
Yves Bonnefoy (ANSA)
NEL CUORE DELL’ALFABETO
di Bianca Sorrentino
Può la scomparsa di una lettera dire della nostra contezza della finitudine? Se lo domanda Yves Bonnefoy ne Il digamma, un testo del 2012 pubblicato tre anni dopo in Italia per i tipi di ES, con la cura di Fabio Scotto, il quale mette immediatamente a fuoco la cifra imprescindibile dell’autore francese: “ogni scritto di Bonnefoy ha un tasso di poeticità altissimo”. Con slancio lirico egli elabora in effetti una raccolta di prose che sfuggono alla definizione di genere: racconti, argomentazioni critiche, evoluzioni dei cosiddetti récits en rêve da lui teorizzati – visioni oniriche formulate in stato di veglia, in aperto contrasto con le trascrizioni dei sogni care ai surrealisti.
Brillante e irriducibile, l’opera bonnefoyana suscita vivo interesse perché con arguzia solleva interrogativi che riguardano l’umano e prova a mettersi in ascolto di una possibile risposta che provenga dall’esperienza stessa del mondo. Non è un caso che il volume si apra con uno scritto dedicato all’immortale tragedia shakespeariana che secondo Agostino Lombardo si configura come “una grande domanda”: la riflessione che Bonnefoy porta avanti nel testo intitolato Dio in «Amleto» riguarda infatti da un lato l’impossibilità della rappresentazione (sia nel circoscritto spazio teatrale sia sul vasto palcoscenico del mondo) di un’opera per sua natura incontenibile, dall’altro l’insoddisfazione dell’artista-demiurgo-drammaturgo di fronte alla propria creazione.
I luoghi oscuri in cui si muovono i pensieri dei personaggi rivelano a Dio l’inconoscibilità dell’universo di cui pure è artefice: “c’era un senso che gli sfuggiva, un segreto la cui chiave sarebbe per lui rimasta introvabile”. Scrittura, dunque, come tentativo talvolta inadeguato di dire l’indicibile che ci governa; scrittura come inciampo, impedimento, inibizione; scrittura, infine, come stupore di fronte alle parole che “desiderano più di ciò che esprimono”.
La ricerca intorno al legame tra il linguaggio e l’evidenza delle cose culmina nell’affascinante convinzione che una singola lettera, per di più scomparsa, sia custode della verità: si tratta proprio del digamma che dà il nome alla raccolta, un suono che ormai sopravvive soltanto in alcuni dialetti dell’Italia meridionale e nelle parlate dell’Anatolia. Con finezza d’ingegno, Bonnefoy riconduce alla caduta della semivocale la disarmonia e il disordine del mondo: “il nostro disastro è la conseguenza di una pronuncia difettosa”. Il poeta trasforma cioè quello che potrebbe sembrare un capriccio da linguisti in una considerazione sugli enigmi che non riusciamo a sciogliere, sul senso di ben altre perdite, sulla “brutta piega che appare allora tra l’esistenza e il suo abito verbale”. Figura della mancanza, il digamma rivela il nostro destino di solitudine: “sappiamo il tutto del mondo ma anche ciò che sempre se ne ritrae”.
Quest’idea di sottrazione è alla base del récit ispirato ancora una volta al teatro di Shakespeare, Per mettere in scena «Otello». La riflessione ruota ora attorno alla possibilità di rappresentare la tragedia sostituendo gli attori con le loro ombre o, addirittura, con dei manichini, forme minime in grado di rimediare all’ambiguità di cui le figure umane sono inevitabili portatrici. Ecco che la voce, “luogo della poesia”, prende il sopravvento, ma non basta a esprimere la lotta tra il segno e la tenebra. “Presto gli sarebbe rimasto solo da capire ciò che non aveva saputo o voluto sapere: che per essere se stessi, e avere accesso al grande senso, il volto umano non deve affatto essere spossessato della propria carne; che è nella materia stessa del mondo, per quanto disastrosa sia, che l’assoluto, piccolo fiore, deve fiorire”.
“Cos’è una voce quando si è fatta canto?” – l’interrogativo risuona alla fine del volume e resta aperto, sollecitandoci alla responsabilità di una risposta che sia capace di farsi presenza, di avvicinare le eterne questioni che tormentano l’uomo a una dimensione di quotidiana e semplice autenticità, di elevarsi per individuare, attraverso il nostro bisogno di poesia, nuovi orizzonti di possibilità.
NOTA
Pubblicato dalla Se, con la partecipazione del Pen Italia, Il digamma di Yves Bonnefoy, a cura di Fabio Scotto, è accompagnato da dieci disegni di Giuseppe Maraniello.