Cesare Pavese, il poeta delle Langhe

Cesare Pavese

Tu non sai le colline

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.

Ascolteremo nella calma stanca

Ascolteremo nella calma stanca
la musica remota
della nostra tremenda giovinezza
che in un giorno lontano
si curvò su se stessa
e sorrideva come inebriata
dalla troppa dolcezza e dal tremore.
Sarà come ascoltare in una strada
nella divinità della sera
quelle note che salgono slegate
lente come il crepuscolo
dal cuore di una casa solitaria.
Battiti della vita,
spunti senz’armonia,
ma che nell’ansia tesa del tuo amore
ci crearono, o anima,
le tempeste di tutte le armonie.
Ché da tutte le cose
siamo sempre fuggiti
irrequieti e insaziati
sempre portando nel cuore
l’amore disperato
verso tutte le cose.

Ti ho sempre soltanto veduta

Ti ho sempre soltanto veduta,
senza parlarti mai,
nei tuoi istanti più belli.
Ma ho l’anima ormai tanto tesa,
schiantata dalla tua figura,
che non trovo più pace
al suo brivido atroce.
E non posso parlarti,
nemmeno avvicinarmi,
ché cadrebbero tutti i miei sogni.
Oh se tale è il tremore orribile
che ho nell’anima questa notte,
e non ti conoscerò mai,
che cosa diverrebbe il mio povero cuore
sotto l’urto del sangue,
alla sublimità di te?
Se ora mi par di morire,
che vertigine folle,
che palpiti moribondi,
che urli di voluttà e di languore
mi darebbe la tua realtà?
Ma io non posso parlarti,
e nemmeno avvicinarmi:
nei tuoi istanti più belli
ti ho sempre soltanto veduta,
sempre soltanto sognata.

Mattino

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare. Continua a leggere

Mario Benedetti, da “Umana gloria”

Che cos’è la solitudine.

Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.

Ho freddo ma come se non fossi io.

Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.

Che cos’è la solitudine.

La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.

L’ho letto in un foglio di giornale.
Scusatemi tutti. Continua a leggere

L’ultimo saluto a Gabriele Galloni

 

Gabriele Galloni

A più di tre mesi dalla scomparsa del giovane poeta Gabriele Galloni, sabato 19 dicembre 2020 alle 14.30 l’urna, contenente le sue ceneri, verrà deposta al cimitero di Santa Ninfa, a Fiumicino, sul litorale tirrenico, il “cimitero dell’acqua e del vento”, accanto al Parco di Villa Guglielmi.

Fiumicino e Focene erano “i luoghi poetici” di Gabriele che ricorrono con evidenza nell’ultima raccolta di versi pubblicata in vita da Gabriele, L’estate del mondo. E proprio Gabriele aveva più volte espresso il desiderio – se mai ne avesse avuto la possibilità – di comprare una casa  a Fiumicino o a Focene.

Su Facebook il giorno 26 agosto 2020, Gabriele aveva scritto un post: “Comunque alla mia morte, voglio come epitaffio i seguenti versi:

“Noi fummo l’immagine dell’uomo,
non la creatura breve ma la traccia.”

I genitori, Irma Bacci e Mario Galloni, hanno rispettato la volontà di Gabriele e hanno inciso sulla lapide i suoi versi, una sorta di testamento della sua poesia.

Gabriele si è spento nel sonno per arresto cardiaco a soli 25 anni la mattina del 6 settembre 2020. Quella notte aveva dormito a casa del padre. E proprio il padre ha raccontato che la mattina del 6 settembre Gabriele si era svegliato verso le 7:00, si era alzato dal letto e avevano avuto una breve conversazione. Poco prima che il padre uscisse per fare la spesa, Gabriele aveva detto che si sarebbe messo a letto per dormire ancora un po’, aveva preso con sé un libro  poi, rivolto al padre aveva detto che avrebbero fatto colazione insieme al suo rientro.

Non è stato possibile … Gabriele non si è mai più svegliato.

(di Luigia Sorrentino)

 

da L’estate del mondo di Gabriele Galloni, Marco Saya Editore, 2019

Abbiamo superato Fiumicino
e tu hai fatto, ricordo, una battuta
su tutto ciò che era passato in questa
vita senza per noi lasciare traccia.

E poi hai indicato il fumo che saliva
dal mare. Tutte le strade erano bloccate
e noi già pensavamo ad altro; a quello
che tutti quanti pensano d’estate.

Campo

Un giorno la vedremo intera, questa
stagione. Basterà
un fuoco in spiaggia a memoria di festa
e il bagnasciuga a dire l’aldilà
delle conchiglie mai raccolte:

Controcampo

così tante – ricordi? – Che per tutta
la notte ci hanno tormentato. In sogno
maree su maree di conchiglie.
Il letto ne fu invaso; le lenzuola
ci ferirono per tutto il tragitto fino alla spiaggia.

**

Noi dormiamo raccolti nell’estate.

Ha smesso già di svegliarci il rumore
del mondo. I nostri piedi sono nudi,
scoperti, ché il lenzuolo è troppo corto.

Il nostro sonno è come una corrente
di risacca; per ore non riusciamo
a svegliarci. Trascorre la mattina

in una luce, una luce che è febbre
da fondale marino; sia destino
guardare tutta la vita da qui.

Sia destino arrivare al pomeriggio
sul filo che divide e l’acqua e l’aria;
e insieme farli in due passi questi anni.

**

I ragazzi alla spiaggia di Focene,
insieme incontro all’onda sonnolenta
che ritornando bagna loro il fianco
adolescente. È questa vita, lenta,

la sua illusione qui della durata
eterna. Quando ciò che resta è il bianco
della parete a fine di giornata;
il mese placido, tempo che viene,

i ragazzi alla spiaggia di Focene.

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Una poesia inedita di Luigia Sorrentino

Luigia Sorrentino / credits ph. Angelo Nitti                            

 

 

Per Antonio Grasso

 

cadevi sempre nei miei occhi
sulla strada

eri capace di fissare
il fuoco per ore
come una belva uscita dalla tana

la parola umida aleggiava nell’aria
di dicembre

l’ardere muto tutto chiuso
nella fornace pettorale

facemmo un patto quella sera

io sarò la tua ombra
tu l’animale di furia
divampato
in un cuore solo

[luigia sorrentino]

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Gabriele Galloni (1995-2020)

Gabriele Galloni

NOTA DI LUIGIA SORRENTINO

Questa foto di Gabriele Galloni mi è particolarmente cara. Me la inviò Gabriele per email il 5 novembre 2017 con alcune sue poesie inedite dal titolo Orazioni di giugno, poi confluite con un altro titolo a gennaio 2018 nella raccolta In che luce cadranno.

Gabriele aveva solo 22 anni quando mi contattò la prima volta.

Era nato a Roma nel 1995, studiava Lettere Moderne all’Università La Sapienza e aveva da poco pubblicato con Alter Ego – Augh! Edizioni la sua prima silloge, Slittamenti.

Lessi la prima poesia fra gli inediti che mi aveva inviato nella email. Era questa:

I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

Gli risposi sempre per email che mi piacevano le sue poesie, e che ne avrei volentieri pubblicato qualcuna sul mio blog. Purtroppo la morte di mio padre, il 4 dicembre 2017, mi tenne lontana da Gabriele e dalla sua poesia.

Fu Ida Cicoira, una mia amica, a riparlarmi di lui. Ma io non ero in grado di recepire nulla in quel momento, totalmente assorbita dal grande cambiamento che aveva occupato la mia vita.

Il giovane poeta Gabriele Galloni si è addormentato senza più svegliarsi il 6 settembre 2020, a soli 25 anni.

A tre mesi dalla scomparsa lo ricordiamo con questi versi tratti dalla sua ultima raccolta: L’estate del mondo, Marco Saya Editore, 2019.

In questi versi si percepisce molto chiaramente la voglia di vivere che aveva Gabriele, un ragazzo dalla personalità dichiaratamente votata alla poesia. Sono versi luminosi, sembrano scritti pensando a un cortometraggio girato con la cura e i dettagli del poeta che vede l’invisibile.  Le poesie sono il ritratto di una giornata serena, trascorsa vicino al mare, contrassegnata da apparizioni e da sparizioni.

Si legga il finale di uno dei testi qui sotto riportati: [… “è bello correre, andarsene via/ da ogni luce che sia/ troppo grande per queste nostre mani.

Sono le parole  di chi vuole possedere il mondo, l’eternità felice di una giovinezza che però sa bene di non poter trattenere quella luce, troppo grande anche per le mani del poeta.  

Gabriele sapeva che la vita e la gioia, sono momenti fugaci, scorrevoli.

I suoi testi sono quelli di chi desidera rimanere negli occhi chiari dell’estate conservando in una tasca molto profonda una conchiglia, raccolta nell’età dei ragazzi, un’età di gioia e di disperazione, l’età della ferita e della bella giornata di sole tanto profonda e lontana da noi da dimenticarsene.

Questa raccolta conserva una luce che partecipa a un sogno:  camminare sul mondo che perde le nostre tracce.

Si legga infine la  poesia Campo/Controcampo: il campo ripreso dal regista-poeta riprende davanti a sé una stagione intera, quella della vita; nel controcampo, in ciò che l’altro vede, il poeta fa riferimento a un tempo trascorso con le tante conchiglie raccolte. Ma  la bella giornata irripetibile , è finita.

Gabriele conosce bene il sentimento della  nostalgia, della perdita, che qui  si intravede, nella consapevolezza che tutto ciò che si vive è destinato ad allontanarsi da noi. E’ qualcosa che avviene davvero in questi versi, e avviene proprio mentre lo si vive, e niente, se non la memoria, potrà riportare in ognuno di noi, l’estate del mondo.

 

I

Nel parcheggio del centro commerciale
mi parlasti di certi
giorni d’isole; giorni dall’uguale
passo del mare misurati interi.
Mi raccontasti poi di come aperti
all’onda i cieli aprissero sentieri
mai apparsi prima, neanche agli occhi esperti
dei residenti che alla roccia e al sale
erano familiari.

II

Io non ti domandavo; solamente
ascoltavo in silenzio, interrompendoti
per mostrarti le foto che prudente
ti coglievo di spalle. E riprendendo
perdevi sempre il filo; ti arrabbiavi
ma un attimo, per finta: ché ignorandomi
presto ricominciavi.
Le corse a perdifiato tra i canneti;
l’eco pomeridiana e l’eco a notte.
L’animale brusio e le sue interrotte
chiamate; e certi libri di poeti
scovati in biblioteche sotto il mare.

 

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