Philip Larkin

Philip Larkin

 

 

 

THIS BE THE VERSE

They fuck you up, your mum and dad.
They may not mean to, but they do.
They fill you with the faults they had
And add some extra, just for you.

But they were fucked up in their turn
By fools in old-style hats and coats,
Who half the time were soppy-stern
And half at one another’s throats.

Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
And don’t have any kids yourself.

SIA QUESTO IL VERSO

Mamma e papà ti fottono.
Magari non vogliono farlo, ma tant’è.
Ti trasmettono le loro antiche meschinità
E aggiungono qualche extra, solo per te.
Però anche loro sono stati fottuti
Da alienati con cappelli e cappotti fuori moda,
Che passavano metà del tempo a poltrire
E l’altra metà a ghermirsi la gola.
L’uomo cede all’uomo la disperazione.
Sprofonda come una piega costiera.
Quindi sbrigati a levarti da mezzo,
E non mettere al mondo alcun figlio.
(dalla raccolta High windows, 1974)

Continua a leggere

Seamus Heaney

In quel momento

Un intero nido di uova fredde, semi nascosto
nel concime di foglie dell’autunno scorso, compresi
dalla sua immobile opacità, marcito,
mutava in sudore di morte la rugiada del mattino
che non ne rischiarava i gusci ma li infracidava.
Ero a carponi là nell’umida
erba sotto la siepe, in adorazione,
mattiniero, intento a tendere la mano
e avvezzo a trovare uova tiepide. E invece
questa improvvisa borchia polare
e marchio e freddo d’alba cerchiato di pietre
nella mia mortificata mano destra, prova evidente
di ciò che tramava in quel momento per guastare
la materia nel proprio impasse planetario.

(da District and Circle, a cura di Luca Guerneri, Mondadori, Milano, 2009) Continua a leggere

Piero Bigongiari

di Eledonora Rimolo

Piero Bigongiari (Navacchio, Pisa, 1914 – Firenze, 1997) fu esponente dell’ermetismo fiorentino che, sviluppatosi attorno alle riviste «Il Frontespizio», «Campo di Marte» e «Letteratura» tra la metà degli anni Trenta e gli anni Quaranta, rese alte prove poetiche anche con Mario Luzi e Alessandro Parronchi. Antimateria di Bigongiari è, in particolare, un’opera di notevole rigore, sia spirituale che stilistico: l’unione di suono e significato mira a scardinare una verità che in effetti non è data, mai. L’uomo e l’Oggetto si scrutano, dunque, si scoprono simili ma lontanissimi, e gridano l’uno l’assenza dell’altro: “Io non so quel che è stato”, afferma il poeta, afflitto da uno stato di profonda angoscia, da un sentimento del dramma privo di linguaggio (“Non oso, amore, non oso/chiamarti” – “Le antiparole del dramma”). La voce che all’uomo novecentesco gradualmente viene a mancare, soppressa dall’urlo della guerra, Bigongiari la ritrova attraverso un’astrazione concettuale che tutto concede alla forza evocativa delle parole, le quali però definiscono l’Oggetto solo in negativo: “attento a non scinderti in un significato che non può significare l’insignificabile” avverte, Continua a leggere

Mark Strand

THE END

BY MARK STRAND

Not every man knows what he shall sing at the end,
Watching the pier as the ship sails away, or what it will seem like
When he’s held by the sea’s roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he’ll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he’ll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

LA FINE

DI MARK STRAND

Non ogni uomo sa cosa canterà alla fine,
guardando il molo mentre la nave salpa, o cosa sentirà
quando sarà preso dal rombo del mare, immobile, là alla fine,
o cosa spererà una volta capito che non tornerà più.

Quando il tempo è passato di potare la rosa, coccolare il gatto,
quando il tramonto che infiamma il prato e la luna piena che lo gela
non compariranno più, non ogni uomo sa cosa scoprirà al loro posto.
Quando il peso del passato non si appoggia a nulla, e il cielo

non è più che luce ricordata, e le storie di cirro
e cumulo giungono alla fine, e tutti gli uccelli stanno sospesi in volo,
non ogni uomo sa cosa lo attende, o cosa canterà
quando la nave sulla quale si trova scivola nel buio, là alla fine.

Traduzione di Damiano Abeni

Da: “L’uomo che cammina un passo davanti al buio” Poesie 1964-2006, Oscar Mondadori, 2011

Giulio Maffii, “Angina d’amour”

Giulio Maffii

Nota di Giovanni Ibello

È impossibile definire la poesia. È difficile anche solo parlarne liberamente, senza cadere nella retorica. È molto probabile che essa si riveli nell’atto stesso dello scrivere, ragion per cui non è compito del poeta intellettualizzare il momento creativo. Non sappiamo cosa sia una poesia (la famosa ‘salvezza del corrimano’ di cui scriveva la Szymborska), non sappiamo dove essa ci conduca, ma è ben possibile che – come sosteneva il compianto Dario Bellezza – scrivere versi sia “pura fisiologia”. Forse un verso esiste perché esistere era nel suo destino. Niente di più. Una delle poche certezze di chi vi scrive è la seguente: la parola poetica è “vittima” di un processo di sussunzione che riconduce sempre all’amore e alla morte. Lo sa bene Giulio Maffii che con il suo Angina d’amour (di prossima pubblicazione per l’editore “Arcipelago Itaca”), traccia un quadro scarnificante di questo sentimento, una giusta sintesi dell’amore fatale, dell’amore primo e ultimo. Un dettato poetico privo di fronzoli (sia nelle scelte lessicali che timbriche), composto da suoni e letture volutamente elementari e sferzate improvvise. L’angina coitale, che i francesi chiamano, appunto, angina d’amour, si verifica durante i minuti successivi al rapporto sessuale, ed è il dolore toracico pre-infartuale. Continua a leggere