
Rome, September 21, 2013.
Gilda Policastro, writer, poet, literary critic and essayist, editor of the magazine Allegoria collaborates with «Alias», «Liberazione», «L’Indice dei Libri del mese ‘, L’Immaginazione. He has published essays and articles, was finalist of Premio 2009 Delfini, photographed in Rome in the Park of Villa Torlonia/Gilda Policastro, scrittrice, poetessa, critica letteraria e saggista, redattrice della rivista Allegoria collabora con Alias, Liberazione, L’Indice dei Libri del mese, l’immaginazione. Ha pubblicato saggi ed articoli, è stata finalista del Premio Delfini 2009, fotografata a Roma nel parco di Villa Torlonia.
Photo: RINO BIANCHI
Il tempo delle metafore
gilda policastro
I linguisti definiscono speciali o settoriali le lingue dei saperi tecnici e specialistici: il diritto, l’economia, il commercio, l’informatica, la medicina, tra le principali. Si tratta di lingue, come chiariva Gian Luigi Beccaria in un saggio ormai classico degli anni Settanta, parlate da una definita cerchia di persone, con riferimento e per scopi condivisi da tutta la comunità. Non si parlano nel quotidiano, ma possono fare irruzione nelle nostre vite quando abbiamo a che fare con un fenomeno particolare: se abbiamo ereditato, ad esempio, sapremo cos’è una successione, se andiamo a fare degli accertamenti e l’esito è negativo, a differenza che nell’accezione comune l’aggettivo potrà tranquillizzarci. Di solito queste lingue e questi saperi ci riguardano in circostanze particolari, perciò difficilmente coinvolgono più persone nello stesso momento. La situazione eccezionale che abbiamo vissuto negli ultimi mesi ci ha invece posto in contatto con un sapere, anzi, più saperi specialistici che hanno riguardato tutti nello stesso arco temporale (o su punti diversi di una stessa linea temporale, come aveva giustamente osservato Paolo Giordano). Abbiamo anche una data: dal 21 febbraio, dalla scoperta del presunto paziente uno (M***** di Codogno, spixellato in spregio al più elementare senso della privacy), giorno dopo giorno siamo entrati in possesso di saperi e competenze che ci erano, per gran parte, estranei. Ci siamo trovati a vivere un’eterna ora di Scienze, e la differenza col liceo è che a questa ora non ne seguivano altre, di Greco, Latino, Dante o Storia dell’arte. Tutto sospeso, in favore dell’unico sapere emergenziale. E ci nutrivamo di parole (secondo la Treccani, un centinaio) che colonizzavano il nostro immaginario in modo sempre più insistito. Alcune le conoscevamo e le adoperavamo già, in senso metaforico: Daniele Giglioli, sulla scorta di Lacan, nel suo libro intitolato Senza trauma alcuni anni fa aveva studiato la narrativa degli anni Zero considerandone i testi-campione come “sintomi”. Di un pezzo molto condiviso nella rete, abbiamo imparato a dire che è “virale”. In un saggio del 2003 intitolato Poésie action directe Christophe Hanna aveva introdotto il concetto di “poesie-virus” in riferimento a quei casi in cui la poesia “abbandona la forma del libro venduto sullo scaffale di libreria […] per agire all’interno di altri sistemi simbolici: i cartelloni cittadini, il sito web di tendenza, il giornale, la rivista, il cd-rom pedagogico o enciclopedico” (così nella traduzione di Gherardo Bortolotti e di Michele Zaffarano). Salto di specie, indubbiamente. La scienza si è ripresa il suo e abbiamo risemantizzato queste parole nella loro accezione originaria: oggi non si può dire che il sapere scientifico, anche minimale, elementare, sia pur corrotto da un’informazione non sempre scrupolosamente fedele alle fonti e al contesto inevitabilmente conflittuale degli scienziati (abbiamo, tra l’altro, imparato a riconoscere e a tifare per gli esperti delle diverse branche, dai virologi agli epidemiologi agli infettivologi agli statistici), non sia effettivamente entrato nel lessico famigliare e quotidiano. Di tutti. Se i termini sono tornati alla scienza, le parole (per riprendere la distinzione leopardiana tra i primi e le seconde) hanno tentato di riprendersi la loro forza evocativa, soprattutto nella costruzione di metafore. La pandemia è una “guerra contro un nemico invisibile”, la prima e più abusata: peraltro favorita dagli stessi scienziati, che hanno sin da subito parlato di “strategia di contenimento” e di “coprifuoco” per il nostro confinamento (o lockdown). Poi si è diffusa quella forse più pertinente, ossia la metafora del fuoco: la pandemia è un enorme incendio, che divampa per focolai inizialmente piccoli (le 44 polmoniti sospette di Wuhan). Papa Bergoglio si è infine servito della metafora della barca (magari non proprio “la stessa” per tutti), presa dal Vangelo di Marco: “Svegliati Signore, non lasciarci in balia della tempesta”. La parola ha reagito all’invadenza dei termini con i suoi anticorpi: immagini semplici, retoriche ma efficaci. Lo scatto successivo spetterebbe alla poesia, che è però un meccanismo più lento, inadatto a battere il terreno della comunicazione. Si potrebbe dire, per paradosso, che è un movimento contrario alla metafora (o meglio, alla metafora da pronto intervento, a reazione immediata), che cerca, semmai, una metafora senza meta, destinata a proseguire. Ho l’impressione che le poesie pandemiche si scriveranno da sole, per sedimentazione, tracciando una mappa dei focolai interni alla lingua, incrociando i dati. Mi viene in mente Morselli e il “silenzio da assenza umana” che in Dissipatio “non scorre, si accumula”: intanto nei mesi scorsi sui media e sui social, per l’algebra invertita del silenzio pandemico, abbiamo visto scorrere, e insieme addensarsi, un pandemonio.
Pandemonio
Guida piano che c’è il coronavirus
Li abbiamo visti tutti i cinesi
mangiare i topi
etciù (voice over: eccheccazz’)
Il virus c’era già: una buona notizia
Lavatevi sempre le mani
nel tempo di tantiauguriate (completo)
(area covid
signora può indossare i guanti
curva epidemica)
Anche i gatti sono contagiosi
Il virus si conserva nelle lacrime dei malati mantenere le distanze di un metro, signori
per
favore,
grazie
(le terapie intensive, gli intubati)
Non esiste nessuna patente d’immunità
(rischio sostenibile
nuova normalità)
Sì, anche nell’acqua (reflue, non rubinetti) scusi, si può mettere la mascherina,
mentre mi parla
Dipende dal numero dei tamponi
Se R0 è 0,5 per essere infettati servono
due malati
(carica virale, tempesta citochimica,
concetto di dose infettante)
Non c’è abbastanza reagente
L’Italia è il paese europeo con più tamponati
Uomini contagiati: 104.634
di cui deceduti: 18.449 (letalità: 17,63%).
Donne contagiate: 122.535 di cui
decedute: 12.568 (10,26%)
-È morto quello dei Camillas. Mirko
-Ma di ꙮ?
– Sì.
Ore 19 scatta il divieto d’asporto
Non potete togliere ai nostri figli la socialità
Ridate ai nostri figli l’ultimo giorno di scuola
(i runner
le chiese
Aboubakar)
La (eventuale) mutazione non diventi un alibi
Problemi cronici per il 30% dei malati
Non c’è abbastanza materiale umano
(asintomatici
pauci-presintomatici
anticorpi monoclonali
plasma)
cento nuove parole di uso quotidiano
secondo Iss e Treccani
non è il tempo dei party
il silenzio da assenza umana
(sintomo incubazione delle movide
curva epidemica
tampone)
non scorre
(termoscanner
distanziamento degli assembramenti
gel disinfettante)
si accumula
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Uomini contagiati: 104.634
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Donne contagiate: 122.535 di cui
decedute: 12.568 (10,26%)
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non è il tempo dei party
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non scorre
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distanziamento degli assembramenti
gel disinfettante)
si accumula