Torna la poesia a Spilimbergo

C  O  M  U   N   I  C  A  T  O      S  T  A  M  P  A  

Dopo il grande successo del Festival della Letteratura Verde il secondo momento letterario che da tre anni accompagna l’estate della provincia pordenonese: Panorami Poetici.

 

Nato dall’incontro della Samuele Editore con il Comune di Spilimbergo, per la direzione artistica di Alessandro Canzian e Roberto Rocchi, il festival viene ospitato quest’anno da Palazzo Tadea e nella sua straordinaria cornice vedrà succedersi poeti da tutta Italia per letture, presentazioni, dialoghi.

 

Alle 16.00 l’inaugurazione dell’Edizione 2021. Alle 16.30 la prima tornata di dialoghi e letture con Elisabetta Zambon, Fulvio Segato, Matteo Piergigli introdotti da Roberto Rocchi. Alle 17.00 Alessandro Canzian presenterà “L’antro siel del mondo” di Ivan Crico (pordenonelegge, 2019). Alle 17.30 Roberto Rocchi introdurrà Giovanni Fierro e Rossella Pretto. Alle 18.00 Rodolfo Zucco presenterà “Alter” di Christian Sinicco (Vydia Editore 2020). Alle 18.30 Alessandro Canzian introdurrà le letture di Beppe Cavatorta, Giuseppe Nava, con l’eccezionale partecipazione di Claudio Damiani. Alle 19 verrà presentato e leggeranno gli autori del contest Vetrine Poetiche. Alle 19.30 la chiusura del Festival con la performance poetica BIL in motion di Martina Campi, Mario Sboarina, Francesca Del Moro, Enzo Campi, Alessandro Brusa (Bologna in Lettere). Continua a leggere

Hopkins, “Il naufragio del Deutschland”

Gerald Manley Hopkins a 19 anni

«Ritmo, energia, intensità d’una lingua magnificamente ostacolata, e una sofferenza a cui non dovevano esser estranei una struggente religiosità, le tacitate propensioni sessuali e lo scontro fra l’umiltà che si pretende dal sacerdote e il necessario orgoglio del poeta.»[…]

Con queste parole Nanni Cagnone, curatore e traduttore de Il naufragio del Deutschland (Giacometti e Antonello, Macerata, 2021) frutto di una rielaborazione durata decenni, descrive le caratteristiche salienti dell’universo poetico di Hopkins.

Part the First. Stanza One

Thou mastering me
God! giver of breath and bread;
World’s strand, sway of the sea;
Lord of living and dead;
Thou hast bound bones & veins in me, fastened me flesh,
And after it almost unmade, what with dread,
Thy doing: and dost thou touch me afresh?
Over again I feel thy finger and find thee.

Prima parte. Prima stanza

Tu che me domini
Dio! donatore del soffio, del pane;
Fibra-lido del mondo, impulso del mare;
Dei vivi e dei morti Signore; ossa e vene
In me hai legato, m’hai affibbiato la carne,
Poi l’opera tua con tale spavento, l’hai
Quasi disfatta: e mi colpisci di nuovo?
Altra volta sento il tuo dito, te trovo.

Stanza Two

I did say yes
O at lightning and lashed rod;
Thou heardst me truer than tongue confess
Thy terror, O Christ, O God;
Thou knowest the walls, altar and hour and night:
The swoon of a heart that the sweep and the hurl of thee trod
Hard down with a horror of height:
And the midriff astrain with leaning of, laced with fire of stress.

Seconda stanza

Sì, io consentii
Oh a vibrata balenante frusta;
Tu mi udisti, più veritiero della lingua,
Ammettere timore di te, o Khristos, o Dio;
Tu sai i muri e l’altare, l’ora e la notte:
Il deliquio d’un cuore che’l tuo scagliarti e squassare
Vertiginato fecero, tutto calpesto: e il prèmito
Del diaframma, contratto, costrizione rovente.

Stanza Three

The frown of his face
Before me, the hurtle of hell
Behind, where, where was a, where was a place?
I whirled out wings that spell
And fled with a fling of the heart to the heart of the Host.
My heart, but you were dovewinged, I can tell,
Carrier-witted, I am bold to boast,
To flash from the flame to the flame then, tower from the grace to the grace.

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La poesia e il disegno di Dagnino

Massimo Dagnino

I MIEI GATTI VI OSSERVANO
di 
Massimo Dagnino

(2019)

      La pioggia abbassa la terra
nel giardino fiori lambiscono l’ombra
immaginaria del suo corpo. Guarda piovere
dal suo sguardo domestico fino a diffidare
del sonno. Potrei rilasciarmi,
come i gatti,
sui cornicioni, a spingermi nel loro inumano
onirismo.
Nel temporale erano cresciute
le zucche, sul tumulo di terra. Il rovescio anticipa
l’inconcludente e alberi alti
asciugano la notte, a voragine
il vigneto colmo declina
nell’incuria della voce: anfiteatro popolato
da gatti alleati, non si lascia tradurre
l’epigrafe irregolare, scivola
in raucedine la strada.

***

Passo del Turchino

l’afa si fa stasi
le viscere gonfiano corpi e fiori
di passiflora deposti (disposti)
dalla madre non arriva
nel sogno il buio tra il fogliame
cronologico l’abitato si estingue.
Fisso il cerchio rosso del segnale
nell’affondo di colline, quel rosso lanciato
a torpedine in collisione.

La casa limitrofa a emanazione
del buio, senza controllo la crescita
asfittica di ortensie tra volti inattuali
commisurato al parlare
un vacuo temporale figura animali
nei lampi a vuoto
un treno fermo, distanziato nei giorni
nello squarcio di vigne – scartati dal tempo –
i miei gatti vi osservano

Ma la segnaletica sbarra la struttura del buio.

Svelta accorcia le scale per infiltrarsi
nel disordine del frutteto, compulsiva non smette
di lavarsi il manto mordicchiandosi da pulci
fastidiose: spia
i cani aguzzando
le orecchie e a inarcarsi nel sonno
nell’ala d’ombra ignara della specie
di piante dove dormire fino al richiamo del nome.
Mastica dove ha più denti
Incisivi, isola la carne e io mi vedo
Nascosto al suo pasto
Notturno, presto reattiva alla pioggia
Ipnotica nel soffio felino
Estingue legami.

28 giugno 2019

***

L’immagine ritorna mentre sparisce
fra piante e la villa in mattoni, si orienta nel suo
territorio fatto di scale, terrazzi, alberi
letti, cartoni su cui rinvigorire
le unghie: si annuncia quando arriva a mangiare.
Ma ora l’insieme si trasla
le zampe sporche, ringhia infastidita
nel nervosismo della coda: ti fissa
mentre le gratti il collo riportandomi
trasfigurato alla mia specie.

Spaventata si avvolge nel suo sonno.
A sollevarla nell’aria mostra una strana gioia
nel labbro leporino, inaspettata
della nuova latitudine.

***

Arriva dallo scollamento del buio, riconosco
la sua andatura indifferente.

La lascio stare
mentre si addormenta seguendo
il profilo curvo della collina.

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Mandel’štam, “Conversazione su Dante”

Nel 1933 Osip Mandel’štam, poeta in disgrazia, «e­ migrato interno» in procinto di diventare carne da lager, «arde di Dante», e studia l’italiano servendo­si della Divina Commedia.

In Crimea durante la pri­mavera scrive Conversazione su Dante, ma quando tenta di pubblicarlo incontra una serie di rifiuti. Di certo il saggio non ha nulla a che vedere con il rea­lismo socialista, né corrisponde al canone degli stu­di danteschi.

Affrancando il «sommo poeta» ita­liano da secoli di retorica scolastica, Mandel’štam ragiona su ciò che presiede alla nascita della sua poesia: in primo luogo, la metamorfosi.

Tutto, nella Commedia, è in movimento, e per il vero lettore, «esecutore creativo», leggere Dante significa rifiu­tarsi di restare incatenati a un presente che a sua volta è saldamente ancorato al passato: «Pronun­ciando la parola “sole” compiamo un lunghissi­mo viaggio al quale siamo talmente abituati che ormai viaggiamo dormendo. La poesia … ci sveglia di soprassalto a metà parola – parola che ci sembra molto più lunga di quanto credessimo –, e in quel momento ricordiamo che parlare è sempre essere in cammino».

Unico poiché sembra comprende­re tutti i linguaggi, quello di Dante evoca il mon­do con irripetibile potenza, e la Conversazione di Mandel’štam, tripudio di luminose intuizioni, co­strutti arditi e metafore inusitate (biologiche, mu­sicali, meteorologiche, tessili), in una prosa conti­nuamente attraversata da squarci di poesia, scor­ge e mette in luce i tratti più moderni, addirittura sperimentali, del suo poetare.

A cura di Serena Vitale. Continua a leggere

Dialoghi sulla Letteratura di Mariella Radaelli

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

Si è percorsi da un brivido di genuino stupore quando si legge l’indice de Il ferro e la rosa. Dialoghi su mondo e letteratura di Mariella Radaelli, posto all’estremità di quattrocentoundici densissime pagine: brivido che cresce allo snocciolare — sicuro e inconcusso — di nomi non certo ignoti, di mostri sacri della letteratura odierna: Isabel Allende, Ray Bradbury, Andrea Camilleri, Jonathan Franzen, Giovanni Giudici, Nadine Gordimer, Günter Grass, Franco Loi, Alda Merini, Amos Oz, Toni Morrison, José Saramago e molti altri. Possiamo continuare a lungo. Una galleria di premi Nobel, giganti della poesia nostrana e straniera, eminenti romanzieri: sono stati tutti intervistati durante la ventennale esperienza giornalistica della Radaelli (che ha rubricato i pezzi per quotidiani come «Il Giorno», «QN», «Corriere del Ticino»; oggi lavora come columnist al «Khaleej Times», dopo essere stata corrispondente per il «New Delhi Times», l’«Italo-Americano» e il «China Daily»). «Le mie scrittrici e i miei scrittori — dichiara l’autrice nell’introduzione — mi hanno insegnato a battagliare i qualunquismi e le sciatterie del quotidiano. Leggerli ha affinato la mia capacità d’ascolto e la mia dimensione riflessiva di conciliazione».

Bene, innanzitutto ciò che emerge dal libro è proprio l’ampia capacità di ascolto della giornalista, il suo farsi da parte per accogliere il pensiero e il punto di vista dell’altro, per lasciar emergere le idee sul mondo, sull’arte, sulla società della personalità letteraria chiamata in causa e puntellata costantemente dagli intelligenti stimoli dell’interlocutrice. Un esempio? L’arditissima intervista Mario Luzi: “Mia madre, la voce di Dio”, pubblicata su «Il Giorno» il 5 aprile 2003.

Ecco uno spezzone: «Luzi, parliamo della sua fede in Cristo. All’inizio non avevo una posizione esplicita, ma dentro di me agiva questa forza spirituale. E il merito è stato di mia madre. L’ha anche scritto in “La porta del cielo”. Sì, è stata lei a insegnarmi a sentire la presenza del Cristo nell’eucarestia. Aveva un legale “umbilicale” con sua madre. L’ha paragonata a Monica, la madre di Sant’Agostino. Avevamo anche noi quei colloqui, quelli che Agostino aveva a Ostia con Monica. I miei rapporti con mia madre, che era una donna molto semplice, sono stati formalmente umili ma di sostanza. Il nostro è stato un rapporto bellissimo. A lei ha dedicato molte poesie, molte raccolte. Fino all’ultimo svolse i suoi compiti, lei scrive: “Preparò l’ultima cena”. Il richiamo cristologico non è casuale. Lei ha fatto dello Spirito la sua principale materia poetica.

Ho solo cercato di ristabilire, ma non so se ci sono riuscito, il fondamento spirituale del linguaggio poetico. Esiste però un “salto” tra la poesia, che contiene in sé nell’etimologia del vocabolo la radice del fare, e la preghiera. La contemplazione è qualcosa di superiore: un’immobilità che non rompe il silenzio, come invece accade quando ci si mette a scrivere». Continua a leggere