Umberto Piersanti, “Nel folto dei sentieri”

Nel-folto-dei-sentieri_prima-300x480UMBERTO PIERSANTI E LE SELVATICHE VISIONI
di Alessandro Moscè

 

“Tra i sassi bianchi / corrono i folletti, / solo chi è destinato / li può vedere / e poi li trova sempre / nella sua strada”. Sono questi alcuni versi contenuti nella raccolta poetica Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos 2015) di Umberto Piersanti. Un viaggio terreno, esistenziale, con punte di magia e visionarietà, contraddistingue l’ultima fatica editoriale dell’urbinate: oggi il maggior poeta naturalistico italiano. Piersanti ci ha abituati ad una dimensione immaginativa che richiama una matrice di colline e monti appenninici, una terra ben delimitata, un po’ fatata, sulla scia della migliore tradizione novecentesca dove tra ombre di ricordi, paesaggio e natura, si intravede ciò che Franco Loi definisce “la tradizione dell’Italia che è all’origine della nostra parlata nazionale”.

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Simone Zafferani, “L’imprevisto mondo”

SIMONE-ZAFFERANI-2-RIDNota di Biancamaria Frabotta 

Ai suoi inizi la poesia di Simone Zafferani si abbeverava, mi parve, degli umori limbali che intridono l’umbratilità del primo Sereni. Riconoscere i maestri non è una vana impresa, ma la garanzia di potersi presto avviare sui propri sentieri. Anche se la strada verso la maturità che s’inerpica nelle ultime poesie di Zafferani, si fa subito impervia, la meta che si spera di poter continuare ad aggirare desta stupore, rivela e impone un mondo    “imprevisto”, come dice il titolo che si affranca da ogni precedente, amorevole servitù. E arrivano, a compensazione delle perdute e dolci amnesie adolescenziali, giuste parole d’amore, di pietà, di compartecipazione ai tremori delle creature umane. Non si può simulare “la vita che non c’è”, quando gli affetti famigliari, l’amore accumulato, i morti che oltrepassano la frontiera e si avvicinano pericolosamente  impongono un’altra lingua, un registro sempre meno metaforico. Questo poeta, amante della liquidità, delle risonanze oblique della luce, magari scrutate in Emily Dickinson, è proprio attraverso tali “verità imponderabili”  che viene a contatto della polpa segreta della vita e di sé stesso, infine. E quando avviene la trasmutazione delle creature più amate in quel mondo “altro”, prima solo intravisto nel riflesso dell’acqua che, non dimentichiamo, è l’elemento  più cospicuo che forma il nostro corpo,  allora la lingua della poesia si sbianca “come un’ostia”. Come nel compiuto poemetto La macchina naturale, in un gioco di continue rispondenze, ma anche un punto fermo che non permette rimozioni, regressioni, ripensamenti. Non resta che “mettere a posto il dolore”. E magari “con pazienza d’artigiano”, e scrivere nei Notturni le poesie più inclusive e arrese dell’intero libro. “Se venite di notte, versi,/ siate lievi nel forzare la porta/ di questi recessi impensabili che sempre/ da solo varco e mai del tutto”. Continua a leggere

Pierluigi Cappello, “Ogni goccia balla il tango”

libro del giorno Ogni goccia balla il tango Pierluigi Cappello
Poeta amato da intellettuali e artisti, Pierluigi Cappello, 44 anni, dedica ora i suoi versi anche ai bambini.

Nel suo ‘Ogni goccia balla il tango’, pubblicato da Rizzoli con le illustrazioni di Pia Valentinis, stimolato dalla sua nipotina, che gli chiedeva di scrivere una poesia tutta per lei, Cappello ha compiuto un viaggio alla ricerca di “Rime per Chiara e altri pulcini” da cui sono nate così 33 componimenti che non sono affatto più semplici da scrivere di quelle per i grandi.

“A me, di tutto questo, resta una piccola certezza, che diventa una grande speranza: anche un bambino capisce che la poesia non è solo un gioco con le parole, e che lì dentro c’è qualcosa di più, che ha a che fare con i suoi sensi, la sua immaginazione e la sua anima” dice Cappello rivolgendosi a Chiara, nel breve scritto conclusivo. Continua a leggere

Blanca Varela, “Crocifinzioni”

, 2013

crocifinzioni-d242Recensione di Tommaso di Dio

Non ho alcun strumento per poter classificare la poesia di Blanca Varela; non ho la cultura per inserirla in questa generazione o in quell’altra, in questa corrente letteraria o in un’altra. Non sono un ispanista, conosco appena qualche parola di quell’idioma così attraente e così prossimo al nostro da sembrarne il gemello più dolce e sfigurato; non conosco se non per pochissime, magre e folgoranti letture, il panorama vasto e frastagliato della poesia sudamericana. Per tutte queste mancanze vorrei chiedere preventivamente perdono al lettore e anzi soccorso; mi appello allo studioso più armato, più scaltro di me: che mi perdoni l’ingenuità. Eppure, non appena sono capitato con gli occhi e con la mente sulle pagine di questa poetessa, tradotta in italiano e pubblicata a cura di Stefano Bernardinelli per l’edizioni Nottetempo nel 2013, non ho saputo trattenermi: ho cercato subito di far conoscere, dapprima agli amici più prossimi ed ora ai lettori di Poesia, la voce di questa scrittrice peruviana, morta nel 2009, non ancora conosciuta come merita dal pubblico italiano. La poesia può essere molte cose; ma uno dei suoi più preziosi regali credo sia questo che ho ricevuto e che spero anche voi riceviate: la meraviglia incomparabile di ascoltare una voce straniera che chiama, dall’abisso più scuro di ogni conoscenza, di ogni geografia o storia, di ogni confine biografico e contestuale, una voce – dico – che chiama te, proprio ognuno di noi a confrontarsi col nocciolo più vero, più taciuto e arcano di noi stessi. Emily Dickinson la chiamava «polar privacy» quella solitudine lunare in cui «a soul is admitted to itself»; quella solitudine che la poesie richiede e pratica, mostra e continuamente trasfigura come se fosse un esercizio senza fine, in cui ogni poeta, come disse Baudelaire, è faro all’altro. Continua a leggere