Sebastiano Vassalli (1941–2015)


Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il macigno bianco che oggi non si vede. Nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.

(Sebastiano Vassalli, La chimera)

Cinque anni dopo la scomparsa di Sebastiano Vassalli (26 luglio 2015) e trenta anni dopo il successo del capolavoro La chimera rileggiamo le parole dello scrittore.

Sebastiano Vassalli nasce a Genova nel 1941 ma fin da bambino vive a Novara. Tra gli anni sessanta e settanta, nei quali insegna dopo la laurea in Lettere con una tesi su arte contemporanea e psicanalisi discussa con Cesare Musatti, partecipa alle vicende della neoavanguardia nell’ambito del Gruppo 63, all’inizio dipingendo e fondando una piccola casa editrice e riviste quali “Ant.Ed.” e “Pianura”.
Esordisce con testi poetici affermandosi con alcune prose sperimentali (Narcisso è del 1968, cui seguono Tempo di màssacro e L’arrivo della lozione, sempre da Einaudi, presso cui pubblica anche il poemetto Il millennio che muore); nella pagina travasa, attraverso un furore linguistico e una satira culturale, le inquietudini politiche e sociali di quegli anni. Rispetto a queste esperienze giovanili Abitare il vento del 1980 segna il primo tentativo di distacco e svolta. Il protagonista, come nel successivo Mareblù, si sente incapace di cambiare il mondo con metodi trasgressivi e rivoluzionari (chiedendosi alla fine: contro chi?). Continua a leggere

La poesia di Margaret Atwood

 

Margaret Atwood

Morning in the Burned House

In the burned house I am eating breakfast.
You understand: there is no house, there is no breakfast,
yet here I am.

The spoon which was melted scrapes against
the bowl which was melted also.
No one else is around.

Where have they gone to, brother and sister,
mother and father? Off along the shore,
perhaps. Their clothes are still on the hangers,

their dishes piled beside the sink,
which is beside the woodstove
with its grate and sooty kettle,

every detail clear,
tin cup and rippled mirror.
The day is bright and songless,

the lake is blue, the forest watchful.
In the east a bank of cloud
rises up silently like dark bread.

I can see the swirls in the oilcloth,
I can see the flaws in the glass,
those flares where the sun hits them.

I can’t see my own arms and legs
or know if this is a trap or blessing,
finding myself back here, where everything

in this house has long been over,
kettle and mirror, spoon and bowl,
including my own body,

including the body I had then,
including the body I have now
as I sit at this morning table, alone and happy,

bare child’s feet on the scorched floorboards
(I can almost see)
in my burning clothes, the thin green shorts

and grubby yellow T-shirt
holding my cindery, non-existent,
radiant flesh. Incandescent.

Mattino nella casa bruciata

Nella casa bruciata faccio colazione.
Capirai: niente casa, niente colazione,
invece eccomi qua.

Il cucchiaio che si è fuso raschia
la ciotola che pure si è fusa.
non c’è nessun altro in giro.

Dove sono andati, il fratello e la sorella,
la madre e il padre? Via lungo il mare,
forse. I loro abiti sono ancora sulle grucce,

la pila dei piatti accanto al lavello,
accanto al fornello a legna
con la gratella e il bollitore incrostato,

ogni dettaglio è chiaro,
la tazza di latta e lo specchio grinzoso.
Il giorno è luminoso e senza canto,

il lago è blu, la foresta vigile.
A est un cumulo di nubi
lievita il silenzio come pane scuro.

Vedo i ghirigori nella carta oleata,
vedo i difetti nel vetro,
le vampe dove il sole batte.

Le mani e le gambe non me le vedo
e non so se è un problema o una benedizione,
ritrovarmi qui, dove ogni cosa

in questa casa si è da tempo estinta,
pentolino e specchio, cucchiaio e ciotola,
perfino il mio stesso corpo,

perfino il corpo che avevo allora,
perfino il corpo che ho adesso
mentre siedo a tavola stamattina, sola e felice,

piedi nudi di bimba sulle assi bruciacchiate
(li vedo quasi)
nei miei abiti in fiamme, i calzoncini verdi leggeri

e la maglietta gialla bisunta
che tiene insieme la mia inesistente, cinerina,
carne radiosa. Incandescente. Continua a leggere

Addio ad Alberto Arbasino, lo scrittore irriverente

Alberto Arbasino

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Penso che uno dei libri che maggiormente rappresenti Arbasino, sia “Fratelli d’Italia”. Un libro intelligente che soltanto un intellettuale della sua portata avrebbe potuto scrivere. Il romanzo, edito da Adelphi, racconta uno sfrenato «viaggio in Italia» degli anni Sessanta, uno smisurato Grand Tour di ventenni on the road. Ma che Italia era quella!

Cosi si legge nel risvolto di copertina:

“Quando fu pubblicato nel 1963, “Fratelli d’Italia” era un romanzo di avventure intellettuali e picaresche attraverso le follie del boom economico e le metamorfosi della società e del paesaggio, delle illusioni e dei caratteri.

Oggi questo romanzo ci viene incontro come l’opera «totale» di una vita. Così rinasce tutto nuovo questo libro irriverente e imponente, che racconta l’Italia di allora e di oggi più di qualsiasi summa, con l’estro insolente di un autore che ha saputo infondere nella lingua e nella letteratura italiana una leggerezza e una mobilità senza precedenti.

Comico, enciclopedico, spettacolare, efferato, divertentissimo, questo romanzo di formazione, di conversazione e di idee si presenta anche come una ricapitolazione allucinatoria del Novecento europeo: pieno di figure storiche e personaggi reali, di scoperte e polemiche, di peripezie mondane e aneddoti autentici e battute pazzesche. Notti senza fine di giovani che discutono dei loro autori e dei loro amori fino all’alba, progettando grandi opere-sogno letterarie e teatrali e musicali vere o immaginarie o fantastiche. Continua a leggere

Itzhak Katzenelson, “Canto del popolo yiddish messo a morte”

La descrizione degli ebrei d’Europa si fonda sul terrorismo di un esercito contro inermi di ogni età e sesso. L’invasione della Polonia, settembre 1939, è accompagnata da annunci radio dei tedeschi in polacco che invitano la popolazione a nulla temere da loro. “Ma l’ebreo”, grida di colpo la radio, “l’ebreo deve tremare.”

Erri De Luca

IL LIBRO

Rinchiuso nel campo di internamento, il poeta ebreo polacco Itzhak Katzenelson nell’autunno del 1943 inizia a scrivere il Canto. Lo seppellirà dentro tre bottiglie tra le radici di una quercia, dietro il filo spinato del campo di Vittel, in Francia. Il manoscritto verrà ritrovato grazie alle indicazioni fornite dalla sopravvissuta Miriam Novitch e pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1945. Questa edizione è a cura di Erri De Luca che del libro dice: “Ho imparato lo yiddish per arrivare al Canto. […] Traduco il Canto perché è il canto dei canti, il vertice in poesia dell’esperienza della distruzione. […] Nel Canto c’è la vita feroce che vuole resistere con parole proprie e sceglie per resistenza la poesia”. Continua a leggere

Antonella Anedda, da “Notti di pace occidentale”

Antonella Anedda

Aspetta che scenda la temuta notte, che scompaia
la luce dal crepuscolo, e ruoti
la terra sul suo asse.
Questa è la verità di questa sera incerta
sui cespugli di acacie e sulle case
questa è la sua misura – un acro di deserto.

Sopporta i tuoi pensieri dentro il buio
che avanzino in fitte di memoria.
Puoi schierarli fino a crinali di spavento
fissarli vacillare quando la pianura si oscura
attenderne il ritorno ora che il cane tace
e la mente si spegne
per un attimo forma senza male
anima del geranio
teso sulla ringhiera.

Antonella Anedda, da Notti di pace occidentale, Donzelli, 1999 Continua a leggere