Emiliano Ilardi, Il covid 19 come stress test

Emiliano Ilardi


LA MEDIASFERA DIGITALE DI FRONTE ALL’EMERGENZA.

di EMILIANO ILARDI

 

 

Tra le tante caratteristiche che rendono il disastroso terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755 la prima catastrofe genuinamente moderna della Storia, vale la pena di isolarne una perché, a più di 250 anni di distanza, risulta ancora utile per comprendere come funziona il rapporto tra evento catastrofico ed evoluzione dei media.

La notizia del disastro lusitano si diffonde in tutta Europa a una velocità mai vista prima e dà vita a un primo embrione di villaggio globale e di opinione pubblica di massa. Così scrive Goethe nelle sue memorie:

Ancor maggiore fu l’effetto delle notizie che si diffusero rapidamente, prima in modo generico, poi corredate di dettagli terrificanti. Poi vennero i timorati di Dio con le loro prediche, i filosofi con i loro argomenti consolatori, e non fecero mancare paternali allo spirito. Questo insieme di elementi concentra l’attenzione del mondo, per un certo lasso di tempo, tutta in quel punto, e gli animi, sollecitati dalla disgrazia accaduta altrove, furono tanto più sopraffatti dall’angoscia per sé e per i propri cari quanto più affluivano da ogni parte informazioni, sempre più numerose e circostanziate, sulla diffusione degli effetti di quell’esplosione. Mai forse, in precedenza, il demone del terrore aveva avvolto tanto velocemente e potentemente la terra nel suo brivido.[1]

L’industria culturale nascente riceve un fortissimo impulso dal disastro di Lisbona. Vengono stampati in pochissimi anni migliaia di riviste, fogli periodici, gazzette, bollettini e almanacchi dedicati all’evento che diventa la prima bomba di panico mediatica della modernità. Si afferma il libro illustrato perché tutti, anche i non alfabetizzati, vogliono sapere cosa è successo a Lisbona. Tali pubblicazioni dureranno per un secolo. La catastrofe crea quasi dal nulla l’editoria istantanea, accelera l’espansione della stampa quotidiana e il passaggio da un sistema editoriale basato sulla Storia (il libro) a uno basato sulla cronaca (il giornale); mostra che non solo i mercati cominciano a globalizzarsi ma anche, grazie a nuovi media, le paure collettive.[2] Continua a leggere

Una poesia di Alberto Bertoni

Poesia Festival 2017 Sabato a Vignola l’Alzheimer : la malattia, la cura, ……. photo© Serena Campanini

20.02.2020, il potere dei numeri
di Alberto BERTONI

Ero lì,
adesso a pensarci
può sembrare incredibile,
ma io ero proprio lì,
io che a Milano vado ormai di rado,
e che l’Inter la guardo
solo in TV come le corse
nel brutto surrogato
di S. Siro trotto abbandonato,
campo straziato di rottami, erbe matte, sterpaglie
da distruggere ogni tanto dando fuoco,
non ombra di cavallo appena qualche
serpente innocuo
e l’impero del topo

Invece ero lì,
il 20 febbraio, giovedì
per fare il commissario di concorso
a professore associato
coi colleghi Antonio e Paolo
assieme ai quali a un bel momento pranzo
nella mensa promiscua dello IULM
con sandwich al salmone e minerale
sulla fòrmica ripassata di straccio
in mezzo a un massacro di studenti
ridendo e chiacchierando
senza pensieri, in un concerto
di bocche spalancate

Verso le 20 ho riavviato la mia auto
dal gelido parcheggio sotterraneo
ma non ho chiamato Mario
come pure avevo programmato
e mi sono avviato verso Modena
ascoltando l’Inter alla radio
nell’assurdo di uno stadio bulgaro

Alle 21 in punto mi sono fermato
nell’area Somaglia dell’A1
a far rifornimento di metano
fra le uscite di Lodi e Basso Lodigiano
quando poi oggi dalla Rete imparo
che non c’è dubbio alcuno
il punto originario del contagio
è all’unanimità riconosciuto
il 20 febbraio, giovedì, alle 21 in punto

Adesso, inoltre, mi ricordo
che il benzinaio,
un ragazzo basso e magro
coi baffetti sottili
e un velo bianco di sudore
inadeguato al freddo,
mi ha pulito il parabrezza
dopo almeno dieci anni che nessuno
più l’aveva fatto
e che mi ha chiesto
attraverso lo sportello semiaperto
avvicinando complice le labbra
al mio volto concentrato sul calcio
dove stavo andando e confidato
che lui era quasi a fine turno
e non vedeva l’ora di tornare
in centro a Codogno dalla moglie Continua a leggere

Giulia Napoleone, “Le fragilità dentro e fuori di me”

In questi mesi di pandemia io ho apparentemente fatto la stessa vita degli ultimi dieci anni, cioè dal mio rientro dalla Siria.

Niente di diverso. Chiusa tra casa, studio e giardino, ho vissuto tempi di completo isolamento, lavorando per molte ore, punto su punto, riga su riga, tra musica e poesia.

Ho alternato in questi anni lunghi periodi di isolamento e lavoro a viaggi anche frequenti, brevi o lunghi che fossero, sempre con accurate e precise preparazioni. Questo insieme mi ha consentito un giusto equilibrio di vita, di rapporti, partecipazioni, incontri con “l’altro da me”.

Il viaggio non è per me solo spostamento, non è lasciare un luogo per arrivare ad un altro.

Disegno di Giulia Napoleone

Per me viaggiare è una condizione, una necessità vitale che mi permette il raggiungimento di quell’equilibrio di cui sono alla costante ricerca.

Equilibrio tra geometria e natura, ordine e caos, realtà e sogno, concentrazione assoluta e mondo esterno.

Essere privata dalla possibilità di viaggiare, di questa risorsa essenziale mi ha quindi creato in questi mesi un grande disagio.

Ho continuato a lavorare, spesso al limite delle mie energie, ma quello che è profondamente cambiato è lo spirito con cui ho affrontato le mie giornate di lavoro. Giorni trascorsi con profonda tristezza per le notizie, le immagini, le incertezze, la perdita di tanti amici.

Disegno di Giulia Napoleone

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Carlo Bordini, “L’Italia è nei guai”

Carlo Bordini/ credits ph. Dino Ignani

Doomsday Clock e realismo
di Carlo Bordini

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Il Doomsday Clock (orologio dell’apocalisse) è l’iniziativa di un gruppo di scienziati dell’università di Chicago intesa a misurare metaforicamente il pericolo di un’ipotetica fine del mondo. Iniziata nel 1947, la lancetta che si avvicina alla mezzanotte dell’apocalisse è andata progredendo; all’inizio mancavano sette minuti; quest’anno, nel 2020, le lancette distano dalla simbolica mezzanotte 100 secondi, solo un minuto e quaranta.

Inizialmente gli scienziati intendevano come elemento principale di pericolo la guerra atomica; dal 2007 hanno cominciato a considerare altri elementi, come, ad esempio, i cambiamenti climatici.

Con questo atto metaforico gli scienziati vogliono ricordare all’umanità che la nostra civiltà è affetta da numerose malattie mortali che dovrebbero essere subito affrontate. Ma queste sono cose che ormai sanno tutti… Io le ho prese dal web (cosa facilissima) ma già le sapevo come le sanno tutti. E tutti sanno che l’umanità non fa quasi nulla per affrontare questi problemi.

Ho la sensazione che il covid-19 faccia parte di questa rovinosa corsa verso la distruzione. Dato che le malattie mortali dell’umanità sono molte, questa mi sembra essere una delle tante, e neanche la più tragica (pensiamo alla sovrappopolazione, ai cambiamenti del clima, alla presenza delle armi atomiche). Comunque io, poetino romano, non ho ricette interpretative o risolutive. Mi limito a constatare che siamo alla vigilia di una fortissima crisi economica, per esempio. Constato. Cerco di salvarmi personalmente.

So, da tempo, che il mio compito non è salvare il mondo, ma salvarmi nel mondo. E inoltre, accetto la catastrofe.

Potremmo chiederci: ma allora, a che serve fare il poetino romano? Non lo so. Francamente non lo so. Forse a credere in un’utopia. Come i bambini: chi vuol credere all’utopia metta il dito qua sotto. Continua a leggere

Gina Gioia, “Il diritto alla salute”

Gina Gioia

diritto a essere malati (e il dovere a rimanere sani)
di Gina Gioia

 

 

  1. Esisteva nell’antica Roma uno strano modo di dire: depontani senes o sexagenarios de ponte.

La depontazione degli anziani potrebbe essere collegata alla cerimonia che si svolgeva alle Idi di maggio durante la quale fantocci di vimini con mani e piedi legati venivano gettati dal ponte Sublicio nelle acque del Tevere alla presenza delle più alte cariche della Respublica: vestali, pontefici, pretore.

Pare che la cerimonia ricordasse degli antichissimi sacrifici umani e qualche studioso ha ipotizzato che i Romani delle primissime origini depontassero i sessagenari al fine di sgravare la società da pesi economici inutili. Usanza che del resto avrebbe riguardato molte popolazioni primitive.

Lo sviluppo della società romana indusse ben presto a interrogarsi sull’origine di questi riti, che venivano chiamati Argei e di cui si erano perse le tracce sulle origini. Sono riportati da Festo e richiamati da molti altri, compreso Cicerone. Nonostante gli sforzi per trovare una spiegazione agli Argei, non si giunse a una conclusione condivisa. Quello che è certo è che già i nostri fondatori del diritto, oltre duemila anni fa, mostrano una vera ripugnanza verso la possibile tradizione dei loro progenitori. La stessa ripugnanza che proviamo ancora noi oggi.

Il detto depontani senes, come mostrano alcuni studi moderni, non aveva niente a che vedere con la cerimonia degli Argei, per fortuna. Perciò, soprattutto grazie agli storici del diritto romano, è stato spiegato come i Romani, nemmeno ai primordi della civiltà, pensarono mai di sbarazzarsi dei loro nonni.

 

  1. Una delle caratteristiche delle società civili come la nostra è quella di garantire il diritto alla salute di tutti, senza alcuna distinzione tra gli individui che ne necessitino. Il diritto alla salute è considerato un bene del singolo e, al contempo, un bene della collettività.

Con il CoronaVirus si è rischiato di privare i singoli delle cure vitali necessarie per eliminare o attenuare gli effetti del virus, ma anche per trattare tutte le altre malattie, anche quelle più banali. Il rischio era che il sistema sanitario non reggesse l’impatto dovuto alla richiesta di assistenza provenienti da decine di migliaia di persone e che nessuno o pochissimi potessero ricevere le cure ospedaliere. Il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, avrebbe potuto essere violato, in maniera massiccia e sistematica. Continua a leggere