Daniela Pericone, da “Distratte le mani”


Arrivo da uno sproposito
da crude frasi e voci
che tempo distingue e imploro
d’amore animale – adagio
di natura senza cifrari.
Perpetuo esercizio
di filatura a inseguire
la forma d’uovo più prossima,
o meno ostile, al pensiero
che la genera.
Mi inclino da un lato
a cogliere per minimi fulgori
come si traluce come
si vorrebbe. Arrivo da un quando
ch’è subito tardi – slabbro
dell’ora che tutto posa
in contorno.

*

Lo vedi il bagliore di lama
al fondo degli occhi
è la bestia acquattata
nel pozzo
l’amante dello zero,
pronta al balzo
ha un solo grido
uccidi uccide uccido,
lo copre la muta dei cani
la mutria eccitata
all’incerto della preda.

*

Eccola la torcia
che si dà fuoco
da sé a sé sola
s’abbruna
autocombusta
si ama e si divora
lecca lo sbavo
di fiamma in cruore
che non cola
e ancora ancora
s’alluma da sé sola
non considera
la cenere che l’incava
slarga la vampa
che la stura
in abbranco di sole
si disverna
disfama e si trasfuria.

da: “Distratte le mani”, Coup d’idée, 2017
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Mostra collettiva. Dragoş Bădiţă, Răzvan Botiş, Tincuta Marin

A word for each of us”

Inaugurazione martedì 17 aprile alle 18:30
17 aprile – 25 maggio 2018

mostra collettiva
Dragoş Bădiţă | Răzvan Botiş | Tincuta Marin

Martedì 17 aprile la galleria Richter Fine Art ospita tre giovani talenti dell’arte pittorica transilvana: Dragoş Bădiţă, Răzvan Botiş e Tincuta Marin, nella seconda collettiva di questa stagione “A word for each of us”.

In linea con la ricerca che la galleria Richter Fine Art porta avanti attorno al linguaggio della pittura gli artisti romeni della Şcoala de la Cluj mostrano il loro approccio alla pittura contemporanea: fresco, unico, le cui opere riflettono non solo la società odierna, ma un modo singolare di costruire un discorso sulla pittura.

Tutti e tre gli artisti romeni si sono formati nell’Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD), che negli ultimi vent’anni è diventata un punto di riferimento internazionale per l’arte contemporanea, soprattutto per la pittura, artisti di livello internazionale come Victor Man (1974), Radu Comșa (1975), Adrian Ghenie (1977), Mircea Cantor (1977), Ciprian Mureşan (1977), Șerban Savu (1978) e Ioana Nemeş (1979) si sono formati nella stessa Accademia.

Come afferma Antonello Tolve nel testo che accompagna la mostra: «Con esperienze di gusto assai diverse, animate tuttavia da uno stesso background il volto di Cluj-Napoca – una vera miniera di pittori di qualità – è fatto oggi di nuove leve dell’arte, di occhi vigili che guardano, che metabolizzano e, între tradiţii şi inovaţii (tra tradizioni e innovazioni), reinventano, arricchendo le immagini di contenuti sempre più aperti. Munita di grande determinazione e tecnica la generazione dei nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, presenta infatti un termometro la cui gradazione immaginifica assorbe al suo interno esperienze nazionali e estere, ricerca e di riflessone sulla pittura, luoghi della memoria collettiva e della storia sociale, spazi fisici e metafisici risucchiati spesso nella regione aperta dell’остранение (Šklovskij), di un processo narrativo in cui la realtà viene ribaltata da un punto di vista inconsueto».

Dragoș Bădiță, Răzvan Botiş e Tincuța Marin, il triunvirato radunato in questa mostra che Tommaso Richter dedica alle freschezze della Şcoala de la Cluj, sono campioni che delineano appieno lo scenario plurale di un paese dove la partecipazione collettiva avverte l’importanza della singolarità e dove il manuale e il mentale si intrecciano indissolubilmente per creare piacevoli e accattivanti stordimenti visivi.

Le opere di Dragoş Bădiţă (Horezu, 1987) riflettono sulla natura momentanea dell’esperienza e su come si collega a una più ampia comprensione della realtà, che porta in primo piano il rapporto con la natura, con il corpo, con le persone, con la natura fluttuante del sé, l’inevitabilità della decadenza e della dissoluzione, i limiti della comprensione dei mondi interiori degli altri.

Răzvan Botiş (Brașov, 1984) propone uno spaccato riflessivo senza laccature che ricuce al suo interno strati d’animo differenti: dalla cupezza del capitalismo e della corruzione planetaria all’alienazione dell’uomo contemporaneo, dalla perdita della certezza alla vetrinizzazione sociale, dalle periferie ai residui di una libertà condizionata dal potere.

Infine le opere di Tincuta Marin (Galați, 1995) presentano e incorporano elementi presi dalla street art e dall’espressionismo astratto. L’artista manipola frammenti della realtà, li destruttura e li ricompone per creare combinazioni magiche e dinamiche, completando i collage attraverso le basi del gesto pittorico, della linea, del punto e della forma.
Le sue opere sono piene di magia e immagini oniriche dalla forma alla composizione, alla metamorfosi dei filtri percettivi, ai personaggi deformati, con strani volti atipici.

Dragoş Bădiţă (Horezu, 1987) vive e lavora a Cluj, in Romania.
Dragos si è laureato presso Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD) e ha esposto a Bucarest, Cluj, Londra, Copenaghen, Atene, Gand, Maiorca e Berlino.

Răzvan Botiş (Brașov, 1984) vive e lavora a Cluj. Si è laureato Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD) e ha partecipato a mostre personali e collettive a Berlino, Mosca, Chicago, Venezia, Vienna, Bucarest, Timişoara e Cluj. Nel 2017 il suo lavoro è stato esposto ad Art Encounters, la biennale d’arte di Timişoara.

Tincuta Marin (Galați, 1995) vive e lavora a Cluj, in Romania.
Si è laureata presso l’Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD)

 

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Lucio Mariani, in memoria di te

da Farfalla e segno (Crocetti, 2010)

Giochi d’acqua

Né una stella né un demone o un’avèrla
mi chiesero di esistere. Pure ti parla
ancora e ti sorride uno dei mille
e mille giochi d’acqua, un caso della forma,
la drupa lavorata dalle prove del tempo
fatta colma di sangue, che guardi e accarezzi.
Né una stella né un demone domanderà
quando vorrò morire. Ma insiste l’ora e l’ombra
si propaga sulla spalla, insiste nelle frazioni
e i multipli a devastare puntigliosamente
mentre rifiuto il fratello sconosciuto
che mi rende
i suoi occhi malati nello specchio.
Non mi chiede una stella di scrivere la vita
e con le dita stringere il sogno e la memoria.
Ma
la penna e l’ago della mia ferita.

*

da Canti di Ripa Grande (Crocetti 2013)

Mikonos

Sono tornato all’isola dei venti
dove svetta e governa fra i gerani
il girasole.

Dove la canna inarca lance al meltemi
che fa calva la roccia e scala al mare,
farneticando fra rovigli bruni
fra bruni grilli e brune lagartíglie
in concerto di fasci sibilanti sulla battigia,
tentativi di turbine, poi mille costure all’acqua.

Strappa il cielo una nuvola.
Il bavero del vecchio caicco
si gonfia, è un fico maturo,
vola come un messaggio verso Delo
porta sacra del divino intervallo.
Qui una regola di civiltà pietosa
non consentiva nascita né morte.

Laggiú tra le sedie cresciute sulla spiaggia
Chatzidakis piange la sorte del postino
con tutte le corde delle correnti di mare.

Si scorda dove porta la strada. Continua a leggere

George Oppen, “il poeta sottile”

George Oppen

di Brunella Antomarini

George Oppen (1908-1984), una delle personalità poetiche più originali, complesse della poesia americana e in attesa di un pieno riconoscimento, pubblica il suo primo libro nel 1934, Discrete Series (con l’introduzione di Ezra Pound) e con i poeti Louis Zukofsky, Charles Reznikoff e Carl Rakosi, lancia la casa editrice The Objectivist Press e il gruppo ‘oggettivista’, a cui aderirà anche William Carlos Williams. Dopo essersi arruolato nell’esercito e dopo la guerra, vive a Brooklyn, dove lavora come carpentiere e si trasferisce poi in Messico nel 1952, per sfuggire al maccartismo. Pubblica, dopo un’interruzione di 24 anni, The Materials (1962), seguito da This in Which (1965) e il poema Of Being Numerous (1969), con il quale vince il Premio Pulitzer.

Nel 1967 Oppen si trasferisce a San Francisco dove pubblica Seascape: Needle’s Eye (1972) e The Collected Poems of George Oppen, 1929-1975 (1975). Mentre lavora al suo ultimo libro, Primitive (1978), muore, nel 1984, per le complicazioni della malattia dell’Alzheimer. Con questo suo ultimo libro riceve la dovuta attenzione come poeta sperimentatore di un linguaggio che non cede a nessuna retorica e ispiratore delle generazioni successive, punto di riferimento per giovani poeti di ogni lingua e paese.


Ora l’edizione di Emilio Mazzoli (Modena) Naufragio del singolare, che presenta con testo a fronte due raccolte: I materiali e Questo in cui, riconosce l’importanza di questo poeta con un libro curato da Brunella Antomarini e Paul Vangelisti, con la traduzione di Pietro Traversa e disegni di Alex Katz (inediti e fatti di proposito per questo libro). Continua a leggere