Le poesie giovanili di Paolo Volponi

Paolo Volponi

NOTA DI LETTURA DI ELEONORA RIMOLO

I versi inediti recentemente ritrovati del giovane Volponi, recentemente pubblicato da Einaudi (Poesie giovanili, 2020), risalgono alla seconda metà degli anni Quaranta, alle soglie del Ramarro e arrivano fino ai primi anni Cinquanta, epoca della pubblicazione dell’Antica moneta.

Questi testi colgono il poeta in un atteggiamento molto lirico e poco ermetico, a metà tra simbolismo e naturalismo: prevalgono stilisticamente parlando la frantumazione sintattica, antieroica e antidannunziana e la tensione poetica si concentra sul tentativo di costruire un dialogo sincero con la realtà circostante e con un mondo ancora troppo misterioso per un giovane seppur talentuoso poeta.

Volponi è divorato dall’angoscia della fuga da Urbino, così agognata e così temuta allo stesso tempo e da un immobilismo interiore che arde e infiamma il verso, in bilico tra eros e repulsione.

Protagonista assoluta e cornice di questi versi è la natura: alberi, colline, animali, campi, diventano parte del paesaggio intimo del poeta che canta il suo tumulto attraverso immagini di rara potenza espressiva.

Il tema della terra natale, quella adriatica, tra monti e mare, venata da un senso di nostalgia e di corruzione dell’esistenza è dunque al centro della riflessione volponiana in questo particolare periodo della sua vita, precedente all’incontro con Pasolini e con i sodales di «Officina» che modificherà radicalmente stili e contenuti del suo fare poetico e ancora lontano dalla sensibilità verso il mondo operaio e la meccanizzazione dell’umano.

da “Poesie giovanili” di Paolo Volponi, a cura di Salvatore Ritrovano e Sara Serenelli

Dieci spighe
intorno a un melo.
Le mele cadendo
scrollerebbero le spighe.
Avrei di che mangiare.
Un verme
tra i denti
mi servirebbe
per non esser solo. Continua a leggere

Le poesie giovanili di Paolo Volponi

Paolo Volponi

Il giovane Volponi

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

Forse la poesia è tutta un riecheggiare, un ritorno improvviso di connessioni, svasature di senso, brandelli di cose scritte e rivissute. Una recensione occupata a leggere e a commentare le Poesie giovanili di Paolo Volponi, a oggi inedite e riesumate in tre diversi fascicoli da un cassetto della sua casa urbinate, può avere l’occorrenza — con lieve inarcarsi di ciglia e diffusa bonomia — di lasciare per un attimo gli albori (Il ramarro e compagnia) e partire dalla fine, dall’ultima silloge pubblicata in vita da Volponi stesso: Nel silenzio campale (Manni, 1990). Apocalittico ma anche un po’ integrato, lo scrittore che da poco aveva mandato alle stampe Le mosche del capitale (si noti l’insistenza del suffisso -ale), con la sua ultima incursione nella lirica sembra restituire a mo’ di testamento un parlar aspro, un’ispirazione petrosa che è forse la linea carsica su cui si muove la sua intera vena poetica. Dagli inizi, appunto. O ancora prima: dall’Urvolponi di queste liriche frante e onestissime, che «nel primo fascicolo esaminato, il più robusto — le 90 carte — approdano al Ramarro» mentre per gli «altri due, più esili ma anche meno eterogenei, denominati Immagini e Altre, la raccolta di riferimento è L’antica moneta», commenta Ritrovato nella corposa introduzione. «Non mancano, ovviamente, casi di smembramento e di ricombinazione di gruppi di versi che rimbalzano da un fascicolo all’altro, a riprova del fatto che ci troviamo idealmente di fronte a quaderni di lavoro, all’interno di un laboratorio in cui il poeta sperimenta, testa, saggia e non cestina».

Siamo nel pieno degli anni Quaranta, Volponi frequenta l’Università della città natale con gli umori di un intellettuale in formazione lontano dai classicismi (c’è qui forse una consonanza con il Bianciardi studente a Pisa), ruvido, pizzicato dal surrealismo e dai lirici spagnoli, vergine nell’approccio all’opera e non ancora sfrigolato dalle sirene di un ermetismo residuale. I testi «verso Il ramarro» sembrano in aperto dissidio con l’esito finale della silloge del ’48: crudi, d’humor nero («Hai riso,/ ed io avrei sputato/ dentro la tua gola/ aperta»), in certo modo orrorifici («Come se il sangue/ annoiato/ godesse d’uscire») e dal sapore biblico («Io rido/ dietro pascendo/ la mia maledizione»), profondamente corporali («Diventi misurato squadrato,/ da non trovare appoggio/ nelle anche rotonde/ dei corpi delle donne»). Le sequenze sono nitide, affilate e già nascondono in germe i migliori esiti della lirica volponiana («Aspettavo i tuoi occhi/ comparire dal mattone», «Tra la testa e la pietra,/ tra gli specchi e le spade,/ ancora lungo/ è il discorso»). Le poesie «verso L’antica moneta» — estratte da un manipolo di 59 carte in tutto, come spiega Serenelli nella puntuale Nota al testo, seguita dall’apparato critico che ricrea la facies grafica dei manoscritti e dattiloscritti — pèrdono il tono scheggiato delle prime prove per acquisire maggiore doppiezza e impeto narrativo. Continua a leggere

Vincenzo Fano, “Dobbiamo ripensare il posto dell’uomo nell’albero della vita”

Vincenzo Fano

MODELLI MATEMATICI E COMPORTAMENTI UMANI

L’epidemia che stiamo vivendo ha portato alla ribalta i numeri, come ha notato Michela Murgia, scrittrice e dottore di ricerca in matematica. Ci sono in effetti modelli matematici abbastanza semplici che spiegano l’andamento del contagio. Tuttavia essi non sono in grado di predire quello che accadrà, se non nel breve periodo. Questo perché l’andamento dell’infezione dipende in modo sostanziale dai comportamenti umani. Dobbiamo quindi integrare i modelli matematici con fattori che tengano conto di ciò che fanno le persone. E questo è molto difficile, ma non del tutto impossibile. L’epidemiologia comportamentale, se così possiamo chiamarla, ha già ottenuto interessanti risultati nel caso dell’esitazione vaccinale. Oggi per la prima volta dobbiamo mettere a punto qualcosa di simile riguardo alla diffusione del virus e al rispetto da parte dei cittadini del distanziamento fisico.

SCIENZA E AUTORITA’ AI TEMPI DELL’EPIDEMIA

Per un attimo, lasciamo perdere le fake news, che circolano a tonnellate in questi drammatici mesi. Consideriamo, invece, opinionisti di grido o compagni dei social che, riguardo a una delicata questione di policy sanitaria, che dipende dal possesso di informazioni abbastanza certe sul comportamento del virus, per difendere la loro opinione, affermano: “Ma lo ha detto Pinco Pallino, noto virologo!” Continua a leggere

Umberto Piersanti, “Una strana primavera”

Umberto Piersanti credits ph. Dino Ignani

UNA STRANA PRIMAVERA
DI UMBERTO PIERSANTI

tra febbraio e marzo il bruno accende
col suo bianco squillante
i greppi e i fossi,
dalle lunghe Cesane
al Petralata,
e tutt’attorno nascono
i prugnòli,
il solo fungo della primavera,
lo si mette in padella
con l’aglio e l’olio
e la terra non da
erba più buona

attorno al pruno
le streghe fanno i cerchi,
cerchi di sortilegi
inqueti e strani

oggi i cerchi s’alllargano
dovunque,
giungono fino al mare
salgono i monti,
dalle fessure dei muri
e delle porte
entrano nelle case
degli umani

primavera crudele che s’inoltra
col suo riso sinistro
di cieli e campi,
di fiori,
d’acque azzurre
e venti lievi

da dietro le finestre
e stretti ai muri,
del sortilegio
s’attende la fine,
guardare un’erba
o un fiore
senza il male nascosto
dentro i colori Continua a leggere