Nanni Cagnone, “A ritroso” 2020-1975

Nanni Cagnone credits ph. Dino Ignani

La poesia, ora, che cos’è?

Sociologicamente, una malattia che resiste alle terapie d’urto dei mass media e dei social networks. Una delicata attività asintotica, che richiederebbe solitudine, e invece è chiassosamente praticata da troppi, pur essendo cosa per pochi. Sarò un reazionario, insensibile al mito della democrazia, ma condivido quel che si dice negl’Inni orfici: “Il numero degli eletti è chiuso”.

Dall’intervista a Nanni Cagnone uscita su Pangea News (16 maggio 2019).

 

La parabola creativa di Nanni Cagnone (1939), raccolta dal poeta per la prima volta, à rebours dall’oggi alle origini. Cagnone, ligure di Ponente, “di quelli che tramontano”, è stato batterista jazz, giornalista, editore, direttore creativo d’agenzie di pubblicità, consulente per la company image, docente d’estetica e di strategie progettuali. Oltre alle opere poetiche, romanzi (Comuni smarrimenti, Pacific Time), racconti (Cammina mare), saggi e aforismi (Discorde, Dites-moi Monsieur Bovary). Ha tradotto e commentato The Wreck of the Deutschland di G.M. Hopkins, Agamemnon di Eschilo, Perì Phýseos di Parmenide.

Una vita inquieta, avventurosa e infine solitaria, segnata da ricoveri psichiatrici e frequenti vagabondaggi. Una delle più importanti voci fuori scena della poesia italiana contemporanea, affascinante, polimorfica, ritrosa, si offre in un autoritratto per lampeggiamenti da cui la parola prova a risalire, nuda come un suono e, sempre, controcorrente.

***

Specchio di notte,
divinità debole armata.
Che abbia in sé
istinto d’armonia
o saggezza ingegnosa,
lentamente, cullata
in uno strame,
indivisa scurità
dal giorno.

***

Se getti ombre per me,
calme, senza esperienza,
quel che prima
s’è taciuto o scontentato
sopraggiunge, allora,
e ombra è dura sostanza.

Uomini
di delicato ingegno
passano crucciati
per chiusi canali,
quasi non fossero
famiglia d’un fiume.
Quel fiume
abbonda verso il mare
con una fede
alta come granturco. Continua a leggere

Fabrizio Lombardo,”Coordinate per la crudeltà”

Fabrizio Lombardo

Scrivo il falso – spesso – e svendo le parole
mischiando vergogna e vita vera con la sintassi
della menzogna. Non chiamarlo progetto di poetica
geometria binaria, o gioco d’ombre. Serve più coraggio
a vivere i pochi gesti possibili/ quelli rimasti.
Qualche respiro preso in prestito. La notte, nelle case.

*

Sei la terra e la morte. E forse è il nostro tempo
questo disfare/ e trattenere poi tutto
in una mano. Le case tra gli alberi
tratteggiano una linea dietro la collina.
Sono un margine qualunque d’esistenza
e basterà la prima nebbia oggi, o il fumo
delle fabbriche, a cancellarle.

*

Una natura come questa spaventa. Ci sposta
in un angolo del paesaggio. Siamo la firma.
Le due lettere in basso tra scogliera e cielo. Continua a leggere

Alessandro Ferraro, “Genova di carta”

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

Conoscere una città per i suoi luoghi, i suoi siti storici, i punti di confluenza, le abitudini è un approfondimento necessario per chi abbia voglia e nerbo di «visitare» (stricto sensu). Ma entrare nel battito interno delle vie, nel polveroso respiro dei crocicchi, nella maestà delle costruzioni è tutta un’altra storia. Una storia che riguarda particolarmente la letteratura e i suoi crismi, le sue idiosincrasie. Per questo motivo l’editore siciliano il Palindromo s’è inventato un progetto editoriale di rilievo: la collana “Le città di carta” (di Francesco Armato e Nicola Leo, diretta da Salvatore Ferlita e Fabio La Mantia, copertine di Simone Geraci) che sino a oggi ha visto la pubblicazione di vere e proprie «Guide letterarie con mappa allegata» di Palermo, Catania, Roma, Milano, Torino e — in ultimo — Genova. Alessandro Ferraro, giovane studioso dell’Università della Lanterna, allestisce una vasta galleria di passaggi lirici ed echi autoriali al setaccio dello spirito più vero della città doriana: da Gozzano a Sbarbaro, da Campana a Montale, da Sanguineti a Gadda, da Caproni a De Signoribus, con citazioni petrarchesche e osservazioni camusiane, passando per Testa, Franco, Tabucchi, Ortese, fino ad arrivare a De André e alla mitica scuola cantautoriale.

«Genova è tanto lirica? — si domanda Ferraro — Perché ha ispirato e istigato a scrivere tanta poesia? Forse è la prospettiva che inganna, ma qualcosa di singolare è successo, parzialmente giustificabile con la conformazione della città e quasi per nulla con la costituzione e il carattere dei genovesi (esibito nei romanzi)». Camminare per quei carruggi lungo quei moli, tra ascensori, funicolari, palazzi, salite discese e risalite significa anche indugiare in una grande impalcatura poetica, in un enorme castello di ispirazione «d’argento e stagno» (come vuole Caproni), «contro uno sfondo di perla» (come vuole Montale), «per lastrici sonori della notte» (come vuole Sbarbaro). Continua a leggere

Nella poesia di Milo De Angelis

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

La poesia di Milo De Angelis è una delle poche consolidate nello scenario lirico attuale del nostro paese. A essa è dedicato un intenso libro collettaneo, L’avventura della permanenza, che tenta di vivificare lungo l’asse critico italo-francese un articolato e aperto discorso sulle fondamentali costanti dell’autore lombardo e sulla piena certificazione della sua permanenza nel tempo.

Come scrive nella Prefazione uno dei curatori, Alberto Russo Previtali, «la consapevolezza di questa temporalità ha certamente sollecitato il desiderio critico che è all’origine del presente volume, seguendo il quale diversi studiosi hanno risposto positivamente al progetto di una monografia collettiva in cui fossero presentati e indagati alcuni aspetti centrali e decisivi della poesia di De Angelis». Si tratta, dunque, di un progetto ad ampio raggio che nasce da «una Giornata di studi organizzata dall’équipe di ricerca “Il laboratorio” dell’Università di Tolosa “Jean Jaurès”». L’aventure de la permanence. Temps, langage et désir dans la poésie de Milo De Angelis, seminario svoltosi nel novembre 2018 e arricchito dalla presenza dello stesso De Angelis, «ha avuto l’obiettivo — prosegue Russo Previtali — di riunire alcuni studiosi attivi in Francia attorno a diversi aspetti fondamentali della sua opera. Il secondo tempo del progetto è stato ovviamente quello, denso e lento, della scrittura dei saggi a partire dagli interventi e dagli scambi, dalle idee, dalle sensazioni della Giornata. Per i curatori si è aperto quindi il tempo del traghettamento della circolazione orale e affettiva delle idee alla loro sedimentazione e sistemazione scritta: nella forma del libro».

Come si è già anticipato, il volume è ricchissimo di spunti: si parte da un’introduzione di Luigi Tassoni sul concetto di «tragico» e da cinque bellissimi inediti di De Angelis che confermano il suo legame con il mondo infero classico. La prima parte — nettamente teoretica e dedicata al tempo, al linguaggio e allo spazio — è attraversata da interventi sulle «vertigini del senso» (Jean Nimis), sulla «dinamica dell’istante urbano» (Giorgia Bongiorno), sul laboratorio di Voci (Luigi Tassoni) e sull’alterità (Alberto Russo Previtali). La seconda parte, invece, più tecnico-pratica, è rivolta alla traduzione e agli intertesti: Jacques Demarcq, Sylvie Fabre, Laura Toppan e Paolo Bellomo si confrontano con l’«enigma» del tradurre e l’opera di De Angelis, emblema stesso di un trans-ducere (“trasportare”) tra dialogicità, interrogazione e allegoria. Infine, un’appendice, extravagante rispetto al convegno, raccoglie tre saggi — di Jean-Baptiste Para, Tommaso Di Dio e Maria Vittoria Lodovichi — su Incontri e agguati, la silloge più recente edita nel 2015.

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Jolanda Insana, “Frammenti di un oratorio”

Jolanda Insana, credits ph Dino Ignani

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accurrìti accurrìti gente
me figghia me figghia
portate una scala
me figghia
’na scala ’na scala
pigghiate me figghia
accurrìti accurrìti
u focu u focu
sa mancia
viva
a fini du munnu
a fini da so vita
viniti curriti
’na scala
tièniti tièniti
figlia

***

scanto
scanto grande
e mascelle serrate
narici aperte per assecondare il respiro
strette le chiappe per darsi un contegno
molli le gambe nel sobbollimento
di terra e mare
e gli occhi aggrottati
nel boato
finita
è finita la vita
ma riprende a fiatare
disserra la bocca
si tocca la testa
con due dita si carezza le guance e trema
non sa cosa c’è dietro la porta
di lì è passata la morte

***

impazzirono
e avevano sete
e non avevano acqua
e nudi correvano
alle finestre senza vetri
al balcone franato
con gli occhi insanguinati
in pianto Continua a leggere