di Marco Marangoni “ perduti nello specchio infranto del suono”
Con Saggezza degli ubriachi – La vita felice, Milano 2017- Stefano Vitale ci introduce sempre più addentro al percorso poetico che da tempo lo impegna, tra ricerca etica e stilistica. Un percorso che si inquadra nell’esigente sentire della poesia coeva e che merita attenzione, sia per le doti di intensità espressiva, sia per il senso del cammino che vi ritroviamo. Il “mal di vivere” montaliano appare come il più evidente “presupposto” di questa poesia, da cui si diramano altri rinvii, espliciti/impliciti, tanto in direzione della tradizione italiana che di quella europea, soprattutto francese: “prend garde à la doucer des choses” (citazione presente in Il retro delle cose, puntoacapo, Novi Ligure (AL)2012, p.28). Continua a leggere
Una volta c’era uno scopo,
ho sentito dire: c’era un Dio.
Rendeva tutto un po’ meno indegno
e ci forniva il perché
che tutti cercavamo.
Verità indiscutibile.
Un motivo per essere buoni e giusti,
un motivo per il cappio
che mandava il peccatore a quel paese
e ci faceva sentire tutti meglio
nella consapevolezza che i giusti
sarebbero stati giusti per sempre.
Una volta c’era la religione e comandava.
Ce la passavamo male.
La sera ci addormentavamo nella delusione
questo era Questo e quello era Quello.
E se mai vacillava la nostra morale nella nebbia
non dovevamo far altro che consultare la Bibbia.
Ma col tempo ne abbiamo sofferto la pressione;
il grande oppressore era la religione.
E senza Dio le guerre ci sembravano più crudeli,
la vita più squallida. L’arte sembrava una sciocchezza.
La morte ora era più strana che mai.
A che serviva l’umanità? Che terrore
ci invadeva quando capivamo
che non c’era scopo, che non c’era piano?
Si viveva solo per un giorno.
Lavorare. Mangiare. Dormire. Scopare. Crepare.
Senza il timore di una punizione
scoprimmo il piacere senza sensi di colpa,
ma perdemmo il sentimento comune
che ci aveva tenuti tutti insieme.
Avevamo bisogno di un nuovo ingrediente
che riempisse il vuoto crescente;
e quale nuova fede migliore
della Libertà senza-più-limiti?
La gioia di essere quello che siamo
in virtù dei vestiti che acquistiamo.
Il sogno di arricchirci abbastanza
da vivere una vita fuori dal comune.
E ora non c’è uno scopo
che vada oltre i nostri bisogni.
Ora si venera soltanto
ciò che è comodo e veloce.
Corriamo in tondo
dove la grazia sfida l’avidità.
Tutto quel che abbiamo va al di là
della necessità che nutriamo
i nostri viziatissimi monelli
nel modo migliore che possiamo.
E poi ci meravigliamo che da grandi
conoscono solo quel che si trovano in mano.
Ora abbiamo lo Schermo
che comanda tutto.
I nostri figli perma-connessi alle sue promesse,
in ammirazione costante delle sue gemme.
E le coppie consumano i pasti
al chiarore dei suoi raggi,
lo fissiamo fino a imparare
come va il mondo.
Pre-adolescenti apprendono il batticuore.
Il batticuore s’ingozza di maiale piccante e sport.
La realtà messa in scena per essere compianta o irrisa –
ecco finalmente la mortalità! Vederci ripresi
a colori in alta definizione.
Guarda – uno storpio a un appuntamento al buio.
Guarda – giovani che fottono a Magaluf,
guarda – la madre di un figlio morto che piange e impreca,
guarda – una celebrità che mangia merda e canta Agadoo.
Una volta bruciavamo le donne che soffrivano di epilessia.
Le legavamo a un palo e le accusavamo di stregoneria.
Adesso
le mostriamo sullo schermo se hanno belle tette,
ma poi se si lasciano andare le facciamo a pezzi.
Tracciamo cerchi rossi attorno alle smagliature.
E scorriamo le immagini mangiando patatine fritte.
Si può essere una fata, una stronza o una matta,
oppure elegante, una bestia o una coatta.
Prima
si era condannati per le cose fatte,
oppure se non si viveva come il resto del villaggio.
Adesso
ci danno uno stampo e ci dicono – infilati qui dentro.
Vedrai che forse un giorno sarai famoso.
Riprese dietro le quinte
di un famoso ultimo concerto.
Dettaglio ravvicinato
dell’ultimo spasimo della cantante.
Prima che tiri fuori la pistola
e si faccia saltare le cervella.
Il mondo è il tuo parco giochi,
va’ e divertiti da matto;
basta che non sei povero,
malato o brutto.
Ci hai colto di sorpresa
come i migliori trucchi.
Una volta avevamo paura;
adesso abbiamo la cura.
(Traduzione dall’inglese di Riccardo Duranti)
La poesia di Kate Tempest Progresso, è tratta da Hold Your Own/ Resta te stessa, Edizioni E/O, 2018 con testo inglese a fronte. Traduzione di Riccardo Duranti.
Qui sotto il video live di Kate Tempest nell’interpretazione di Progress.
L’idea originaria di questo libro è nata con la plaquette L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, PordenoneFaloppio 2017). Il puro, l’impuro e il trasparente raccontano la trasparenza. Il trasparente è la sintesi, il puro e l’impuro sono la tesi e l’antitesi. La sintesi del mondo digitale è il grande vetro attraverso cui traspaiono il puro e l’impuro mescolati, l’umano e il non umano, la velocità e la prospettiva. L’uno altro limite dell’altro.
I
Il peso si sente come i capelli sulle spalle
i pori che si stringono per non far passare l’acqua
l’attrito sempre quando capita una coincidenza.
Ma dicono che oggi il peso del tempo è irreale
assomiglia all’aria spostata dagli insetti
che si nutrono di sangue e muoiono a volte
sotto il palmo della mano. Continua a leggere
La nuova raccolta di versi di Alessandro Ceni, 77poesie, (Edizioni Helicon, 2018) è uno spaccato della sua opera dagli esordi a oggi. La raccolta sembra fondarsi su un concetto di dislocazione a livello fenomenico e linguistico. L’esito è una poesia di impatto sismico, per il rilievo dato all’analogia e al sovvertimento della sintassi. La causa si ritraccia nell’opposizione all’interno della storia, e oggi tanto più pressante, tra un ambiente naturale, primitivo e mitico, in via d’estinzione, e la cruda realtà delle vicende umane.
I campi davanti
Voltatoti,
le rovine fumanti
il pìare lento
il risolversi in un soffio del tarassaco:
revelle
stacca a forza
distoglie in altra parte:
la cupola del fieno
la portula che vi si apre
che ne camuffa un’altra
dove un flamine cieco ti tasta:
gli sconfitti – il tarassaco si china –
ottennero – il tarassaco si pela –
tutto quello per cui avevano combattuto:
ti sei supposito, ti sei sostituito,
ti sei detto il bambino brutto o bizzarro o anormale
lasciato in luogo di un altro rapito dalle fate:
voltatoti,
il rodìo che bucherella la cenere,
il reddito di una promessa,
l’asbesto. Continua a leggere