Katherine Mansfield (1888-1923)

Katherine Mansfield

THE GULF (1916)

A Gulf of silence separates us from each other.
I stand at one side of the gulf – you at the other.
I cannot see you or hear you – yet know that you are there.
– Often I call you by your childish name
And pretend that the echo to my crying is your voice.
How can we bridge the gulf – never by speech or touch
Once I thought we might fill it quite up with tears
Now I want to shatter it with our laughter.

IL GOLFO

Un golfo di silenzio ormai ci separa l’uno dall’altro.
Io sono su una sponda del golfo – tu dall’altra.
Non posso vederti o sentirti, ma so che ci sei.
– Spesso ti chiamo con il  tuo nome antico
E pretendo che l’eco di me  sia la tua voce.
Come possiamo varcarlo? Mai con la parola
O il senso. Una volta pensavo che potremmo riempirlo
di lacrime. Ma ora voglio frantumarlo con le nostre risate.

 

VOICES OF THE AIR

But then there comes that moment rare
When, for no cause that I can find,
The little voices of the air
Sound above all the sea and wind.
The sea and wind do then obey
And sighing, sighing double notes
Of double basses, content to play
A droning chord for the little throats –
The little throats that sing and rise
Up into the light with lovely ease
And a kind of magical, sweet surprise
To hear and know themselves for these –
For these little voices: the bee, the fly,
The leaf that taps, the pod that breaks,
The breeze on the grass-tops bending by,
The shrill quick sound that the insect makes.
VOCI DELL’ARIA

Ma poi arriva quel momento raro
Quando, per una causa a me sconosciuta,
Le piccole voci dell’aria
Suona soprattutto il mare e il vento.

Il mare e il vento allora obbediscono
E sospirando, sospirando doppie note
Di contrabbassi, contenti di suonare
Una ronzante corda per le piccole gole –

Le piccole gole che cantano e si alzano
Verso la luce con deliziosa quiete
E una specie di magica, dolce sorpresa
Ascoltarsi e conoscersi per questi –

Per queste piccole voci: l’ape, la mosca,
La foglia che percuote, il baccello che si spezza,
La brezza sulle cime dell’erba che si piega,
Il suono acuto e veloce che fa l’insetto.

Traduzione di Luigia Sorrentino

Kathleen Mansfield nacque in Nuova Zelanda nel 1888, iniziò la sua produzione narrativa con lo pseudonimo di Katherine Mansfield. Frequentò il Queen’s College di Londra e in seguito preferì restare nella città, perché la sentiva più congeniale al suo spirito inquieto e alle sue aspirazioni di scrittrice. Dopo il fallimento del primo matrimonio con un giovane tenore, sposò nel 1918 il critico John Middleton Murray. In quell’anno, ammalatasi gravemente di tisi, cominciò a viaggiare in Francia, in Svizzera e in Italia, alla ricerca di un clima più mite di quello inglese. Morì nel 1923.

Il suo Diario fu pubblicato postumo (1927) a cura del secondo marito, Middleton Murry, che si preoccupò di sistemare e rivedere anche altri scritti inediti.

I racconti

Le raccolte di racconti (Una pensione tedesca, Beatitudine, La casa della bambola, Festa in giardino, Il nido delle colombe) presentano di solito intrecci brevi, episodi di poche ore sullo sfondo di un ambiente ristretto (la casa, il giardino, la scuola). Sono storie semplici, ma ricche di sensazioni e stati d’animo che caratterizzano le figure femminili.

La poesia di Natalie Diaz

If I Should Come Upon Your House Lonely in the West Texas Desert

By Natalie Diaz

I will swing my lasso of headlights
across your front porch,

let it drop like a rope of knotted light
at your feet.

While I put the car in park,
you will tie and tighten the loop

of light around your waist —
and I will be there with the other end

wrapped three times
around my hips horned with loneliness.

Reel me in across the glow-throbbing sea
of greenthread, bluestem prickly poppy,

the white inflorescence of yucca bells,
up the dust-lit stairs into your arms.

If you say to me, This is not your new house
but I am your new home, 

I will enter the door of your throat,
hang my last lariat in the hallway,

build my altar of best books on your bedside table,
turn the lamp on and off, on and off, on and off.

I will lie down in you.
Eat my meals at the red table of your heart.

Each steaming bowl will be, Just right.
I will eat it all up,

break all your chairs to pieces.
If I try running off into the deep-purpling scrub brush,

you will remind me,
There is nowhere to go if you are already here, 

and pat your hand on your lap lighted
by the topazion lux of the moon through the window,

say, Here, Love, sit here — when I do,
I will say, And here I still am.

Until then, Where are you? What is your address?
I am hurting. I am riding the night

on a full tank of gas and my headlights
are reaching out for something.

 

Dovessi mai imbattermi nella tua casa solitarianel deserto del Texas occidentale

Farò roteare il mio lasso di fari abbaglianti
nella veranda sulla facciata,

lo lascerò cadere come una corda di luce annodata
ai tuoi piedi.

Mentre parcheggio la macchina
tu annoderai e stringerai il cappio

di luce al tuo polso —
e io mi farò trovare lì con l’altro capo

avvolto tre volte
attorno ai miei fianchi che hanno corna di solitudine.

Tirami a riva, all’amo nel mare luce-pulsante
di Thelesperma, di Argemone albiflora,

della infiorescenza bianca delle campanule di yucca,
su per le scale illuminate dalla polvere fin nelle tue braccia.

Se tu mi dici: Questa non è la tua nuova casa
ma io sono la tua nuova casa,

io entrerò nella porta della tua gola,
appenderò in corridoio il mio ultimo lazo,

erigerò il mio altare con i libri migliori sul tuo comodino,
accenderò e spegnerò la lampada, accesa e spenta, accesa e spenta.

Mi sdraierò in te.
Consumerò i miei pasti nella mensa rosa del tuo cuore.

Ogni coppa fumante sarà: Peeerfetta.
Mangerò fino all’ultima briciola,

spaccherò tutte le tue sedie.
Se cercherò di fuggire tra sterpi e arbusti che virano a viola
[profondo,

tu mi rammenterai:
Non c’è alcun posto dove andare se sei già qui,

e seduta ti batterai piano la mano sulle cosce illuminate
dalla luce-scorpione della luna che filtra dalla finestra,

dirai: Qui, Amore, siediti qui — e sedutami
dirò: Ed eccomi ancora qui.

Fino ad allora, Dove sei? A che indirizzo?
Sto male. Guido tutta notte

con il pieno di benzina e gli abbaglianti
che si proiettano in cerca di chissà cosa.

 

da Nuova Poesia Americana, Traduzione di Damiano Abeni

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La poesia del britannico Jacob Polley

Jacob Polley photo Mai Lin Li

Proponiamo per la prima volta nella traduzione di Bernardino Nera cinque poesie inedite in Italia del poeta e scrittore britannico Jacob Polley (1975).

Jacob nel 2016 ha vinto il T.S Eliot il premio di poesia più prestigioso della Gran Bretagna. Le sue poesie si traducono in opere che sono, allo stesso tempo, impegnative e emotivamente impegnate. In una intervista, la giornalista Aida Edemariam ha descritto la voce di Polley come “di volta in volta maliziosa, demotica, diretta e divertente”. (The Guardian, 2017). Questa è sicuramente una delle voci dei personaggi che Polley porta nelle sue poesie. C’è poi, nei suoi versi, una qualità oscura, nordica, che in qualche modo ricorda Ted Hughes, con una poesia che attinge a scene di vite rurali o marginali.

La poesia The Ruin (The Havocs, 2012), che qui viene proposta nell’inedita versione tradotta in italiano, è ispirata all’omonimo componimento poetico in Old English del VII secolo, contenuto nel manoscritto Exeter Book, risalente al periodo storico inglese della dominazione anglo-sassone del paese. Le altre poesie, sempre inedite in italiano, sono incluse nelle raccolte The Brink del 2003 Little Gods del 2006 e The Havocs del 2012.

Snow (The Brink, 2003)

It survives in quiet places
like a rare species
whose haitat is silence
and closed roads. It upholsters
the empty park bench
with long creaking bolsters
and lags the fields like draughty lofts.
Look up – the night’s in pieces
or the moon’s sieving
its desiccated seas;
there’s a glamour about the roofs
and even the old car
on bricks in the yard seem natural,
tucked up to the axles
in this delicate impasse.
Bridle path and motorway unite
under the wastes of space
each gale force renovates,
and only the cat and the blackbird
betray themselves so neatly
in the lawn’s flawless enamouring
that we’ll forgive their few footnotes
at dawn, when we open our doors
and the hard-packed white light
leant against them falls in.

Neve

Sopravvive in luoghi quieti
come una specie rara
il cui habitat è il silenzio
e le strade chiuse. Imbottisce
le panche vuote dei parchi
con lunghi cuscini a rullo cigolanti
e riveste i campi come solai pieni di refoli.
Sguardo in su – la notte è a pezzi
o la luna setaccia
i suoi mari prosciugati;
c’è un bagliore intorno ai tetti
e anche la vecchia auto
nel cortile senza più le ruote sembra normale,
rimboccata fino ai semiassi
in questo delicato impasse.
Un sentiero e l’autostrada si uniscono
sotto i deserti dello spazio
ogni bufera rinnova vigore,
e soltanto il gatto e il merlo
si tradiscono così bene
nell’incanto immacolato del prato
che perdoneremo le loro poche postille
all’alba, quando apriremo le porte
e la luce bianca compatta
posatasi addosso, cadrà dentro.

October (Little Goods, 2006)

Although a tide turns in the trees
the moon doesn’t turn the leaves,
though chimneys smoke and blue concedes
to bluer home-time dark.

Though restless leaves submerge the park
in yellow shallows, ankle-deep,
and through each tree the moon shows, halved
or quartered or complete,

the moon’s no fruit and has no seed,
and turns no tide of leaves on paths
that still persist but do not lead
where they did before dark.

Although the moonstruck pond stares hard
the moon looks elsewhere. Manholes breathe.
Each mind’s a different, distant world
this same moon will not leave.

Ottobre

Anche se una corrente turbina tra gli alberi
la luna non agita le foglie,
sebbene i camini fumino e il blu ceda
al blu più scuro del buio del rientro a casa.

Sebbene le foglie inondino senza posa il parco
di distese gialle, fino alle caviglie,
e la luna si mostri attraverso ogni albero, mezza
o un quarto o piena,

la luna non ha frutti, né semi,
e non fa agitare la marea di foglie sui sentieri
che ancora resistono ma che non portano
dove conducevano prima del buio.

Anche se lo stagno stregato dalla luna guarda fisso
essa volge lo sguardo altrove. I tombini sfiatano.
Ogni mente è un mondo diverso, distante
che questa stessa luna non lascerà. Continua a leggere

Wallace Stevens, “Fabliau of Florida”

Wallace Stevens

Fabliau of Florida

Barque of phosphor
On the palmy beach,

Move outward into heaven,
Into the alabasters
And night blues.

Foam and cloud are one.
Sultry moon-monsters
Are dissolving.

Fill your black hull
With white moonlight.

There will never be an end
To this droning of the surf.

Fabliau della Florida (traduzione di Giovanni Ibello)

Barca di fosforo
Sulla spiaggia di palme,

Spingiti verso la soglia del cielo
Negli alabastri
E nei blunotte.

Schiuma e nuvola sono la stessa cosa.
Gli aridi mostri lunari
Si dissolvono.

Riempi il tuo buio scafo
Con luce di luna.

Mai sarà detta, mai la fine
A questa liturgia di risacca.

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Ungaretti, Montale e Shakespeare

02/10/1957
Nella foto: il poeta Giuseppe Ungaretti a una conferenza
@ArchiviFarabola [258605]

Vi proponiamo adesso la traduzione del Sonetto 33 Full many a glorious morning have I seen di William Shakespeare nella traduzione di Ungaretti e poi, in quella di Montale.

Quale preferite? E perché?

Full many a glorious morning have I seen
Flatter the mountains-tops with sovereign eye,
Kissing with golden face the meadows green,
Gilding pale streams with heavenly alchemy,
Anon permit the basest clouds to ride
With ugly rack on his celestial face,
And from the forlorn world his visage hide,
Stealing unseen to west with this disgrace.
Even so my sun one early morn did shine
With all-triumphant splendour on my brow;
But out, alack! he was but one hour mine,
The region cloud hath masked him from me now.
Yet him for this my love no whit disdaineth;
Suns of the world may stain when heanven‘s sun staineth.

(William Shakespeare)

Ho veduto più dʼun mattino in gloria
Con lo sguardo sovrano le vette lusingare,
Baciare dʼaureo viso i verdi prati,
Con alchimia di paradiso tingere i rivi pallidi,
E poi a vili nuvole permettere
Di fluttuargli sul celestiale volto
Con osceni fumi sottraendolo allʼuniverso orbato
Mentre verso ponente non visto scompariva, con la sua disgrazia.
Uguale lʼastro mio brillò di primo giorno
Trionfando splendido sulla mia fronte;
Ma, ah! non fu mio che per unʼora sola,
E dell’umano clima nubi già l’hanno a me mascherato.
Non lʼha in disdegno tuttavia il mio amore:
Astri terreni possono macchiarsi se il sole del cielo si macchia.

(Traduzione di Giuseppe Ungaretti)

La traduzione di Ungaretti è uscita in Giuseppe Ungaretti, 40 sonetti di Shakespeare, Milano, Mondadori, 1946 (dei quali sonetti, ventidue – ma non il nostro – erano già raccolti in Giuseppe Ungaretti, XXII sonetti di Shakespeare, Roma, Documento,1944).

Eugenio Montale

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