Andrea Ponso, “Cantico dei cantici”

AndreaP12Nota di traduzione del “Cantico dei cantici”  di Andrea Ponso

Il mio tentativo di approssimazione al testo ebraico è di tipo “letterale”. Non nel senso di una pedissequa versione di supporto – ma, piuttosto, come un’azione di traduzione che diventa, essa stessa, fedeltà, per quanto possibile, alle articolazioni non solo dei significati (forse mai tanto sfuggenti e, per questo, vivi, nell’ebraico), ma della stessa struttura della frase e della sintassi. Tutto questo porta nella lingua d’arrivo qualcosa che la sfigura, anche nelle sue regole grammaticali – ma rimane, per quanto possibile, seppure al suo interno, sempre altro: quasi come un parlare straniero ma nella propria lingua.

Del resto, in questa lingua granulosa e basica, ma capace di racchiudere schiumare di miele anche tra i cardi e le pietraie delle radici consonantiche delle parole – una sorta di minuscolo alveare, ogni parola, in cui il soffio vocalico porta il nostro alito e quello che anima il mondo, lo coinvolge e lo responsabilizza nella scelta delle vocali – il termine dabar significa sia “parola” che “azione”, sia la cosa che la sua voce; tanto che l’intera creazione non smette, fin dal principio, di creare tramite il dire.

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Mara Seveglievich, “Le ragioni del cuore”

sevegliovichNello scaffale

Dalla prefazione di Stefano Strazzabosco

Gli esordi sono come fondazioni di città: si tracciano dei solchi, si bonifica il terreno, si sceglie un sito adatto al tempio, la caserma e il palazzo; si chiama un sacerdote a consacrare il tutto ai numi tutelari, e poi si inizia a costruire, a innalzare le case e le mura. Col tempo, le città crescono o spariscono, diventano grandi o tornano di nuovo solo “arena ed erba”. Cartagine fu rasa al suolo, il suo terreno bruciato col sale, i suoi abitanti trucidati o venduti come schiavi; Roma era stata un semplice guado, ma già nel I secolo contava un milione di abitanti. Vicenza, invece… qualcuno ha voglia di parlare di Vicenza?

Le ragioni del cuore di Mara Seveglievich propongono un tracciato ben definito, ben orientato e soprattutto propizio alla vita – parola che, insieme a “cuore”, ricorre più spesso in queste pagine. Un avamposto, un piccolo paese, non ancora una città, (né tantomeno una lottizzazione); un luogo non lontano dal mare e nemmeno dagli outlet delle grandi firme né – ovviamente – dai negozi di cosmesi; un po’ di stanze dedicate ai Lari (in questo caso il padre), con presenze e affetti (Paolo, Giovanna, la famiglia etc.), provviste di utensili da cucina, di cassettoni e di letti, di libri d’arte e di letteratura. […] Continua a leggere

Amedeo Modigliani e la collezione Netter

Elvireconcollettobianco1E’ in corso a Roma la mostra “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter” (a cura di Marc Restellini, Museo Fondazione Roma – Palazzo Cipolla, dal 14 novembre 2013 al 6 aprile 2014).

LA MOSTRA

Sono oltre 120 le opere esposte, per ricostruire il percorso di artisti che vissero a Parigi nel quartiere di Montparnasse agli inizi del Novecento: Modigliani, Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon, Kisling e altri ancora. Queste opere non sono state mostrate al pubblico da più di settant’anni, e oggi ricompaiono come se fossero uscite da un altro mondo. Così Marc Restellini, curatore della mostra ‘Modigliani, “Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter” in corso nelle sale del Museo della Fondazione Roma, promossa da Fondazione Roma, Comune di Milano, Palazzo Reale, Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e del Polo Museale della Città di Roma e prodotta e organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con la Pinacothéque de Paris. Continua a leggere

Bernardo Pacini, “Cos’è il rosso”

rossoLetture

Dall’Introduzione di Gianfranco Lauretano

Probabilmente per Bernardo Pacini la poesia è una questione di tempi: più sono rapidi meglio è. Le immagini, l’eco visiva dei tanti luoghi visitati che qui sono riportati, i fotogrammi della sua Firenze giovane e notturna, decisamente originale, scorrono nei testi senza tanti discorsi. L’unità di tutto è altrove, probabilmente nello sguardo di un poeta per il qualela poesia non è un discorso sul mondo ma un’esperienza compiuta attraverso le parole. La rapidità del dettato viene allora da una verosimiglianza col reale, così come lo vediamo in scena in Séma-phoròs, la poesia iniziale e, dunque, in qualche modo proemiale, da cui è tratto infatti il titolo della raccolta. “La mia fortuna è che so scherzare d’istinto”, attacca il poeta, ma la sterzata non evita la dialettica col pedone che intralcia il passaggio e che rovescia su di lui la domanda. […]

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Mariapia Veladiano, “Ma come tu resisti vita”

veladianoNello scaffale

“Ma come si fa a non prendere e stringre mani fino a sentir male, guardare fino a far lacrimare gli occhi, come si fa a vivere così, sapendo.
Sapendo che possiamo celebrare finalmente insieme la diaspora dal nostro egoismo, fare una cosa sola, o anche due, e così scendere dal calvario di una vita che intanto ci inchioda a esser soli, sordi, ciechi e scontenti.
L’ottimismo e voler resistere al male, comunque.”

Mariapia Veladiano crede nelle parole che fanno la differenza. Le sceglie per noi, ce le affida. Affinché queste parole possano essere nostre compagne. Il libro è quasi un dizionario dei sentimenti. In esso ci sono il bene e il male che si confrontano,  si osservano, si sfidano, come in questa piccola prosa che ho scelto per voi,  che ha per titolo “Tenerezza”. Ha a che vedere con gli abbracci, quelli che fanno la differenza e che mancano, mancano ovunque, quando si è piccoli, ma anche quando si è adulti.
Proviamo ad ascoltare queste parole.
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