Claudia Ruggeri

Claudia Ruggeri

di Giovanni Ibello

È il 27 ottobre del 1996 quando Claudia Ruggeri decide di lanciarsi nel vuoto: ha solo 29 anni e una bellezza adamantina. Insostenibile.
La sua poesia, un lungo testamento precoce fatto di accensioni visionarie e virtuosismi lessicali, è oggetto di un percorso ondivago. Parliamo di una poetessa per lungo tempo dimenticata dalla critica (accademica e militante), ma anche mitizzata da un nutrito gruppo di fedeli seguaci.
Forse il primo che si è concretamente interessato alla sua opera è stato Mario Desiati che nel 2005, le dedica un lungo intervento sulla rivista “Nuovi Argomenti”, con la contestuale nonché parziale ripubblicazione di “Inferno minore”.
La poesia della Ruggeri, feroce ma decadente… ha il tono di una tragica profezia: è barocca e dissacrante, dal lessico eclettico e senza pudore.
Un dettato scarnificante che non inganna – non finge – è un dire escatologico che tuttavia, chiede al lettore uno sforzo. Il lettore deve tendere la mano, deve fidarsi. Solo così si compie il passaggio, il rituale della parola che – citando Luzi – “tocca nadir e zenith”. Solo così tutto si tiene. Continua a leggere

Jolanda Insana, in memoria di te

                                                                                                 Jolanda Insana

Jolanda Insana è nata a Messina nel 1937. Laureatasi in lettere, si è trasferita nel 1968 a Roma, dove è vissuta fino alla scomparsa nel 2016. Ha pubblicato le raccolte: Sciarra amara (Guanda, 1977), Fendenti fonici (Società di poesia, 1982), Il collettame (Società di poesia, 1985), La clausura (Crocetti, 1987), Medicina carnale (Mondadori,1994), L’occhio dormiente (Marsilio, 1997), La stortura (Garzanti, 2002), La tagliola del disamore (Garzanti, 2005), Tutte le poesie 1977-2006 (Garzanti 2007), Satura di cartuscelle (Perrone, 2008), Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina (Viennepierre, 2009), Turbativa d’Incanto (Garzanti, 2012). Attualmente le poesie di Jolanda Insana si trovano nel volume garzantiano del 2007 Tutte le poesie (1977 – 2006). Si è dedicata inoltre alla traduzione di vari classici greci e latini, tra cui Saffo, Plauto, Euripide, Alceo, Anacreonte, Ipponatte, Callimaco, Lucrezio, Marziale; e del medievista Andrea Cappellano. Continua a leggere

Giancarlo Pontiggia, “Ades, Tetralogia del sottosuolo”

Il libro comprende quattro brevi pièce teatrali di Giancarlo Pontiggia, poeta, saggista e traduttore fra i più importanti del panorama letterario italiano contemporaneo. Il titolo, rimandando all’ambientazione infera dei testi, costituisce innanzi tutto – ades è l’imperativo singolare, oltre che la seconda persona dell’indicativo presente, del verbo latino adsum – l’invito rivolto alla persona divina, a palesarsi, a essere presente. Il cuore del lettore, dunque, è condotto a meditare intorno al vero dramma dei giorni, al nodo inestricabile della coscienza: l’enigma di salvezza e redenzione sullo sfondo della solitudine dell’uomo, inascoltata seppure rischiarata di promesse simili all’accecante bagliore di un funebre lampo. Ma la parola Ade, che in greco allude alla sfera dell’invisibile, vuole anche significare la cifra di una catabasi, di una discesa nelle profondità dell’essere attuata grazie al mirabile, al reciproco illuminarsi, nella pagina dell’autore, di cultura classica e sapienza cristiana, di memoria del passato e di apertura sul presente. Continua a leggere

Gianluca Chierici, “Il grido sepolto”

Gianluca Chierici

dalla Nota introduttiva di Milo De Angelis

Gianluca Chierici – poeta delicato, visionario e fiabesco che stringe la propria sapienza in trentadue testi ad alta densità metaforica – sigilla il suo breve viaggio con queste parole, rivolte a una altro, a una donna, a se stesso, a tutti noi:

Non perdere il poeta per trattenere l’uomo.
L’uomo è un fiore qualsiasi.
Il suo costume è buffo.
Il passo incerto barcolla tra le foglie di memoria.
Egli clona se stesso ad ogni istante,
in visi e corpi nascosti tra i rami.

Trattieni il poeta.

Il suo cuore è tutto un secolo.

“Trattieni il poeta”, non farlo scomparire, fa’ che duri per il tempo eterno del suo secolo, ossia del suo cuore. Questo suggerimento è anche un imperativo e ci costringe a ripercorrere dalla sorgente il fiume che sfocia nella sentenza finale, a redigere “un documento che sia antico nel suo mistero e nel suo ardore”, a restare nell’abbraccio strettissimo/ che sale verso l’ignoto”. Perché il senso dell’antico e del mistero, la percezione di un canto ferito e l’assedio dello sconosciuto premono potenti su queste pagine. Pagine indifese e urlanti, solcate da un grido che è anche una profezia: il nostro verso è interamente vulnerabile e solo chi è poeta può accompagnarlo in un viaggio così pieno di insidie e di rischi mortali. Continua a leggere