
Franco Loi, Credits ph. Dino Ignani
di Umberto Piersanti
Con Franco Loi si chiude l’antologia di Pier Vincenzo Mengaldo e si chiude un’epoca. Il grande interprete della poesia novecentesca, non a caso, ha sempre asserito che gli era molto difficile se non impossibile parlare degli autori venuti dopo. Si chiude anche la stagione dei grandi poeti dialettali che ho conosciuto di persona e che con lui hanno portato questo tipo di scrittura a livelli molto alti: Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Nino Pedretti e Franco Scataglini che lo stesso Loi fece scoprire ad un pubblico più vasto.
Ho sentito Loi leggere molte volte: la sua lingua così difficile e complessa riusciva a raggiungere tutti, anche quelli che non sapevano una parola del dialetto milanese. Un’oralità straordinaria che aveva in comune, in modi certamente molto diversi, con Tonino Guerra.
Non è questa la sede per disquisire sulla complessità di un dialetto che univa al milanese le voci degli inurbati lombardi negli anni cinquanta, apporti emiliani e parole di sua pressoché totale invenzione. A differenza di Pasolini la sua non era una lingua materna, ma una lingua paterna, formatasi più che attraverso le memorie tramandate, attraverso il duro apprendistato della vita, tra osterie, strade e impegno civile.
La forza della sua poesia sta in una visionarietà che penetra nel reale con un’intensità drammatica dove il teatro è la scena del mondo vissuto dentro un panico e assoluto microcosmo milanese.
Molto si può discutere sulle sue prospettive ideologiche, sulla sua visuale “politica” del mondo. Antifascista, militante comunista, vicino alle posizioni della sinistra radicale: li ha delusi però tutti, a cominciare da Franco Fortini e Pier Vincenzo Mengaldo, per il suo misticismo di cui loro avevano individuato solo una componente evangelico-comunista. No, questa tensione religiosa è molto più totale ed assoluta, investe ogni aspetto del vivere. È presente fin dall’inizio, è presente anche tra le opere come Strolegh che appaiono apparentemente dominate da una concezione tra socialista e anarchica, dalla denuncia del mondo capitalistico. Si potrebbe dire che per Loi il regno dell’utopia non è il regno di questo mondo, ma l’aspirazione ad una pace e armonia universale che ha una caratteristica assolutamente trascendente. Niente è più lontano da Loi non dico dal rigore di un’analisi marxista, ma semplicemente da un’analisi razionale del sociale. Loi crede che la poesia viene dettata al poeta stesso da una qualche entità misteriosa e trascendente: quante volte gli ho sentito dire che il poeta è un semplice tramite di una forza che lo trascende. Una volta abbiamo avuto una discussione sulla sconfitta di Hitler nella seconda guerra mondiale: per me Hitler era stato sconfitto dai carri armati sovietici e dagli aeroplani alleati, per Loi carri armati e aeroplani contavano poco davanti a una qualche forza superiore che aveva deciso e sempre decide il corso della storia. Continua a leggere