Umberto Piersanti, “Campi d’ostinato amore”

Umberto Piersanti, creidits ph Dino Ignani

ANTEPRIMA EDITORIALE

Nell’ultima raccolta di versi di Umberto Piersanti, Campi d’ ostinato amore, (la Nave di Teseo, 2020) il poeta urbinate conferma e condensa l’ identità e l’unicità  di una voce che deposita con grazia il germe assoluto della sua poesia in una terra mitica e leggendaria: l’amato altopiano delle Cesane, il mondo antico e arcaico della civiltà contadina, le figure mitiche che lo popolano e l’ostinato silenzio dell’amato figlio, Jacopo.
La testimonianza poetica di Umberto Piersanti evoca una realtà naturalista scomparsa, un passato lontano dalla quotidianità,  una civiltà remota, che riaffiora dalla memoria con uno spessore antropologico e magico.

(Luigia Sorrentino)

 

Il passato è una terra remota

a Giulia

no, non tra rossi papaveri
e fiordalisi come l’antica
col velo dentro al quadro
ma alta sugli stivali
nel terrazzo fumi,
e non mi guardi,
poi su gran verde stesa
quel tuo volto acceso,
e accesi gli occhi
così azzurri e persi,
sei la ninfa riversa
nell’attesa
e la tua bionda carne
m’invade e piega

passano innanzi agli occhi
le figure,
in altri tempi
e luoghi lontani
e persi, tu sotto la cascata
t’infradici i capelli
neri e sciolti
e mi sovrasti
chino sulla roccia

non conosci quei lampi,
non sai i tuoni,
Dicono che i soldati
salgono su lenti
dalla marina,
lei siede alla ringhiera
contro i bei vetri,
tu non ricordi il volto,
non sai la veste,
solo quelle ginocchia luminose
che appena intravedi
fra le trine

quando la casa cambi
o la dimora,
salgano le memorie
fitte alla gola,
e se tendi la mano
quasi le tocchi,
ma il muro che le cinge
è d’aria e vetro,
nessuna forza
lo può oltrepassare

il passato è una terra remota
magari non esiste,
non sai dove.

dicembre 2015

Volti

volti, volti nella mente
infissi,
sempre più infissi
e incerti,
e poi così lontani,
lontani e persi,
nell’oscura veglia
mi siete d’intorno,
vicini, così vicini
alle mani
e agli occhi,
padre da un grande tempo
dimori oltre la valle
che la nebbia copre,
la grande nebbia
che sta oltre,
oltre ogni casa
e campo,
come chi ha la vista
quasi spenta
risalgo con le mani
alla tua fronte,
su ogni piega
mi soffermo e insisto,
del tuo magro sorriso
ricerco il dono

e i tuoi occhi madre
sono i più chiari,
io me li stampo dentro,
mi fanno il sangue lieto
e nulla può il dolore
che m’abbranca,
restano chiari
e azzurri
oltre lo sguardo,
lo sguardo mio
che tanto s’appanna

sorella dalla veste chiara
ora m’allacci i pattini
e spingi alla discesa,
lascia ch’io tocchi ancora
i tuoi capelli così lunghi
e scuri

l’altra ha quei tacchi larghi,
larghi e spessi
degli anni di guerra,
tra le ginestre lei
rifulge tanto
che degli occhi appannati
lacera il velo

e padre e madre,
e la bruna sorella
l’altra più chiara,
la cucina fumosa
e l’orto coi soldati,
quelle canzoni lente
e disperate
mentre il maiale cuociono
sull’erba,
tra loro un giorno
ti sei risvegliato
e loro t’hanno accolto
e riscaldato,
il tempo poi dissolve le figure
ad una ad una nel vortice
degli anni rapinate,
contro il vuoto che ghiaccia
sangue e fiato
dentro l’aria le incidi
per l’eterno

e poi c’era quell’erba
contro i mali
quella di colore scuro
come il nome,
è l’erba delle bisce
che la pozza cerchia,
se la metti a bollire
sopra un gran fuoco
e poi quell’acqua bevi
densa e nera
i mali come serpi
strisciano via
lontani

era come una radura
riparata dall’acqua
e i venti,
dai fuochi d’attorno,
l’unica che rammenti,
se altre ne ho incontrate
non le ricordo

marzo 2018

 

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Francesco Russo, da “Poesie della ricucitura”

Francesco Russo

XV

So di una catastrofe imminente
ne dicono le case, i numeri
il pane: l’angelo pende
obliquo sul filo del nascere.
Con lui s’illumina una croce
dal primo e lungo grido di madre
fino al fine ultimo dell’ultimo
silenzio di consenso.

Ai posteri mi spero nessuno
col mio segreto sogno di verità.

*

Vorrei avere il talento, comprare
il pane alla bottega della morte
dentro notti buie come la peste
e camminare per le strade
fino alle risaie innamorate
di stanchi uomini sporti sul mare.

Potremo mai scambiarci nella sorte
il segreto obliquo che ci separa
o siamo martiri opposti al raccolto
affannato di un dolore comune?

*

Il primo verso di ogni uomo è un vagito:
il poeta deve chiudere il distico.

*

La parola si sfalda in primitivo
starsene calmo al grembo.

È un silenzio negli occhi del figlio
una forza alla nuca della sposa
a fondare la preistoria del nome:
ma-mma è l’origine della casa.

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Poesie di Jane Hirshfield

Jane Hirshfield

Tratte da “Ogni felicità assediata dai leoni” di Jane Hirshfield, traduzione e cura di Loredana Foresta e Andrea Sirotti, Elliot edizioni. © 2020 Lit Edizioni s.a.s. Per gentile concessione.

Da Capo

Take the used-up heart like a pebble
and throw it far out.

Soon there is nothing left.
Soon the last ripple exhausts itself
in the weeds.

Returning home, slice carrots, onions, celery.
Glaze them in oil before adding
the lentils, water, and herbs.

Then the roasted chestnuts, a little pepper, the salt.
Finish with goat cheese and parsley. Eat.
You may do this, I tell you, it is permitted.
Begin again the story of your life.

Da capo

Prendi il cuore logoro come un sasso
e lancialo lontano.

Presto non ne rimarrà nulla.
Presto l’ultima increspatura si esaurirà
tra le erbacce.

Una volta a casa, affetta carote, cipolle, sedano.
Glassali in olio prima di aggiungere
le lenticchie, acqua e odori.

Poi le caldarroste, un po’ di pepe, sale.
Completa con formaggio di capra e prezzemolo. Mangia.
Puoi farlo, davvero, ti è concesso.
Ricomincia la storia della tua vita. Continua a leggere

Addio a Carlo Bordini (1938 – 2020)

Carlo Bordini, credits ph. Dino Ignani

 

 

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Lutto nel mondo della poesia.
Silvia Bordini, sorella di Carlo Bordini, poche ore fa ha inviato via mail a tutti gli amici di Carlo compreso me,  un messaggio contenente una tristissima notizia che proprio non ci aspettavamo e che ci lascia senza parole: “con profondo dolore vi comunico che Carlo ci ha lasciato questa notte. Conserviamo tutti il dono della sua poesia”.

La notte del 10 novembre 2020 se n’è andato Carlo Bordini, a 82 anni, un amico carissimo e un poeta fra i più conosciuti  in Italia.

Scrittore, poeta, militante politico,  radicalmente anti-elitario, fra le sue raccolte di versi più famose ricordiamo: “Strategia”, “Pericolo” e, quella da lui più amata, “Polvere”. Le sue poesie, dal 1975 al 2010, sono state raccolte e pubblicate in un unico volume edito da Luca Sossella Editore nel 2010.

Qui potrete leggere L’autoritratto che Carlo Bordini scrisse per me e Fabrizio Fantoni nel 2015. Una bellissima pagina che ci racconta chi era Carlo e che cosa pensava lui fosse la sua poesia. Non dimenticherò ma  la sua generosità, la sua presenza attiva e attenta a tutte le vicende politiche e civili che hanno accompagnato il suo passaggio sulla terra. L’ultimo incontro all’isola Polvese, per un convegno organizzato da Maria Borio sulla poesia in Europa. L’ultima mail collettiva, pochi giorni fa “estremismi”, aveva aperto un bel dibattito fra diverse persone.
Grazie Carlo, grazie. Ti abbraccio forte. Come facevamo quando ci incontravamo e poi  con un sorriso ironico, sornione… ci salutavamo e non mancava mai la fatidica frase alla  romana, (la dicevi proprio a tutti i tuoi amici!):  “Ciao bbella!”

Noi, mentre la casa crolla

Noi, che stiamo vivendo l’inizio del tracollo della civiltà umana,
ci preoccupiamo di cambiare la carta da parati
e di lucidare i mobili
mentre la casa crolla ci dedichiamo a rovinose dispute con il portiere
e facciamo progetti per migliorare (abbellire) le serrature delle nostre case
le nostre case stanno cadendo e noi ci preoccupiamo di abbellirle
perché gli animali domestici hanno bisogno di un ambiente sereno

Carlo Bordini

Carlo Bordini

 

Chandra Livia Candiani, “La domanda della sete”

Chandra Livia Candiani

Tenere tra le braccia
la voce del mondo
ospitare i suoni ammucchiati
senza chiedere senso
cullare lingue e pelli
ossa di diverse misure
parole fredde e calde
urli e bisbigli
una fioritura spinosa
e corrodere le frontiere
e fare uno strepito sorridente:
sì vieni, ben arrivato
nel mio sbando
c’è sempre posto per te.

*

Un dolore antico senso
frontiere con la gioia
nato prima di me
mi fessura scrive sulla pelle
i nomi privati di ogni animale
le costellazioni i mari
i vegetali. Mi chiamo
e sono essere tra gli esseri
cipresso medusa corteccia
sasso e ogni spavento
di squame e penne ogni urlo
che abbraccia il vuoto
e fa spazio.

*

Senti che silenzio ti regalo
perché tu abbia vuoto
e frescura e scavo lento
per le tue millenarie graffiature
per il tuo non registrare con la mente
ma tenere in appoggio funambolo sul cuore
la fatica della pressione altrui,
dei multipli imperativi
che sfrecciano e chiedono
e pretendono. Senti come sto
quieta e senza sonoro
appoggiata al bel niente
e dopo, quando torni contento
e già pronta la saltabeccante energia
la zampata che t’invita
alla tua radice d’infanzia.

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