hai»; «il tuo sorriso ferma il fiume gonfio / … / tu mi riavvolgi».
La poesia, giocata su molti felici cortocircuiti di immagine e senso, asseconda e formalizza l’angoscia della dissonanza, la percezione di una crepa destinata ad allargarsi, sperimentando al tempo stesso l’equilibrio mirabile e illusorio di una spavalda, benché temporanea, saldatura: «una fanfaronata d’inverno / dentro maggio /allevia l’erosione dell’insicurezza»; «opporre due scalini, qualche asse / soccorrere abitudini / di stracci e scope»; «il non-tempo che allaccia / l’imperfezione del diluvio». Oppure, in una mirabile sintesi tra luogo e tempo: « …questo posto / s’accampa cauto negli addii / nell’attesa che si vada».
Colpisce la costante presenza di parole che alludono a tagli o trafitture: «Trieste rincorre / … / l’aria inerpicata / fiocinando campanili»; «allevia l’erosione dell’insicurezza / infìlzati»; «alto e fiero nel mio odio di siringhe»; «staccandosi la vita … prima di tagliare il filo»; «un coltello profondo mi mantiene in vita», metafore allo stesso tempo della minaccia del tempo (e del male) e del tentativo di opporvisi, suturando e ricomponendo.
Un’altra nota ricorrente è la presentazione “reificata” dell’assenza e del vuoto; assenza che diventa una presenza ingombrante e gravosa: «ora il patio è vuoto / vuoto il vaso /e non ne reggo il peso»; e anche: «L’essere privato di un passaggio / tra il vivere che resta / e te / mi fa immobile nella diminuzione /… / si cade/ per mancanza». L’assenza è associata spesso alla stasi, un’inerzia da cui provare a uscire con piccoli gesti dinamici e eroici: «noi cadaveri siamo così efficienti / spostiamo oggetti, interruttori / le stanze sussultano a ceffoni / sotto il nostro silenzio logorroico» in cui la sinestesia finale anticipa il finale ineluttabile, l’impossibiltà di “essere” (o farsi) rumore di fronte al peso del vuoto: «potrei alzarmi e sbattere le porte / ma non sarei rumore». Oppure nella bellissima chiusa dagli echi eliotiani della poesia XVI: «in questo cristallo d’aria / mi mostrerò le mani il mare gli occhi / vuoti / il vuoto dentro».
Se in queste liriche vi è una speranza, è nella tensione verso la mutabilità, verso un non meglio definito passaggio di stato, di condizione: «se il tempo accade, non mantenerlo eguale»; «l’essenziale è arrampicarsi / per sforzare i legami». Come nella splendida poesia IX, in cui l’allusione alla guerra di trincea – echi bellici compaiono anche altrove nella silloge, in termini come «s’accampa», «assedio», «allerta», ecc. – si erge a metafora dell’impari battaglia per un salvifico mutare di stato (nella guarigione? Nella morte?): «dormi come un soldato in trincea / la guerra dentro / il mio turno di guardia / ignora rancio e sonno e tempo // attendiamo di mutare / questa notte / tu sei più agile di me).
Le due versioni italiana e inglese sembrano costruite su equilibri poetici diversi, prodotti di fattori in cui il risultato non cambia. L’autore tende a riprodurre lo stesso ordito fonico, ma con modalità diverse, caratteristiche delle due lingue, e con una diversa distribuzione all’interno del sistema poesia.
Colpiscono, ad esempio, la straordinaria ellitticità di certe chiuse delle poesie inglesi: «ah, your clear eyes», «game over», «we fell / for want», e soprattutto lo splendido «pound my heart», straziante invocazione che ricorda quella del Donne dei sonetti sacri (Batter my heart…). Dove invece l’italiano appare di volta in volta riflessivo, universalizzante, oracolare: «che occhi limpidi che hai», «un gioco perso», «si cade / per mancanza», «colpisci forte il cuore».
Nello stesso, efficacissimo, titolo della silloge, il diluvio in questione da imperfetto diventa «unrehearsed», «non provato», «attuato senza preparazione», e dalla giustapposizione dei due elementi si trae l’idea che il disastro, fin troppo naturale, porta in sé le connotazioni di una pecca, di una sfuggente insensatezza verso cui l’uomo-attore non è in grado di attrezzarsi.
Pecchiari, raffinato studioso e conoscitore di poesia inglese, appare ben consapevole delle potenzialità delle due lingue in poesia e sfugge quasi sempre, nell’autotradursi, alla resa letterale, per privilegiare una sorta di fedele riscrittura nella quale nulla va perso e da cui scaturiscono (dalla giustapposizione “a fronte” delle due versioni) significative varianti di senso e modulazioni di forza espressiva.
Le due versioni, dunque, originale e traduzione d’autore, si integrano e si completano conservando pari dignità artistica e gemmando nel tronco delle rispettive tradizioni letterarie.
Una poesia bifronte, caleidoscopica e intensa, che porta in sé le due facce di una rara purezza e concentrazione lirica.
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I
Trieste soars upstream
its gusts of air
spare with words
spears steeples
inside the horizon
exiled en route
from childhood
up there along past paths
we desert life
provided we recall
history would be written later
I
Trieste rincorre
scostante di parole
l’aria inerpicata
fiocinando campanili
dentro l’orizzonte
esuli nella rotta
dall’infanzia
lassù nelle vie di ieri
dismettiamo la vita
purché la ricordiamo
la storia l’avremmo scritta dopo
VIII
to be bereft of the narrow straits
between what’s left to live
and you
freezes me in its reduction
we are the outcome of impossibility
I will not forget the cuckoos
hatched for our displacement
we fall
for want
VIII
l’essere privato di un passaggio
tra il vivere che resta
e te
mi fa immobile nella diminuzione
siamo conseguenze di una impossibilità
non perdóno i cuculi
dischiusi per la distruzione
si cade
per mancanza
XI
I can’t go before you go
witness of a life
stuffed with chemo
you shall die here inside me, in my arms
telling the spare beads of the night
but I’m losing count if I’m watching you
and with your hands I trespass
the non-time that binds
an unrehearsed flood
XI
non poter andarmene prima che tu vada
testimone di una vita
ingozzata di chemioterapia
dovrai morirmi qui dentro, tra le braccia
sgranando i secondi rimasti della notte
ma perdo il conto se ti guardo
e varco assieme alle tue mani
il non-tempo che allaccia
l’imperfezione del diluvio
XVIII
waiting behind the trucks
lung against the face of the horizon
widened under the wheel rumble
I’d like to have the blazing fire
of a journey
storming the cardinal points
measuring memories in miles
I untangle my voice twang
over the asphalt of other places
I am emptied of the spots I use to know
XVIII
attendo dietro ai camion
scoccati in faccia agli orizzonti
aperto al fragore delle ruote
vorrei il fuoco libero
d’un viaggio
che scateni i punti cardinali
misurando la memoria in miglia
dipano la cadenza della voce
sull’asfalto di altri luoghi
io sono privo dei posti che conosco
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Sandro Pecchiari è laureato in Lingue e Letterature Straniere, con una tesi sull’opera poetica di Ted Hughes.
Ha pubblicato due raccolte per Samuele Editore di Fanna, Pordenone: Verdi Anni (collana Scilla 19, marzo 2012) e Le Svelte Radici (collana Scilla 33, dicembre 2013). Questa è la sua terza raccolta che completa la trilogia. Le sue raccolte sono state presentate all’interno del programma televisivo “Le Parole Più Belle”, Telecapodistria, Slovenia, nel 2014 e 2015. Suoi lavori sono apparsi in numerose antologie (fra cui la Collana dei Poeti Contemporanei 2013 e 2014, lʼAlbanian Antologjive Poetike Universale Korsi e Hapur – Open Lane 2014) e sono stati presentati al New York City Poetry Festival 2014 e alle Residenze Estive 2014 presso il Castello di Duino. Alcuni suoi scritti sono stati tradotti in inglese, in albanese e sloveno. Alcune sue traduzioni dall’inglese sono visibili nel sito della casa editrice Caitlin Press: http://caitlin-press.com/al-rempel-in-translation/ È membro della giuria della Festa della Letteratura e della Poesia di Duino e collabora continuativamente con la rivista di settore “Traduzionetradizione” (Press Point, Milano) e con la rivista “L’almanacco del Ramo d’Oro” (Trieste).