Nanni Cagnone, il poeta della meditazione e del silenzio

Nanni Cagnone, fonte Wikipedia

Il libro più recente che ho fra le mani di Nanni Cagnone s’intitola Tacere fra gli alberi (Coupe d’idée, Edizioni d’arte di Enrica D’Orna, 2014). E’ certamente uno degli ultimi testi pubblicati da questo eccellente e appartato poeta nato in Liguria nel 1939 che ha alle spalle una copiosa bibliografia con più di una trentina d’opere di poesia uscite in Italia e all’estero.

Su “Tacere fra gli alberi
di Antonio Devicienti

Tacere fra gli alberi di Nanni Cagnone (Coup d’Idée, Torino 2014) sembra possedere una struttura che, aperta dal titolo, viene chiusa con un icastico verso che è identico al titolo stesso, riaffermandolo: Sí, tacere fra gli alberi (p. 61); questo fatto esplicita l’idea che Cagnone ha della poesia, la quale può manifestarsi proprio in dialogo con il silenzio o, meglio, con lo scegliere il silenzio quale argine fecondo per la parola poetica, quale suo inveramento e punto d’arrivo, ma non annullamento, come si potrebbe semplicisticamente ritenere, né come ingenuo e sterile guardare alla cosiddetta ineffabilità che genererebbe il silenzio: il silenzio esiste invece come necessario polo del dire e viene espresso con un verbo (tacere) che implica un’azione e una scelta. Proprio “Il silenzio, soggetto del dire” di Discorde (La Finestra Editrice, Lavis 2015, p. 25) viene definito “un dono” a pagina 39 dello stesso volume. O si potrebbe anche affermare che la lettura, inaugurata dal titolo, porta, col suo procedere, a quell’accettazione finale, adulta e consapevole, del tacere fra gli alberi, ma promettendo, comunque, una nuova tappa futura del discorso poetico. “Guardo la foresta miniaturizzata d’un capitello corinzio, che non cresce né diminuisce. Continua a leggere

Pietro Russo, “A questa vertigine”

Pietro Russo

di Loretto Rafanelli

Lettura ardua, orfana di nomi, di indicazioni, di vie collaudate dalla storia e nella storia, poesia infine collocata nella ricerca di una identità impossibile. In A questa vertigine (Italic), Pietro Russo ci situa in una ‘palude’ esistenziale e storica, dove il lettore brancola tra un Io invadente e una ricerca di senso rispetto le cose del mondo. Ma non è questa la poesia acerba che deborda nel personale, nell’eccesso di una introspezione, perché comunque Russo ha occhi attenti per guardare il guardabile, ma soprattutto ha occhi attenti per tentare di guardare l’inguardabile. Continua a leggere

Poesie della strage

Matteo Fantuzzi / Credits Daniele Ferroni

di Eleonora Rimolo

Dal 2 agosto del 1980 sulle orizzontali tracciate dai binari della stazione di Bologna non si muovono solamente treni e viaggiatori: il silenzio della memoria, infatti, sussurra continuamente la storia terribile di una strage, e così farà per sempre, perché è lì che si comprende/il senso di una strage,/quando il silenzio avvolge e copre/senza scelta e senza distinzione. È con questi versi che Matteo Fantuzzi, ne La stazione di Bologna (Feltrinelli 2017), delinea immediatamente la quiete attonita che segue per un attimo l’esplosione. In questa sua raccolta di versi tutta dedicata al senso di quel massacro e all’estrema umanità con la quale Bologna si è rialzata, Fantuzzi descrive in maniera puntuale i fatti di cronaca, citando i nomi delle vittime, ancorando responsabilmente il verso alla realtà, e quindi assegnandogli il fondamentale compito di sottrarre all’oblio un evento che ha cambiato la storia italiana degli ultimi trent’anni. Continua a leggere

“Erotomaculae”, di Sonia Caporossi

Ovvero il barocco isterico e l’enfasi morale di chi si ama (e sbrana) quotidianamente

di Antonio Bux

Sonia Caporossi, in questa sua raccolta d’esordio dall’emblematico titolo Erotomaculae (Algra Editore 2016), erige una specie di Torre babeliana sotto il segno divisorio e spiazzate di un barocco elettrico, nervoso, perciò isterico, che pullula di immagini ridondanti sangue e carne. Queste immagini bisognano di un sostegno cartografico e incisorio per mostrare letteralmente questo affannarsi, questo annaspare nella voglia, nel piacere, ossia nell’Eros che qui non è mai porno, non è mai o-sceno. Anzi, questo Eros è la scena stessa del dettato che è fame di sapere e di raggiungere il desiderio, o meglio, quella ricerca spasmodica di desiderare l’altro, dove l’altro è l’altrove del corpo. Continua a leggere

Giovanni Ibello, “Turbative siderali”

Giovanni Ibello

 

Quando tutto sarà finito
sarà il sonno a irrigidire gli occhi
ma prima della fine
c’è una retrospettiva lenta dell’infanzia
una campionatura degli amori.
Poi il respiro si risolve
in un orgasmo neuronale,
è come un’implosione
di pianeti nella mente
una turbativa siderale
del corpo che ritorna seme. Continua a leggere