In memoria di te, Paul Celan – Volkstrauertag –

In memoria di te, Paul Celan
a cura di Luigia Sorrentino

Le vittime della Shoah furono circa 6 milioni. Fra esse, dovremmo includere un nome, o un non-nome, se preferite: Paul Celan.

Tutta la sua esistenza, incarnò strenuamente l’immane tragedia dello sterminio che  transfuse in sé  e nella poesia al punto da  annullarsi totalmente come persona. L’epilogo di Celan fu il suicidio.  Con quell’atto finale il poeta testimoniò la sua personale vergogna: l’aver  scritto da esule, (viveva in Francia) nella sua lingua-madre, il tedesco, (la lingua-madre degli aguzzini nazisti.)

La sua vita quotidiana si svolse in francese,  “a fronte” dei propri testi scritti in tedesco. Lo sguardo di Paul Celan non si distolse mai dal “Gegenuber” (qualcosa a fronte), che Celan identificò nella Memoria. 

Epilogo. La traduzione del dolore
di Camilla Miglio

Paul Celan ha tradotto, o meglio traslitterato il proprio nome dal tedesco al rumeno. Da Antschel a Ancel. Lo ha poi ripetuto a testa in giù. Cel-An: può suonare rumeno, francese, comunque straniero a orecchie tedesche. La ripetizione del nome, lo pseudo-nome diventa la sua persona nell’interessante accezione latina ricordata da MarKo Pajevic: da per-sonare, risuonare attraverso. Continua a leggere

Carlo Carabba, Canti dell’abbandono

Lo Specchio Mondadori dedica un nuovo spazio ai giovani poeti emergenti pubblicando quattro delle voci più giovani della poesia contemporanea: Fabrizio Bernini, con L’apprendimento elementare, Carlo Carabba con Canti dell’abbandono, Alberto Pellegatta con L’ombra della salute e Andrea Ponso con I ferri del mestiere.
Dopo Fabrizio Bernini è la volta di Carlo Carabba.

“Carlo Carabba offre un quadro di lucida e complessa meditazione lirica, per certi aspetti di impronta classica, mossa in particolare dal turbamento dovuto al mutare dei paradigmi conoscitivi. Tema centrale – realizzato nell’equilibrio di una pronuncia composta e organizzata sulla base di un verso fortemente legato alla nostra migliore tradizione – si può individuare nell’idea paradossale dell’io inteso al tempo stesso come prigione da cui è impossibile sfuggire e come centro unificatore misterioso. Il viaggio, i percorsi della memoria e l’ossessione della mortalità sono tra le articolazioni più vive e frequenti di questa inquieta poesia riflessiva.”
                                                                         (dalla quarta di copertina) Continua a leggere

Monodia, addio a Mario Trevi

Qualche tempo fa ho avuto diversi incontri con Mario Trevi – uno dei primi e più autorevoli psicoanalisti junghiani italiani – scomparso, all’alba del 31 marzo nel 2011.  
Ero andata da lui perchè non riuscivo a rassegnarmi all’ineluttabile morte di una persona a me cara. 
Avemmo in tutto ventisei incontri. Ventisei dialoghi in cui parlammo con commozione e stupore di quel confine che ciascun essere umano raggiunge a un certo punto, quando è necessario lasciare la propria vita. Parlammo dell’importanza del rapporto tra l’uomo e la natura e “di quel dolore”  ineluttabile della morte.

Con Mario Trevi, nato nel 1924 ad Ancona, tornai a rileggere I dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. In quei dialoghi il mito viene riproposto come necessario e la poesia, ad esso intimamente legata, si rivela, al tempo stesso, la cifra, misteriosa e crudele.  
di Luigia Sorrentino

(Nella foto, Mario Trevi, ritratto nel suo studio da Luigia Sorrentino) 

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