Nicola Bultrini, “La specie dominante”


FRONTESPIZIO BULTRINI[1]
Dalla prefazione di Franco Loi

Due sono gli aspetti di fondo di questo nuovo libro di Nicola Bultrini: da una parte la memoria delle persone e dei luoghi amati, dall’altra il calarsi nell’esperienza del nostro tempo, che egli esprime con un verso, “la notte ha sapore d’acqua amara”; un aspetto, quest’ultimo, molto significativo se ci rendiamo conto di vivere nel buio della mente; strano, ma non sorprendente, che proprio l’impiego onnivoro della mente nella pretesa di conoscere la nostra vita e il mondo in cui viviamo sia stato chiamato “il secolo dei lumi”. È proprio la presunzione di aver ridotto il destino dell’uomo e del mondo a un sistema logico, detto ideologia, a far sparire la luce della speranza dalla nostra vita. Nicola Bultrini esprime molto efficacemente con le sue parole il senso personale del nostro precipitare nel buio: “Guarda quant’è grande / il mio corpo / quanta carne e sangue / è un peccato tenerlo tutto insieme / occupare lo spazio / vorrei farlo a pezzi / e regalarlo”.
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Roberto Deidier, “Solstizio”

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Dal 17 giugno 014 è in libreria il nuovo libro di poesie di Roberto DeidierSolstizio“, pubblicato nella collana Lo Specchio Mondadori.

“Con Roberto Deidier invece torneremo ad assaporare la dimensione del vivere quotidiano, attraversato da qualche rivolo di smarrimento e di anelito passionale, ma articolato in modo sobrio e intenso.” (Renato Minore)

“Solstizio” segna la piena maturità di Roberto Deidier che dopo 12 anni torna con una raccolta poetica. Questo libro rappresenta probabilmente il punto più alto della sua ricerca, un’opera al tempo stesso coerente e composita, che passa da brevi testi lirici ad altri di più ampia articolazione poematica, che attraversa i tempi dell’amore e del dolore, che osserva con sguardo acuto la realtà circostante, i luoghi e le città, leggendo il senso della vita come nelle declinazioni opposte del ‘solstizio’, e dunque nell’aprirsi dello splendore estivo e poi nel ritorno dell’oscurità invernale. Continua a leggere

Mariastella Eisenberg, “Madri vestite di sole”

 

eisenbergPrefazione di Giampiero Neri

Le poesie che compongono la presente raccolta di Mariastella Eisenberg hanno il titolo piuttosto sconcertante di Madri vestite di sole.

Perché vestite di sole?

Perché, potremmo dire anche noi, la verità è nuda e il dolore è nudo.

Nel prologo breve ma intenso, l’autrice ce ne dà presto una ragione. Il tema ricorrente di queste poesie, il filo rosso che le tiene insieme sarà la perdita di una figlia, una sua “creatura”, come dice lei stessa, e il solo modo di parlarne sarà la verità, giusto il titolo di Baudelaire, Mon coeur mis à nus, che sembra richiamare il titolo di Mariastella Eisenberg Madri vestite di sole.

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Renato Gorgoni, “Al ritmo di putipù”


gorgoni1[1]Poesie trasversali

Prefazione di Emilio Isgrò

Ne sono trascorsi di anni dal mio primo incontro con Renato Gorgoni. Passavo per la Via Umberto I della mia città, Barcellona di Sicilia, quando vidi all’angolo con Corso Garibaldi uno di quei furgoncini carichi di libri che Einaudi mandava in giro per la provincia italiana nel tentativo di conquistare un pubblico a quell’epoca veramente pigro e sparuto.

Era l’inverno del 1954 e la mia città, dove io frequentavo il primo anno del liceo classico “Luigi Valli”, era piena di una polvere sabbiosa che un po’ saliva con il vento dal mare, un po’ scendeva dalle montagne argillose che si sfaldavano all’aria. Continua a leggere

Vera Lúcia de Oliveira, “La carne quando è sola”

 

la_carne_quando_solaLa carne quando è sola” (Società Editrice Fiorentina, 2011) è un libro potente e intenso scritto da una poetessa brasiliana che insegna in Italia (un raro caso di bilinguismo poetico perfetto) e che sapientemente mescola due tradizioni culturali opposte: quella della poesia del corpo e del suo scontro-incontro con la vita, e quella animata dalla sempre affiorante idea di un oltre-vita, percepito come contraddittorio e sfuggente.

Vera Lúcia de Oliveira lascia parlare diverse personae (una terza persona alternata a un io ora maschile, ora femminile) che mai si impastano davvero con i fatti minuti della realtà riuscendo invece a distaccarsene per giungere a considerazioni generali spesso gnomiche e filosofiche (sulla transitorietà del nostro passaggio terreno, sul desiderio che lo anima e sulla sempre presente percezione di una mancanza) compensate da un inesausto bisogno di ricerca di senso (di cos’altro deve in fondo parlare un poeta?) che si materializza in urli rochi e lamenti sottili, piccole particelle di consapevolezza che ostacolano e contengono la disillusione o il grado zero della speranza (forse la cifra della raccolta) mediante il riconoscimento del valore epigrafico delle parole poetiche, guizzi semivivi del linguaggio divenuto il segno di una evidenza ormai accettata.

Alessandro Polcri Continua a leggere