Giovanni Parrini, Nell’oltre delle cose

Giovanni Parrini, riunisce in Nell’oltre delle cose  Interlinea Edizioni 2011 (euro 12) una nuova silloge in cui ripropone una conoscenza disposta a cantare l’oggettiva consistenza del visibile, ripercorrendo a ritroso la sua parcellizzazione nell’infinitamente piccolo, per poi cogliere nel silenzio del «suo fitto gerundio» l’imprevisto irrompere di una diversa meccanica, che sfugge alle misurazioni scientifiche. Proprio dal ciclo universale della vita, nel modo di comportarsi di atomi lucreziani, scaturisce così un’altra forma di visione dell’invisibile, che sussulta per la bellezza del creato, non rispetta le coordinate spazio-temporali e non cessa di interrogarsi sul mistero del vivere e del morire. Circoscritto nel cerchio di questa identità speculare, il libro si annuncia già nel titolo come il frutto di questo continuo scarto tra l’esatta e dimostrabile consistenza scientifica delle «cose» e il suo sconfinare di là dalla siepe che dell’ultimo orizzonte il guardo esclude: «proprio qui, / nell’oltre, / l’infinito».
(dalla presentazione di Giovanna Ioli) Continua a leggere

Opere Inedite, Pietro Pancamo

<< Il mio rapporto con la “musa” è cambiato nel tempo.
All’inizio, ovvero quand’ero piccolo (sui quindici anni se non sbaglio), pensavo che la poesia fosse una sorta di vocazione o “chiamata”. Ricordo che nel mio cervello si formavano versi in continuazione, ad ogni ora, senza che io minimamente li cercassi o “propiziassi”. Adesso la poesia è una delle tante attività che scandiscono la mia giornata di redattore tuttofare, impegnato senza sosta a scrivere liriche e commenti critici o a correggere quelli degli altri, a costruire e-book, a trafficare con file audio di varie estensioni per tirarne fuori sottofondi musicali, interviste o addirittura trasmissioni. Quindi se oggi continuo a buttar giù strofe e componimenti, seppure assistito da un'”ispirazione” non più torrenziale come prima, è per lavoro, per abitudine e perché la poesia è ormai una vecchia amica per me… e perderla di vista mi dispiacerebbe. Anzi, per legarmi a lei in misura sempre maggiore, oltre che scriverla, la leggo. Fra i miei autori preferiti, quelli (come ad esempio Leonard Cohen) capaci di ottenere, nei propri testi, una perfetta fusione fra ironia e dolore>>.
di Pietro Pancamo Continua a leggere

Video, Derek Walcott legge ‘Nomi’

http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2011/04/walcott-2.flv

                                                   a cura di Luigia Sorrentino

Nel video Derek Walcott legge ‘Nomi’
Accademia Americana di Roma 17 marzo 2011

da “Isole – Poesie scelte (1948-2004)” di Derek Walcott, Adelphi Edizioni, 2009, trad. Matteo Campagnoli

La mia razza iniziò come iniziò il mare,
senza nomi e senza orizzonte,
con ciottoli sotto la mia lingua,
con un diverso sguardo alle stelle.

Ma ora la mia razza è qui,
nell’olio triste di occhi levantini,
nelle bandiere di campi indiani.

Iniziai senza memoria,
iniziai senza futuro,
ma cercai l’istante in cui la mente
fu tagliata in due da un orizzonte.

Non trovai mai l’istante in cui la mente
fu tagliata in due da un orizzonte –
per l’orafo di Benares,
per il tagliapietre di Canton,
quando una lenza affonda, l’orizzonte
affonda nelle memoria.

*

«La mia razza iniziò come iniziò il mare» dice Walcott nella poesia Nomi
Ma qual è la razza di Derek Walcott? E quando iniziò il mare?
Walcott: «Quando dico la mia razza intendo la razza caraibica che è una mescolanza di razze diverse. Nei Caraibi, sono rappresentati tutti i continenti del mondo: ci sono cinesi, siriani, francesi, africani. Dunque quando è iniziato il mare, la scopertaè iniziata anche la razza. La mia razza è la summa di tutti gli altri elementi.»

Ida Travi, Tà

Ida Travi in “Tà, Poesia dello spiraglio e della neve” Moretti e Vitali, 2011 ci mette di fronte a un mondo poetico abitato da esseri umani.  Questi esseri umani, scrive la Travi: <<Sono esseri comuni, sono post. Post-studenti, ex-lavoratori, viandanti. Uomini e donne trasfigurati dalla poesia vivono in un luogo austero. Forse una casa, forse una ex-fabbrica… una futura scuola o lo scantinato d’un teatro. Forse un vecchio monastero. È un luogo limitato da assi, chiuso da lenzuola… A cavallo del tempo c’è una fastidiosa nebbia, c’è molta umidità.

“Tà, come la lancetta che si sposta. , come un taglio nella tenda.
C’è una fessura nel legno. Se guardi bene vedi un pugno di terra. Se ascolti bene senti un colpo di bastone. C’è qualcosa che cade e non rotola. C’è una goccia che non disseta. C’è un sasso proprio in mezzo alla stanza. C’è una spoliazione in atto. C’è un albero, uno sfrondamento.”

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Opere Inedite, Ivanoe Privitera

Ho conosciuto Ivanoe Privitera nel 2001 a Rainews24 dove lavoro. Ivanoe in quell’anno seguì un breve stage a Rainews24 e aveva già pubblicato il suo primo romanzo“Il cuore di Purcell“. Fu proprio in quel cuore che ci incontrammo. Nel solco di un destino che imponeva al giovane Purcell – protagonista del suo romanzo – di sentirsi da adolescente, in uno stato di privazione e di mancanza… nel cuore cioè di chi si accinge a compiere i primi passi per accedere al mondo dell’amore e del dolore. 

Ivanoe, dal 2009 titolare di una Marie Curie Fellowship biennale in Papirologia all’Università di Oxford, oggi mi scrive: “La poesia sveste la mia interiorità, è rifugio e consolzione mai vana, lungo un cammino che dal passato conduce al futuro. Nel comporre mi affascinano l’immediatezza del potere evocativo delle immagini, il ritmo del verso e le figure retoriche di suono. Spesso basta una singola immagine o un semplice accostamento di parole per intraprendere un’elaborazione formale all’insegna della ricerca fonetica e linguistica.”
di Ivanoe Privitera

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