Una poesia di Lars Gustafsson

Lars Gustafsson

 

Vita

La vita scorre attraverso il mio tempo,
e io, un volto non rasato,
dove le rughe sono profonde, analizzo
le tracce.

Pensieri come bestiame,
avanzano sulla strada per bere,
estati perdute ritornano, ad una ad una,

profonda come il cielo viene la malinconia,
per la pianta di carice che fu,
e le nuvole che allora rotolavano più bianche,

eppure so che tutto è uguale,
che tutto è come allora e irraggiungibile;
perché sono al mondo,

e perché mi prende la malinconia?
E gli stessi lillà profumano come allora.
Credimi: c’è un’immutabile felicità.

Lars Gustafsson nella traduzione di Enrico Tiozzo. Dalla rivista “Poesia”, n. 249, Crocetti Editore

Liv

Liv strömmar genom min tid.
och jag, ett orakat ansikte,
dar vecken djupnar, granskar spåren

Tankar som boskap
fram till vågen för att dricka,
förlorade somrar återvänder, en för en,

kommer ett himmelsdjupt vemod
över ett stanrgras som var.
och molnen som rullade vitare då.

och anda vet jag att allt år detsamma
att allt år som då och oåtkomligt:
varför ar jag i världen.

och varför kommer det till mig?
Och samma syrener doftar som då:
Tro mig: det finns en oföränderlig lycka.

Lars Gustafsson, un testo da “En privatmans dikter”

 

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Le poesie giovanili di Carmelo Bene

Carmelo Bene

Scritte tra il 1950 e il 1958, custodite tra i documenti di famiglia, riportate alla luce dal nipote Stefano De Mattia, le poesie giovanili di Carmelo Bene ci offrono l’occasione preziosa di incontrare di nuovo un artista unico e indimenticabile. Sono testimonianze di una voce che vibra e canta l’adolescenza e la scoperta, pagine di un diario intimo in cui amore, solitudine, desiderio di fuga e d’indipendenza si mescolano con il racconto del mondo osservato e il paesaggio là fuori riverbera e riflette quello interiore, evocando, come scrive Filippo Timi nell’introduzione, “una sconfinatezza selvaggia, una foresta di costellazioni, nebulose e vie lattee, un universo in continua espansione”.

INTRODUZIONE DI FILIPPO TIMI

Come in un big bang primordiale, Carmelo Bene ad ogni parola creava un infinito. Le sue liriche giovanili, reperti di un’architettura sentimentale, ci fanno ascoltare l’origine dirompente della sua voce, forse l’unica che ha saputo incarnare la poesia. Siamo davanti a una sconfinatezza selvaggia, una foresta di costellazioni, nebulose e vie lattee, un universo in continua espansione.

L’esistenza, l’amore,la vita, la morte, il disincanto, hanno qui un’omerica grazia di sguardo nel prendere coscienza di sé come “bersaglio appariscente” in cui “le passioni del fango/ han fatto centro in una volta sola”, divenendo consapevolezza nella sconfitta di essere nato uomo.

Ma alla sconfitta il poeta contrappone una “febbre di vita” nell’affermare l’imperativo: “noi vivremo!”

Comincia il viaggio, l’interrogarsi sul mondo, il perdersi ad “ammirare incantato/ l’avvenire/ stellato di sogni”, per ricadere di nuovo nel pensiero all’umano fango.

Bassorilievi di una Grecia intima, età dell’oro di un giovane Apollo che scorge come un futuro ineluttabile la nascita di una divina tragica commedia. Assistiamo alla creazione e all’abbandono di quel mondo apollineo e sentiamo avvicinarsi l’eco dionisiaca in cui presto il poeta s’immergerà.

“Come chi torni/ al luogo che non ha mai/ lasciato, eccomi a te:/no! Non aprir le braccia!” E’ il sogno quel luogo, nel suo necessario abbandono.

Il giovane uomo guarda il cielo e si confronta con esso, domandandosi come “cogliere senza sosta/i frutti del presente/ per preparare ciò ch’è da venire”. Diventare egli stesso opera d’arte.

In una primavera senza ritorno, l’intimo sposa il sublime nello slancio dell’acerbo e il mondo resta nudo.

Questi versi di Carmelo Bene sono perle custodite “in uno scrigno/di cui la chiave fu smarrita, / abbandonato in un mare/senza fondo”.

Quel mare è l’anima del poeta che canta per noi: “Nulla è rimasto./ E dissi: un dì accadrà”.

 

 

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Il silenzio tenace di Mario Benedetti

Mario Benedetti, poeta italiano. Foto di proprietà dell’autore

di Lorenzo Babini

La mancanza di Mario Benedetti è per me innanzitutto legata ad alcuni ricordi personali, di quando cioè, tra gli anni 2011 e 2013, lo incontrai diverse volte, sempre in compagnia di Tommaso Di Dio. Rimasi sin da subito colpito da quella figura silenziosa, appartata e indifesa, le cui parole sembravano uscire a stento. Non ho avuto modo, tempo o fortuna di instaurare una consuetudine con lui ma posso dire che la mia percezione di allora fu che quel silenzio umile, grave e profondo avesse qualcosa da dire alla mia esperienza.

Ricordo che ne parlai una volta con Massimiliano Mandorlo, al termine di un reading che avevamo organizzato in un bar vicino a via Venini a Milano, in quel quartiere che oggi viene chiamato NoLo e di cui fino a pochi anni fa se ne ignorava l’appeal. Era venuto ad assistere a quella lettura di giovanissimi poeti anche Mario, che abitava in quella zona. La sua figura, da cui traspariva l’esposizione dolorosa e radicale dell’uomo di fronte al destino, aveva quella sera affascinato alcuni di noi, nonostante nessuno di noi lo avesse sentito pronunciare una sola parola. Questo accadeva per me prima di conoscere la sua poesia.

Più tardi, leggendo la sua opera, riconobbi la stessa presenza che era dell’uomo: la presenza cioè di un silenzio fragile e tenace, nato dall’umile aderenza alle cose, seriamente impegnato con il proprio vissuto e improvvisamente capace di esprimere, in un due versi slogati, dalla sintassi anomala, verità disarmanti sull’esistenza. Continua a leggere

Nicola Gardini, “Lacuna”

 

lacuna_fbLacuna” di Nicola Gardini (Einaudi, 2014) è un saggio sul non detto,  un aspetto fin qui, poco esplorato della cultura letteraria mondiale. 

Ma perché “Lacuna”?

Per Gardini una buona narrazione tralascia sempre qualcosa, ed è proprio “la parte che sembra mancare”, perché si inabissa nel non detto – il lettore deve cercarla –  il “quid”, che dà identità e definizione a  ogni grande opera letteraria.

Nella sezione che ha per titolo “La realtà”, leggiamo qualcosa di molto importante: “Il realismo non consiste in un semplice rispecchiamento tra letteratura e vita. In un romanzo, come avverte Vladimir Nabokov, non c’è altra realtà che la mente dello scrittore. Quale vita sarebbe poi rispecchiata in quelle pagine che leggiamo con gli occhi? Quella del tempo in cui vive lo scrittore? Lo stesso Dostoevskij, con tutta la sua pretesa di ancorarsi alla contemporaneità, (la “realtà attuale”, la “realtà concreta”), negava che il realismo fosse solo una questione di fatti: la realtà sta nel significato che sta dietro ai fatti; e il compito principale dello scrittore consiste nella comprensione più che nella semplice rappresentazione.” […] Continua a leggere

Sono ancora un bambino

giancarlo_gianniniUno degli attori più celebri del cinema contemporaneo si racconta per la prima volta.

E’ in libreria “Sono ancora un bambino” (ma nessuno può sgridarmi) di Giancarlo Giannini, Longanesi Editore.

Rappresentante di una grandissima tradizione di attori italiani, regista, doppiatore, ma anche perito elettronico, inventore, fotografo, pittore, nonché incontrastato «Re del Pesto». Questo e mille altre cose è Giancarlo Giannini, che rivela, pagina dopo pagina, la formula magica, apparentemente semplice, ma in realtà unica, di una creatività incessante e soprattutto senza limiti. Continua a leggere