Tiziano Fratus, “Vergine dei nidi”

Tiziano Fratus

Tiziano Fratus (Bergamo, 1975) ha coniato il concetto di Homo Radix, la pratica dell’Alberografia e la disciplina della Dendrosofia. Ispirandosi al concetto di “minimalismo sacro” o “minimalismo mistico”, conduce una pratica quotidiana di meditazione in natura e lavora alla scrittura di una serie di volumi, personali fotografiche e la rubrica “Il cercatore di alberi” che tiene sulle pagine del quotidiano «La Stampa». Continua a leggere

Stefania Portaccio, “Il padre di Cenerentola” e altre storie

Otto testi in prosa e cinque in versi rielaborano undici fiabe dei fratelli Grimm.
“Un nucleo di realismo fiducioso sta al cuore di questi testi dove l’irreale e il fantastico accadono, ed è una mistura potente”, scrive l’autrice.
Da questa mistura deriva una rilettura adulta che si fa scandaglio del vissuto e produce due forme di riscrittura: in prosa, dove si adotta un nuovo e diverso punto di vista, e in versi, dove la voce parla invece da un tempo posto dopo il lieto fine, da un’età che ha superato la soglia della possibile trasformazione.
Fiabe e ballate esprimono le due polarità del coraggio e del disincanto, in un alternarsi di prospettive che è la nota di fondo con cui entrambe si propongono al lettore come chiave per rivisitare la propria vicenda interiore.
Di corredo e in dialogo con i testi dodici disegni di Stefano Levi Della Torre.

Stefano Bortolussi, “I labili confini”

I labili confini” di Stefano Bortolussi, con Prefazione di Roberto Mussapi, riprendono la tensione epica e narrativa del libro che l’ha preceduta (“Califia”, Jaca Book 2014), riproponendone una delle figure principali nel poema “La scelta del plantigrado”, che occupa tutta la prima parte dell’opera. Tracciando un ponte inusitato tra i miti moderni del noir e del cinema americano e quelli della classicità il poema mostra un mondo di pericoli, slittamenti e metamorfosi sempre in agguato dietro schermi, tornanti e facciate hollywoodiane. La seconda parte, intitolata “Di altri spiriti guida”, partecipa del medesimo senso di meraviglia, ispirato da un universo naturale quasi panteistico, osservato ed esplorato nelle sue sorprese e nelle sue irruzioni ierofaniche.

Dalla prefazione di Roberto Mussapi

I labili confini” è un libro di metamorfosi. È la nuova opera in versi di Stefano Bortolussi, segue “Califia”, poema anche epico il cui titolo è il nome antico della California. Aura mitologica nel nome e nel poema, modernamente fluente e baluginante in un clangore contemporaneo, una riscoperta del sedimento nella realtà di oggi.
Americana ancora l’ambientazione di questo nuovo libro diviso nettamente in due parti, meglio ancora due libri perfettamente accostabili e facenti parti di un felice unicum.
Anche qui dell’aura americana emerge la realtà incessante della metamorfosi, che è poi lo spirito del prototipo poundiano e del Ponte di Hart Crane, due pilastri della poesia di Bortolussi. Continua a leggere

Pietro Russo, “A questa vertigine”

Pietro Russo

di Loretto Rafanelli

Lettura ardua, orfana di nomi, di indicazioni, di vie collaudate dalla storia e nella storia, poesia infine collocata nella ricerca di una identità impossibile. In A questa vertigine (Italic), Pietro Russo ci situa in una ‘palude’ esistenziale e storica, dove il lettore brancola tra un Io invadente e una ricerca di senso rispetto le cose del mondo. Ma non è questa la poesia acerba che deborda nel personale, nell’eccesso di una introspezione, perché comunque Russo ha occhi attenti per guardare il guardabile, ma soprattutto ha occhi attenti per tentare di guardare l’inguardabile. Continua a leggere

Chandra Livia Candiani, “Fatti vivo”

La bambina pugile è tornata. La riconosciamo, la ritroviamo con la sua insonnia, la sua febbrile sensibilità, le sue debolezze e la sua incredibile forza. La seguiamo in un percorso poetico che evoca una sorta di narrazione emblematica. Si parte dalla casa. La vita di una persona emana dagli spazi dove è cresciuta. Portone, finestre, pavimenti, muri, scrivania, frigo, letto e così via: la bambina è come diffusa nelle cose, negli oggetti che l’hanno accolta. Poi esce nel mondo e deve inventarsi gli strumenti per percepirlo. Il libro diventa un viatico per «saper leggere le stelle | ma non la grammatica». O forse, più che guardare il mondo con occhi diversi, il passo ulteriore è essere il mondo: essere piuma, essere nuvola, essere luce. Infine c’è chi cade, tutti prima o poi cadono, ma nessuna caduta impedisce di «farsi vivi». Al di là di questo traliccio strutturale, la raccolta è molto fluida e per niente schematica. Nodi irrisolti si alternano e si intrecciano con un’esperienza mistica quotidiana, mite, senza enfasi di spossessione. Quella particolare voce, come d’infanzia, che già abbiamo conosciuto via via nei libri precedenti dell’autrice è ormai un meccanismo ad alta precisione con il quale Chandra Candiani riesce a far affiorare nella maniera più efficace ciò che non è visibile. Continua a leggere