Mariapia Quintavalla, “Vitae”

Mariapia Quintavalla

dalla nota dell’autrice

Andare passeggiando entro gli anni della propria vita, lo sa fare un diario, il narrare, il prosieguo della prosa. Quando si va a capo, con la poesia, si rendono anche stacchi e silenzi, si conchiude, e i frammenti sono liberi o meno di tessersi in immagine o micropoemi. è già stato fatto, in quella tensione all’opera nei miei nove libri di poesia.
Qui: a cominciare da un cuore sconosciuto, l’io sparisce e riaffiora. C’è una vera biografia, come sono storie vere, tutte le altre.
Poi: documenti, da luoghi e tempi; i ritratti di poeti amati e conosciuti e una sezione da China in prosa.
Importante sia che le visioni e i racconti più classici, dalla volontà di precisione all’afflato, a volte metafisico, a volte irriverenti, lascino affiorare la grazia che la prosa persegue, e consente, medium di un viaggio che auguro intrigante. Continua a leggere

Alberto Nessi, “Un sabato senza dolore”

dalla Nota di Fabio Pusterla

«Partire la mattina presto» è l’atto con cui Alberto Nessi, poeta vincitore del Gran Premio Svizzero di Letteratura 2016, inizia il viaggio in treno che conduce il lettore lungo paesaggi naturali e incontri umani. Questo libro è come uno scompartimento che offre un campionario di tipi e di sentimenti, di oggetti e di visioni: così capita che «la purezza della neve nel cielo / si scontra con l’oscenità del giornale». Alla ricerca della «parola che non tradisca la sua genesi» l’autore sa raccontare con la semplicità e la saggezza di chi è abituato a vivere in bilico fra attese e delusioni, in una terra spirituale di confine. Gli capita d’incontrare anche migranti clandestini: «quante volte ci morderà la rete ancora il cuore?» e alla fine deve constatare che «non vedrò più la viaggiatrice senza bagaglio / che avrebbe tante cose da raccontarmi» perché «deve scendere». È il destino di tutti, ben racchiuso in poesie scritte «forse un po’ come ballare il tango». Continua a leggere

Siriana Sgravicchia, “Il romanzo di lei”


Nella narrazione di romanzo, che Virginia Woolf ha definito simile a una tela di ragno, vi sono incontri degli autori e delle autrici con i libri del passato e del presente, i quali definiscono tutti insieme uno spazio discontinuo in cui ogni scrittura si prolunga oltre la soglia del singolo testo e oltre le cronologie creando talvolta fratture o anche abissi, altre volte territori di condivisione. Il volume propone un percorso critico attraverso romanzi di autrici italiane rappresentative dal secondo Novecento a oggi (Banti, Ceresa, Ortese, Morante, Ramondino, Sapienza, Ferrante). Il discorso nel suo complesso non intende presentare un canone ma disegnare un ritratto, uno dei possibili, dell’identità autoriale femminile nella scrittura di romanzo. L’indagine sullo stile, sui personaggi, sulle dinamiche intertestuali, e in particolare sulle strategie di autofinzione che le diverse scrittrici adottano evidenzia come tratto distintivo uno scarto fra il diritto all’espressione acquisito dalle donne e la permanenza di un segno di denuncia di volta in volta più o meno dissimulato. In questa prospettiva, i romanzi sui quali ci si sofferma testimoniano l’adozione di soluzioni che risultano attuali per i contenuti etici, civili, culturali e innovative rispetto ai codici espressivi della tradizione.

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Ida Travi, “Dora Pal, la terra”

Con Dora Pal, la terra, Ida Travi procede nella sequenza poetica avviata con poesia dello spiraglio e della neve e proseguita nel tempo attraverso tre libri. In queste raccolte Ida Travi mette a fuoco la sua personale poetica centrata sui Tolki, esseri umani, esseri comuni, abitanti una strana terra e parlanti una lingua ridotta all’osso: figure senza tempo, ex studenti, ex lavoratori, venuti da chissà dove. Una vecchia, un uomo, una ragazza, un bambino. E intorno qualche sacco di farina, un campo, un recinto, un albero. Vre è solo una ragazza, questo è il nome che le è stato assegnato. Zet ha una benda arrotolata sulla testa. Kiv, il bambino, tira il carretto. Kiv è sottile come un filo d’erba. Dice la vecchia: “Cerca le parole e troverai le immagini’. Tra loro ogni tanto canta un usignolo. Tra loro ogni tanto compare Ur. La terra ritroverà il suo tremore. Nelle squame dei pesci, nei fossi, nelle ali degli uccelli. Dietro le porte dell’ex ufficio, in laboratorio. Nel sacchetto, nel secchio. Nel libro, nel fiore. E qui. Nell’androne. Qui. Sotto l’albero della decadenza… Continua a leggere

Domenico Brancale, “Per diverse ragioni”

Dalla nota di Alberto Manguel

Se volessimo immaginare il metodo di lavoro di Brancale, è esattamente la tecnica di Rodin: nello scolpire Rodin aggiungeva argilla alla forma che costruiva, Brancale sottrae, sottrae e continua a sottrarre finché non resta che un granello di senso, ma che grano! In una poesia Brancale dice: «Il cuore è perfetto in ogni battito dell’imperfezione», ossia il cuore raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del suo battito, come – potremmo anche dire – il poeta raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del linguaggio, attraverso ciò che non può essere detto. La metafora, lo sappiamo, è un’ammissione del fallimento del linguaggio; forse per questo Brancale utilizza metafore così di rado. Le sue immagini valgono a se stesse. L’originalità non è necessariamente ammirabile in un’opera letteraria, ma quando essa è riuscita, sentiamo che quell’opera potrebbe avere duemila anni di vita, come per esempio: «la porta sulla stagione di un altro corpo.»
(Traduzione di Federica Cremaschi)

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