E’ Jean-Charles Vegliante il vincitore del Premio Ceppo internazionale poesia Piero Bigongiari

Jean-Charles Vegliante

La consegna del riconoscimento alla Carriera avverrà giovedì 7 ottobre 2021 alla Biglioteca San Giorgio di Pistoia (Auditorium Terzani) alle ore 16.30.

Il poeta vive in Francia, a Parigi, ed è uno dei maggiori poeti fra i contemporanei

L’autore leggerà la “Ceppo Piero Bigongiari Lecture 2021” appositamente scritta per l’occasione e pubblicata all’interno del volume Rauco in noi un linguaggio appena edito da Interno Poesia.

L’antologia contiene le ultime poesie di Vegliante, con alcuni importanti inediti, ha la cura e le traduzioni di Mia Lecomte, poeta e traduttrice dal francese, collaboratrice della rivista di poesia comparata “Semicerchio”.

Vegliante e Lecomte leggeranno le poesie e le traduzioni contenute nell’antologia.

Fra gli interventi, quello del professor Stefano Carrai (professore della Scuola Normale Superiore di Pisa) sul rapporto fra Dante e Vegliante.

Alla manifestazione saranno presenti gli studenti del Liceo Linguistico “Filippo Pacini” guidati da Cecilia Ballotti che interverranno con domande e commenti: le migliori saranno premiate con buoni libri offerti dalla Fondazione Caript da spendere alla Libreria Lo Spazio di Pistoia per il Premio Ceppo Giovani.

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Ruggero Cappuccio, al Mercadante presenta il suo ultimo romanzo

Palermo è un’isterica, ama solo la sua sofferenza, e quando riesce a goderne trasforma il dolore in arte.

Con questi pensieri Manfredi rivede dopo una lunga lontananza la sua Sicilia. Ha quarantatré anni ben portati, il gusto raffinato dell’antiquario, lo sguardo inafferrabile ed è tormentato e insieme nostalgico proprio come la sua città, dove rientra su richiesta dell’anziano e amato zio Rolando. Giorno dopo giorno, lo zio lo coinvolge nel racconto dei suoi ricordi, una vita appassionata che si intreccia alle ricerche della Natività di Caravaggio, rubata dall’oratorio di San Lorenzo nel 1969 e mai più rinvenuta.

Tra un capitolo e l’altro del mistero che si dispiega attorno a uno dei furti più eclatanti della storia, Manfredi deve affrontare anche i propri personali fantasmi che ha lasciato accovacciati tra i vicoli della bellissima e spietata città. Primo fra tutti l’amata Flavia, che lo abbandonò all’improvviso, inducendolo a prendere la decisione di lasciare l’isola. Mentre la relazione con lo zio Rolando si fa via via più profonda e carica di presagi, gli incontri con una bambina di strada fanno deragliare Manfredi verso un’inesplorata immagine di sé.

La voce di Ruggero Cappuccio si insinua tra le pagine a suggerire pause e cadenze di una sicilianità antica e preziosa, ci invita a passeggiare in una Palermo decadente che accoglie le insonnie notturne, il sapore degli amori finiti e canta la perdita umana, ma anche la vita che si rinnova e torna a chiamarci. Continua a leggere

Edmond Rostand, “Il Bosco Sacro”

Edmond Rostand (1868-1918)

 

 

Il Bosco Sacro è certamente un’opera unica nel panorama del teatro e della poesia del Novecento. Questo testo di Edmond Rostand, pubblicato per la prima volta nel 1908 (rappresentato come pantomima) e che finalmente esce in lingua italiana grazie alla traduzione di Stefano Duranti Poccetti, mette insieme mito e contemporaneità. Porta all’incontro tra gli dèi e una FIAT 35-45 HP che giunge in una foresta mistica abitata da presenze divine che saranno così meravigliate dal veicolo da volerlo addirittura provare. Il testo si fa perfetta allegoria della Parigi abitata dall’Autore, attenta al passato e perennemente devota al progresso.

Il bosco sacro

L’ombra di tre cipressi sull’erba avanza.
Mentre in lontananza s’argenta un cielo di Grecia,
presso una sorgente che scola, sprofondando in stagni,
gli dèi si sono seduti su un bosco d’ulivi.

È l’ultimo dei boschi sacri.

Il mare tranquillo
s’allunga sul fondo, ancora più bianco intorno a una penisola.
Si scorgono, lievemente sfiorati da un po’ d’aria,
i glauchi olivi biancheggiare come il mare.
Degli alti e riflessivi allori, splendidamente cupi,
sono vicini ai meno alti allori dove rose crescono,
contraendo il fogliame con nero sdegno.
Gli dèi restano seduti come in un giardino.
Sono là, familiari, armoniosi, pacifici,
senza sforzarsi d’essere invisibili.

Giunone, riconoscibile dalle belle pieghe del collo,
quanto per lo scettro d’oro da cui emerge un cuculo;
Venere pare una statua, vestita
in modo scultoreo con biancheria bagnata;
Marte, dio della battaglia; Apollo, dio del giorno,
il cui arco nell’aria appare più grande di quello d’Amore;
Giove, di cui, questa sera, il sopracciglio s’aggrotta
e che lascia cadere, nel prendere dal rovo una mora,
il fulmine scintillante ai due estremi;
Minerva, dagli occhi più fieri degli occhi dei gufi,
appare sotto gli altri due occhi vuoti e senza pupille
ch’ella ha tolto al cielo, levandosi la visiera;
Diana, di cui la salvia ama lo scarpone,
la quale porta uno stretto diadema; Vulcano,
che, facendo progetti d’arte e di meccanica,
gratta la sua fronte testarda sotto il berretto conico;
e Mercurio, che sente fin dentro il cervello
battere gli alettoni ch’egli ha sul cappello.
Tutti i grandi dei sono lì; tutti, eccetto Nettuno
e Vesta, importunata sempre dalle cose piacevoli,
e Cerere, che si occupa delle spighe imbiondite;
ma tre dei più piccoli rimpiazzano gli assenti:
Pan, che non è mai lontano da un bosco d’Arcadia
e che dalle canne crea sognanti melodie.
Il nettare che circola è versato da Ebe,
mentre Cupido si concede a giochi da bebè,
che sono poco rassicuranti per la gelosa Giunone…
Sicché gli dèi, tutti insieme, risultano dodici.

Edmond Rostand, Il bosco sacro. Le Bois Sacré, traduzione di Stefano Duranti Poccetti, prefazione di Ombretta De Biase, Nulla Die Edizioni, 2021

 

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Jeannette L. Clariond, da “Davanti a un corpo nudo”

Jeannette L. Clariond

Querría entregar mi cuerpo como has entregado el tuyo para un bien mayor. Pero es flaca la carne y débil este espíritu mío. No habría podido mover esa piedra que yacía sobre tu muerte y que sólo Magdalena supo descifrar, pues vio en tus ojos, oh profeta de las palmas, que todo cambia cuando miras.
Eres el dolor de ser mundo.

Vorrei donare il mio corpo come tu hai donato il tuo per un bene più grande. Ma spossata è la carne e debole questo mio spirito. Non avrei potuto spostare la pietra che giaceva sulla tua morte e che solo Maddalena ha saputo comprendere, poiché ha visto nei tuoi occhi, o profeta delle palme, che tutto cambia quando tu ci guardi.
Sei il dolore di essere il mondo.

***

Un cuerpo desnudo es un árbol sin corteza. Su silencio no pide la floración que recubra la desgarradura. Un cuerpo desnudo sabe que nadie puede ver su desnudez: dentro de su carne corre un río de soledades. A las tres de la tarde se oscureció aquel mar. A las tres en punto de la tarde tu desnudez inflamó de amor todo mi cuerpo.
Hay pasiones que queman la raíz, hay amores que arden más que mil hojas de pergamino.
Aun fuera del pote, ardería la flor.

Un corpo nudo è un albero privo di corteccia. Il suo silenzio non ha bisogno della fioritura che rivesta le lacerazioni. Un corpo spoglio sa che nessuno può vedere la sua nudità: nella sua carne scorre un fiume di solitudine. Alle tre del pomeriggio quel mare si fece oscuro. Alle tre in punto del pomeriggio la tua nudità gonfiò di amore tutto il mio corpo.
Ci sono passioni che bruciano le radici, ci sono amori che ardono più di mille pagine di pergamena.
Anche fuori dal vaso, arderebbe il fiore.

***

Cada tarde regreso a tu cuerpo y siento una inmensa aflicción al verte abandonado, sostenido del madero por ese clavo ardiente esperando que alguien desprenda los declives de la decepción. Pero, nacida como soy, carezco de la fuerza para ascender a tu reino, ese reino tuyo, vislumbrado mas nunca alcanzado. Yo no puedo con el peso de tu cruz, en mi corazón no ha nacido la rosa que, al desencadenarse el estruendo del mundo, llague tu cuerpo de misericordia.

Ogni pomeriggio torno al tuo corpo e sento un’immensa tristezza nel vederti abbandonato, sorretto sul legno da quel chiodo ardente, nella speranza che qualcuno possa allontanare i pendii della delusione. Ma, nata così come sono, non ho la forza di ascendere al tuo regno, quel tuo regno, intravisto eppure mai raggiunto. Io non ce la faccio con il peso della tua croce, nel mio cuore non è nata la rosa che, scatenandosi il fragore del mondo, piaghi il tuo corpo di misericordia.

***

Aprendí a beber mi propia sed. Aprendí que, para soñar tu rostro, era necesario negarme en el amor. Así me hice una contigo, así arrastré mis pies por el desierto. Ese desierto que tú habías sembrado de espinas para probar que el amor es así: un caminar ciego sin pedir nada a quien se ama. Entonces opté por callar, por devorar los mil demonios de mis miedos, acepté que tan sólo era una ancila de tu reino. Viví sin vivir, amé sin amar, me negué buscando aquella rama desnuda donde descansar mi marchito cuerpo.

Ho imparato a bere la mia sete. Ho imparato che, per sognare il tuo volto, era necessario negarmi in amore. Così divenni una con te, così trascinai i miei piedi nel deserto. Quel deserto che tu avevi seminato di spine per dimostrare che l’amore è così: un cieco camminare senza nulla chiedere a chi si ama. Allora ho scelto di tacere, di divorare i mille demoni delle mie paure, volli essere soltanto un’ancella del tuo regno. Ho vissuto senza vivere, ho amato senza amare, mi sono rifiutata di cercare il ramo nudo dove mettere a riposo il mio corpo sfiorito.

Davanti a un corpo nudo, a cura di Alessio Brandolini, Edizioni Fili d’Aquilone, 2021

??????? ? ?? ????? ???? della messicana ???????? ?. ????????, a cura di Alessio Brandolini. Un libro intenso e sensuale, non privo di tensione erotico-religiosa alla Alda Merini di cui l’autrice ha tradotto molti libri, poesia che vibra di passione e forza dove l’amore è “un cammino senza nulla chiedere” e il visibile e l’invisibile si fondono nel prodigioso mistero della poesia.

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Mario Postizzi, da “Aforismi”

Mario Postizzi

Nella corsa aforistica, vince chi sa trovare la scorciatoia che allunga i passi del pensiero.

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Nella leggerezza della mano ritrovi il sotterraneo di una carezza.

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La trasparenza, così sottile da non apparire.

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Mette da parte le parole per dimenticarle. Si riconosce in un punto privo di esclamativi o interrogazioni. Ama Haydn con i suoi addii e una pagina che non si esibisce all’occhio nudo e non oscura il silenzio.

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L’altezza della voce non deve mai superare la profondità dell’occhio che ti sta di fronte.

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Chi scrive aforismi avanza nel cuore incerto di ogni parola, con le mani di piombo, su una gamba, a piccoli passi.

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Desidero incontrarti in punta di penna, di primo mattino, con animo sereno come il volto del cielo spogliato dal temporale.

 

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