In memoria di te, Paul Celan – Volkstrauertag –

In memoria di te, Paul Celan
a cura di Luigia Sorrentino

Le vittime della Shoah furono circa 6 milioni. Fra esse, dovremmo includere un nome, o un non-nome, se preferite: Paul Celan.

Tutta la sua esistenza, incarnò strenuamente l’immane tragedia dello sterminio che  transfuse in sé  e nella poesia al punto da  annullarsi totalmente come persona. L’epilogo di Celan fu il suicidio.  Con quell’atto finale il poeta testimoniò la sua personale vergogna: l’aver  scritto da esule, (viveva in Francia) nella sua lingua-madre, il tedesco, (la lingua-madre degli aguzzini nazisti.)

La sua vita quotidiana si svolse in francese,  “a fronte” dei propri testi scritti in tedesco. Lo sguardo di Paul Celan non si distolse mai dal “Gegenuber” (qualcosa a fronte), che Celan identificò nella Memoria. 

Epilogo. La traduzione del dolore
di Camilla Miglio

Paul Celan ha tradotto, o meglio traslitterato il proprio nome dal tedesco al rumeno. Da Antschel a Ancel. Lo ha poi ripetuto a testa in giù. Cel-An: può suonare rumeno, francese, comunque straniero a orecchie tedesche. La ripetizione del nome, lo pseudo-nome diventa la sua persona nell’interessante accezione latina ricordata da MarKo Pajevic: da per-sonare, risuonare attraverso. Continua a leggere

Robert Frost, “Conoscenza della notte” & altre poesie

Robert Frost (1874-1963). Nato in California, dopo la morte del padre si trasferì a undici anni nel New England. Si accostò, fin dall’infanzia alla poesia di Burns, Wordsworth, Bryant e Poe, per poi specializzarsi nello studio delle lettere classiche. Si diplomò a Lawrence, in Massachusetts, (negli Stati Uniti), frequentò il Dartmouth College e Harward senza mai conseguire la laurea. Gli anni dopo il matrimonio con Elinor White furono travagliati da gravi problemi psicologici ed economici. Nel 1912 decise di dedicarsi completamente alla poesia e si trasferì in Inghilterra, dove pubblicò le prime raccolte molto apprezzate da Ezra Pound: “A Boy’s Will” (1913) e “North of Boston” (1914). Frost si distinguerà per la dialettica, spesso irrisolta, tra modernismo e trascendentismo che lo resero il poeta più popolare fra i contemporanei di lingua inglese. Continua a leggere

Video-Intervista a Roberto Calasso

Roma, 26 marzo 2011
di Luigia Sorrentino

Ho incontrato Roberto Calasso a Roma il 17 marzo scorso, alla John Cabot University, in occasione della prima serata di Tributo a Brodskij (A Tribute to Joseph Brodsky).
Scrittori di fama internazionale come Boris Khersonsky (Russia), Mary Jo Salter (USA), Mark Strand (USA), Derek Walcott (St. Lucia), Adam Zagajewski (Polonia) e Roberto Calasso (Italia), infatti, si sono dati appuntamento in Italia,  il 17 (alla John Cabot University) e il 18 marzo (a Villa Aurelia, sede dell’American Accademy) per ricordare l’opera di poeta e prosatore di Iosif Brodskij, uno dei più importanti scrittori del Novecento. L’evento è stato reso possibile grazie al contributo di Nancy M. O’Boyle, consigliera di amministrazione dell’Accademia Americana e del Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund. All’evento hanno partecipato la Casa delle Letterature, il Comune di Roma, la John Cabot University e La Sapienza, Università di Roma

La conversazione con Roberto Calasso,  (autore di un work in progress di cui finora sono apparsi La rovina di Kasch  del 1983, Le nozze di Cadmo e Armonia del 1988, Ka  del 1996, K. del 2002, oltre al romanzo L’impuro folle del 1974, i saggi I quarantanove gradini  del 1991, La letteratura e gli dèi del 2001, La follia che viene dalle Ninfe del 2005, e la raccolta di risvolti Cento lettere a uno sconosciuto del 2003), partita dall’opera di Brodskij, (che definiva la poesia «l’unica assicurazione disponibile contro la volgarità del cuore umano»), è stata l’occasione per parlare anche del suo ultimo libro, L’ardore, appena uscito nelle librerie.

“L’ardore – spiega Calasso nella video-intervista – è la prima forma che hanno i personaggi centrali del mondo vedico, i veggenti. Un popolo remoto  che apparve più di tremila anni fa nel Nord dell’India. “Il Veda – spiega Calasso – possedeva un «sapere» che comprendeva in sé tutto, dai granelli di sabbia sino ai confini dell’universo. Gli uomini vedici prestavano un’attenzione adamantina alla mente che li reggeva, mai disgiunta da quell’«ardore» da cui ritenevano si fosse sviluppato il mondo.”

http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2011/03/brodsky_24032011.flv