La poesia che chiede di spargersi e andare

Sindrome del distacco e tregua, di Maurizio Cucchi, (Mondadori, Milano, 2019)

Note
di Marco Marangoni

“Polifonia e drammaturgia metrico-prosodiche”, “stacchi in prosa” (A. Bertoni, nella quarta di copertina), ma anche un corredo fotografico, sono i tratti formali, del nuovo lavoro di M. Cucchi, che nel suo insieme mostra come la “poesia” possa proporsi in sintonia con la complessità attuale e postmoderna. Lirica e oltre. Poesia e non solo. Ed è un libro che ci guida anche come un cronotopo, da Černobyl’- teatro del noto disastro nucleare- a Nizza, passando per la familiare e natia Milano.

Notiamo anzitutto come un linguaggio, segnato dalla lezione di maestri quali Sereni e Raboni, si presti a nuove riprese, per temi e approcci; continui cioè a venire elaborato, riuscendo a una cifra “lirica/post-lirica” (comprensiva, sempre più, di uno speciale andamento meditativo). L’effetto finale che viene ottenuto è quello di un suono-senso moderno e classico al tempo stesso, regolato da una “ media quiete” ( “ mediocrità innocua e gentile del mondo”), funzionale ad esprimere tanto il minuzioso quanto il complessivo; e così si vedano espressioni topiche quali “ perso” “pullulare sparso” “centrifugato”, “abbandonato”, “vuoto areo”, “popolatissimo”, “più impalpabile”, “microorganismi”, “orizzontale indifferenza acquatica”, “minutissimo e prezioso”, ecc; il tutto attraversato da una intenzionalità in qualche modo filosofica: “ Il grande occhio dell’essere”; “ l’orizzonte semplice, /lo stesso che animava il messaggio elementare/ del primordiale artista”. La voce inoltre che prende corpo nella scrittura ci giunge diretta, ma anche obliquamente, per un sistema aperto di risonanze. Il fondo tonale, sempre udibile nella lettura dei testi, oltrepassa i significati immediatamente reperibili, e l’alone del “non detto” -la simbolicità- amplifica il tutto. Tale simbolicità non produce però incantamento, ma una spinta (quasi istitutiva della parola) di liberazione espressiva, di decompressione, diciamo, del linguaggio- traccia che ricorda un esordio poetico avvenuto in anni di forte “immaginario” utopico. Continua a leggere

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Nanni Cagnone, “Mestizia dopo gli ultimi racconti”

Nanni Cagnone / Crediste ph Eric Toccaceli

ANTEPRIMA EDITORIALE

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo qui una scelta di poesie tratte dall’ultimo libro di Nanni Cagnone: “Mestizia dopo gli ultimi racconti”, La Finestra Editrice, 2019.

 

I

 

Tutto prese avvío da una parola. Ma non si resiste a lun- go entro una parola. Attendi nel mondo esterno il segno d’una corrispondenza, attendi completarti in un atto.
Le parole sono bisognose. La parola ‘bacio’, ha bisogno di materia, le serve un’altra lingua, ha bisogno d’un bacio. Compiango chi s’impiglia nel contrario.

Tentare in chiusa voce
e non all’aperto,
ne l’universo mondo,
equivale a mancare.
Prestigiatori di sillabe,
sospesi, controluce,
ci sono brezze anche per voi.

 

II

Per il fervore
degli antichi dèi
e le stridule pretese
dei conseguenti,
premuti ancora
su divini aculei.
Anelito
a lasciar in via
gli antenati
dei nostri dolori.

D’ore senza scopo
il balsamo paziente.

III

Cielo, pensato culmine,
concavità a cui s’imposero
leggende, mi volgo indietro
per vederti alto nel tempo
santificar colline,
fermo sui tumulti
con tua volubile eternità.

Altorivolgersi, credersi
accolti, poi ruzzolare,
all’orlo ultimo scoprire
che i libri servono soltanto
a ricordare le parole. Continua a leggere

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Emily Dickinson, la poesia come possibilità

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Margine, silenzio, ellissi: ecco le parole chiave tradizionalmente associate alla produzione letteraria – e alla vicenda esistenziale, che la rispecchia – di Emily Dickinson. Eppure, la lettura attenta dei suoi versi rivela una tensione costante verso ciò che non conosce confini: il microcosmo della stanza entro la quale la scrittrice sceglie di vivere i suoi ultimi anni è lo spazio privilegiato dal quale è possibile osservare le ambiguità del mondo e restituirle sulla pagina attraverso una lingua che, al contrario, risplende nella sua trasparenza. Nelle pause del respiro, nella sincope che caratterizza il metro, Emily Dickinson impara a evadere dalla prigionia della prosa e a proiettarsi verso una possibilità altra, verso una dimora che può essere abitata anche da chi non sa stare ferma – da chi ha imparato a dire la verità, ma a dirla obliqua, perché “il vero deve abbagliare per gradi”. È questa la sua “lettera al mondo”. Continua a leggere

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Elena Salibra, “Dalla parte dei vivi”

ESTRATTO DALLA PREFAZIONE DI MARCO SANTAGATA

Lette in successione, le cinque sillogi raccolte in questo libro mostrano una impressionante maturazione: in quel bruciare i tempi viene progressivamente incenerito ciò, che, pur essendo significativo, non è essenziale. Emerge con nettezza un percorso che dalla sincerità approda alla verità, percorso non a caso speculare, e quindi in apparente contraddizione, a quello che dalla focalizzazione linguistico-espressiva approda alla apparente facilità comunicativa.

Non è una conquista di autenticità, è l’effetto di un fenomeno più profondo, che quasi con violenza ha imposto al soggetto di rivedere le proprie gerarchie di valore e, nello stesso tempo, lo ha costretto a denudarsi. Questo qualcosa è la malattia.

Da qui parte la seconda stagione poetica di Elena Salibra, caratterizzata da un impietoso cadere di veli, di schermi e di alibi. Il nucleo è la rinuncia, forse più imposta che voluta, alla pretestuosa distinzione fra l’io lirico e l’io biografico, dunque al pudore e alla vergogna.

Chi è consapevole di non avere un futuro, non trova più consolazione nel passato: nutre la sola imperiosa esigenza di comunicare questo suo presente, questa sua condizione, l’unica che riesce a concepire. Lo schermo dell’io letterario cade. La voce di Elena si accampa sola. Sola e straordinariamente limpida, ferma, consapevole, ferocemente sincera, e spudorata.

Da “NORDICHE” (2014)

LEGGENDO STEVENS

calpestavamo la gramigna estiva
dietro la casa mentre esplodevano
nuovi germogli oltre la barriera d’alloro.

il sole era alto già quando la piccola
elena di anni due s’accostò alla panchina
per chiedermi cos’era quel tondo di fuoco
in mezzo al cielo. risposi che serviva
per riscaldare la terra ma lei

non era convinta e m’incalzò
con nuove domande. poi d’un tratto
si mise a inseguire la flottiglia
di colorati velieri dentro la vasca

colma col suo sguardo di seta liscio
come una marina di luglio Continua a leggere

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Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne

Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal

Il 25 novembre viene celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, una ricorrenza istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con l’obiettivo di informare, sensibilizzare e prevenire un problema che ancora oggi è estremamente diffuso.

I dati sono allarmanti, in tutto il mondo una donna su tre subisce violenza dai 15 anni in su e, secondo le stime, il 53 per cento delle rappresentanti del sesso femminile evita determinati luoghi e situazioni per paura di essere aggredita.

Per violenza non si intende solo un reato sessuale come lo stupro ma anche le molestie, le discriminazioni di genere, i fenomeni di stalking , un trauma di natura psicologica.

Spesso la violenza avviene fra le mura domestiche, nel 38 per cento dei casi sono i partner a commettere femminicidio.

Il 25 novembre, ovvero il giorno in cui nel 1960 furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, vuole ricordare a tutti l’importanza del rispetto in ogni tipo di rapporto. Continua a leggere

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