Quasimodo, l’essenzialità della poesia

Salvatore Quasimodo

VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull’acque
delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima.

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

Vento a Tindari compare nella prima raccolta poetica di Salvatore Quasimodo, Acque e terre (1920-1929).

***

ED E’ SUBITO SERA

Ognuno è solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Da : Ed è subito sera (1942)

***

LETTERA ALLA MADRE

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.»

Da: La vita non è sogno (1949) Continua a leggere

Tudor Arghezi & Salvatore Quasimodo

Tudor Arghezi

Mi sono difeso invano e ora mi nascondo nell’ombra
della luna bianca, l’alta lancia spezzata.
Ho messo terre e acque tra noi come ostacoli,
e siamo, in ogni luogo, vicini.
T’incontro su ogni sentiero in attesa,
eterna silenziosa compagna.
Prendi per me nel cavo
delle mani l’acqua delle sorgenti
che esce tra templi e pietre senza rumore.
Ti slacci la camicetta e coi seni nelle mani
domandi: «Vuoi dissetarti qui o alla fonte?»
Hai accostato la tua bocca alla mia piegata
al ghiacciolo per bere con me la sua scintilla.
Confusa in ogni cosa, come ombra o pensiero,
la luce ti porta in sé e la terra ti ha fatto crescere.
In ogni suono il tuo silenzio: nelle tempeste
nelle preghiere nel passo dell’uomo e nei liuti.
Ciò che soffro è dolore per te,
tu sei in ogni cosa che nasce o muore,
vicino a me e pure cosí lontana,
sposa sempre promessa, mai sposa.

Tudor Arghezi nella traduzione di Salvatore Quasimodo, tratto da “Tudor Arghezi, Poesie”, Mondadori, 1966

Salvatore Quasimodo

Cîntare

M-am apărat zadarnic şi mă strecor din luptă
În umbra lunii albe, cu lancea naltă ruptă.
Pusei pămînt şi ape, zăgaze între noi,
Şi sîntem, pretutindeni, alături, amîndoi.
Te întîlnesc pe toată poteca-n aşteptare,
Necontenita mută a mea insoţitoare.
Pe la fîntîni iei unda pe palme şi mi-o dai,
Iscată dintre pietre şi timpuri, fără grai.
Ţi-ai desfăcut cămaşa şi-ntrebi cu sînii-n mină
De vreau s-astîmpăr setea din ei sau din fîntînă.
Ai dus la ţurţur gura cu gura mea plecată,
Voind să bei cu mine scînteia lui deodată.
Amestecată-n totul, ca umbra şi ca gîndul,
Te poartă-n ea lumina şi te-a crescut pămîntul.
În fiecare sunet tăcerea ta se-aude,
În vijelii, în rugă, în pas şi-n alăute.
Ce sufăr mi se pare că-ţi este de durere,
De faţa-n tot ce naşte, de faţa-n tot ce piere,
Apropriată mie şi totuşi depărtată,
Logodnică de-a pururi, soţie niciodată.

Tudor Arghezi, da “Cuvinte potrivite”, 1927. Continua a leggere

Come si può leggere una poesia

Biancamaria Frabotta, Credits photo Dino Ignani

di Carmelo Princiotta

Notte della memoria

Messi a tacere i testimoni scomodi
spente le gesta e le genti scampate
agli argini smossi, disseminati
monti d’abiti smessi, denti d’oro, pennini
e sciarpe e scarpe e più di cento spille
come quando s’empie il cielo di stelle…

Notte della memoria è una breve poesia apparsa ne La pianta del pane (Mondadori, 2003) e poi compresa in Tutte le poesie 1971-2017 (Mondadori, 2018) di Biancamaria Frabotta. Non tutte le poesie del libro sono titolate, quindi il titolo, se presente, ha un valore semantico importante e non una semplice funzione identificativa. Notte della memoria è il contrario di Giorno della Memoria. Perché questo titolo? Forse perché, mentre celebriamo il Giorno della memoria, in realtà viviamo la Notte della memoria. Notte della memoria è una poesia di preoccupazione testimoniale: nasce dal silenzio forzato dei testimoni (un silenzio dovuto a cause biologiche – i testimoni dei campi di annientamento non vivranno per sempre – o a responsabilità politiche e civili, come il negazionismo o la crisi di coscienza storica in cui versa l’Occidente). Questo non è detto. Vediamo come si comporta la poesia. Notte della memoria riprende uno dei pochi punti d’intensità di Auschwitz di Salvatore Quasimodo («e ombre infinite di piccole scarpe / e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie») e lo trasforma in una sigla autoriale (la paronomasia è un po’ la “firma” di Frabotta): la paronomasia scarpe/sciarpe è preceduta dalla paronomasia smossi/smessi e seguita dalla paronomasia spille/stelle, per di più esposta in chiusa come una para-rima (con un rilievo certo maggiore rispetto alla rima imperfetta scampate : disseminati). Non è un vezzo manieristico, come il gesto del pittore che si ritrae nei propri quadri, prestando il volto a un personaggio magari secondario, la creazione di un campo di tensione semantica. La metafora del titolo veicola un contenuto etico. Continua a leggere

Salvatore Quasimodo, “Lirici greci”

Salvatore Quasimodo

Nel Cinquantesimo anniversario della morte di Salvatore Quasimodo una nuova edizione di quello che è stato definito il capolavoro del poeta siciliano, la sua traduzione dei lirici greci.

Un vertice di limpida bellezza atemporale: in estrema sintesi è questo il prodigio poetico di un’opera che va oltre il mutare degli orientamenti estetici e che è stata capace di stupire ed emozionare generazioni di lettori come raramente accade, o come accade solo ai veri classici. La celebre versione dei Lirici greci di Salvatore Quasimodo è un duplice capolavoro, per la mirabile essenzialità poetica dei testi originali e per le virtù di chi ha saputo trasformare quei versi antichi in insuperabili esempi di purezza lirica, insieme trasparente e profondissima, nella nostra lingua. Come scrive Giuseppe Conte nella prefazione, «Quasimodo vede il suo incontro con i lirici greci come il coronamento di un suo percorso destinale: quel suo sentirsi esule ma sempre figlio di un’isola che, per paesaggi, mitologie, memorie storiche, è, tra le terre dove oggi si parla e si scrive in italiano, la più vicina alla Grecia e al suo patrimonio di poesia e di mito». Continua a leggere

Padri 2: “Il tema del padre nella poesia italiana del Novecento”

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A Milano, al Laboratorio Formentini, giovedì dalle ore 19:30 alle ore 20 secondo appuntamento: “Il tema paterno nella poesia italiana del Novecento”.

A cura di Milo De Angelis.

Letture di Viviana Nicodemo

Giovanni Pascoli, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro,  Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto,  Pier Paolo Pasolini, Franco Loi, Cesare Viviani,  Roberto Mussapi, Maria Pia Quintavalla, Mario Benedetti, Alberto Bertoni, Giuseppe Genna.

Casa della Poesia di Milano – Via Formentini,10