Anna Achmatova, la poesia dell’assoluto

PAROLE GRANITICHE E RIPOSI ETERNI

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Anna di tutte le Russie – risuona nella sua magnificenza l’epiteto che l’adorante Marina Cvetaeva attribuì ad Anna Achmatova, impareggiabile simbolo dell’assoluto poetico ben oltre i confini della pur vasta patria. Durante il periodo più cruento del Terrore staliniano e la prigionia del figlio innocente, la poetessa è in grado di restituire con le parole lo strazio suo e di tutte le madri in fila davanti alle carceri di Leningrado: il sacro requiem che la donna pronuncia si leva come la voce di un intero popolo, stretto in una sofferenza che affratella. Un destino luttuoso colpisce gli intellettuali che non aderiscono in modo acritico ai dettami del regime; ad Anna Achmatova tocca in sorte il saluto inconsolabile ai sodali scomparsi: la parola si fa di pietra, il silenzio urla nella gola e solo la memoria custodisce il valore senza tempo dei suoi versi granitici.

REQUIEM
7.
La sentenza

Ed è caduta la parola di pietra
Sul mio petto ancor vivo.
Non è nulla, vi ero preparata,
Ne verrò a capo in qualche modo.

Ho molto da fare, oggi:
Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,
Bisogna che l’anima si pietrifichi,
Bisogna di nuovo imparare a vivere,

Se no… L’ardente stormire dell’estate,
Come una festa oltre la finestra.
Da tempo avevo presentito questo
Giorno radioso e la casa vuota.
1939. Estate.

***
A M.Z.
Come a una voce lontana presto ascolto,
Ma intorno non c’è nulla, nessuno.
In questa nera buona terra
Voi deporrete il suo corpo.
Né il granito né il salice piangente
Faranno ombra al cenere leggero,
Solo i venti marini dal golfo
Per piangerlo accorreranno…
Komarovo 1958.

Anna Achmatova, da Poema senza eroe, nella traduzione di Carlo Riccio (Einaudi, 1966)

Anna Andreevna Achmatova – Pseudonimo della poetessa russa A. A. Gorenko (Bol´šoj Fontan, Odessa, 1889 – Mosca 1966), legata al movimento dell’’acmeismo, il cui fondatore, N. Gumilëv, fu il suo primo marito. Popolarissime le sue brevi poesie (Večer “La sera”, 1912; Belaja staja “Lo stormo bianco”, 1917; Anno Domini MCMXXI, 1922; Iva “Il salice”, 1940) per l’immediatezza con cui l’A. esprime la sua limpida visione della vita e ritrae, con procedimenti stilistici di una raffinata semplicità, il proprio amore e le proprie nostalgie. Dopo il 1923 si dedicò soprattutto alla critica letteraria (notevoli i saggi su Puškin). Durante la seconda guerra mondiale, a Taškent, scrisse Poema bez geroja (“Un poema senza eroe”, 1940-62, trad. it. 1966), solo parzialmente pubblicato nell’URSS. Nel 1946, fu attaccata, insieme allo scrittore M. Zoščenko, da A. Ždanov, per la sua poca adesione al realismo socialista. Ha anche tradotto da varie lingue, tra cui l’italiano. In traduzione italiana, oltre l’opera citata e singole poesie in scelte antologiche, si hanno due raccolte del 1962.
Fonte: Enciclopedia Treccani

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