Renato Mambor, Connessioni invisibili

immagine mostra Mambor Milano Poesia-allaperto
di Silvana Lazzarino

Tra le più originali e complesse personalità del secondo Novecento Italiano, RENATO MAMBOR attraverso la sua arte è andato oltre il significato dei contenuti espressi dalla Pop Ar e oltre il senso del concettuale, per costruire un rapporto metalinguistico tra parole, immagini, cose e persone. L’arte di Mambor, che oltre alla pittura ha esplorato i diversi orizzonti visivi e rappresentativi che spaziano dal teatro al cinema, dalla fotografia alla performance, viene ripercorsa in una suggestiva mostra a lui dedicata che inaugura l’8 febbraio 2017 presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Refettorio delle Stelline in Corso Magenta a Milano, dove resterà aperta fino al 27 marzo 2017. Continua a leggere

Martina Luce Piermarini

2015-04-12 15.53.55ESTRATTI DA: Interferenze della luce (Italic, 2014)

(IN SOTTOFONDO INIZIA UNA CANTILENA CHE CONTINUERÀ FINO ALLA FINE V. POTENZA DELLA CANTILENA)

I

Se anche frantumassi il vento
gli aghi mugolanti ricamano
memoria d’acqua
arti di luna
ricamano
la croce sulla sedia
Luce sbarra buio
Sbarra non puoi ascoltare
Sbarra non puoi guardare

Le mani di granito rompono lo spazio
il buco la polvere ossessiva
Ingoia l’ovulo rotondo che trattiene
il ragno il verso- insetto
appeso ai piedi dell’altare. Continua a leggere

Morten Søndergaard, quattro poesie

MORTEN-SØNDERGAARD

Morten Søndergaard

Si

Si ricomincia!
ballo all’inferno

Non ho le ali
e
la morte fa la parte
del mio nome.

Gioco con i fiammiferi sotto la scala.
Brucio e brucio al suolo il mondo.

Colleziono bombe e scopo con rumori negli occhi.
Vengo condannato a morte da mamma e papà.

Sto sanguinando:
La carta mi fa da cerotto.

Ja

Forfra!
Jeg danser i helvede.

Jeg har ingen vinger
og
døden er en del
af mit navn.

Jeg leger med tændstikker under trappen.
Jeg brænder og brænder verden ned.

Jeg samler bomber og knepper med støj i øjnene.
Jeg dømmes til døden af mama og papa.

Jeg bløder:
Papir er mit plaster.

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Francesco Scarabicchi, “Il prato bianco”

978885842463GRAIl prato bianco uscí da un piccolo, raffinato editore, l’Obliquo, nel 1997. Era la terza raccolta poetica di Francesco Scarabicchi, che con quel libro entrava a pieno diritto fra i maggiori poeti italiani contemporanei, confermandosi poi a piú riprese nei vent’anni che sono seguiti. L’atmosfera invernale evocata fin dal titolo fece parlare Gian Carlo Ferretti di «uno scenario dominato dal gelo, dalla neve, dal bianco, quasi immagini di un mondo in letargo, invisibile, ma segretamente vivo e disposto al risveglio». È in questa situazione di apparente abbandono che le immagini della natura si fanno precise: prati, serre, fiori, alberi: descrizioni realistiche ma anche metafore a indicare cura e accudimento. Sono paesaggi di una natura coltivata, non selvaggia, e questo accudimento meticoloso, nonostante l’ala fredda che incombe su persone e cose, sembra essere la cifra dell’umanità che emerge da questi versi, già a partire dalla prima poesia. Curarsi di ciò che sopravvive, celebrare senza retorica ciò che è destinato a non sopravvivere: quella di Scarabicchi è una malinconia composta e quasi serena anche quando, nel nucleo centrale del libro, viene affrontato piú direttamente il tema della morte: e sono forse le poesie piú intense di tutto il libro.

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