Matteo Bianchi, da “Fortissimo”

MATTEO BIANCHI

NOTA DI LETTURA DI ROBERTO PAZZI

Matteo Bianchi è davvero poeta di stato e di statuto. Nei suoi versi si coglie, fin dai felici esordi dei “Fischi di merlo” (2011), la ricchezza spontanea con cui salva l’esistente nella parola con la medesima naturalezza con cui respira: «Chissà come campa chi è sopravvissuto al patibolo e ha salvato il tutto a scapito di una parte, o cara storpiatura». Non si tratta di un versificare astratto e intellettualistico quello di “Fortissimo” (Minerva, collana Cleide, Bologna, 2019, pp. 93, euro 10), calato com’è in un tessuto linguistico piano, colloquiale, sempre rivolto a un ‘Tu’ che evoca e insegue il dialogo passionale perpetuo; quasi la febbre amorosa fosse la temperatura ideale per scrivere i suoi versi e Bianchi avesse consapevolezza della preziosità di quella condizione, timoroso di perdere con lei la poesia stessa. «Se Orfeo fosse uscito dal buio a mano con lei, non avrebbe avuto più motivo di cantare, ma l’avrebbe salvata dagli Inferi. A me non interessa compensare». Ma è anche poeta di statuto, colto e armato di conoscenze, attento ai modelli di una poesia che prima della sua si era posta sulla via della reinvenzione del mondo grazie alla privilegiata condizione amorosa. E così il titolo che fa i conti con il “Pianissimo” di Camillo Sbarbaro, uno dei grandi del Novecento, rivisitando il passato del poeta ligure con un registro più dichiaratamente effusivo, meno intimistico. Continua a leggere

Francesco Maria Tipaldi, da “Spin 11/10”

Francesco Maria Tipaldi

Nella poesia di Francesco Maria Tipaldi serpeggia da sempre una luce strana che fa pensare all’antipoesia. Ma il suo è desiderio di spiazzare, confondere il lettore al punto da creare nella sua un’interruzione, il disgusto, che gli faccia chiedere fino a che punto le parole si giocano in ogni momento la loro ampia malafede in cambio di una sublimazione.

PROFILASSI

L’ospedale era corallo e meduse, anguille
nelle sale parto.

“Dove sei”?

Arrivarono schiere
di levatrici con maglie alzate e seni come balene.

Il futuro è grande.
Chiediamo

di risorgere meno noi, di mangiare meglio. Continua a leggere

Maria Grazia Calandrone, “Giardino della gioia”

Il 10 settembre sarà nelle librerie italiane il nuovo libro di Maria Grazia Calandrone “Giardino della gioia” pubblicato nella collana Lo Specchio Mondadori. Vi diamo qui anticipazione di alcuni testi contenuti nel libro.

ESTRATTI

la tua mano odorava di muro di mattoni e di fiato passato nella canna del flauto nella lana del vello
nero, tra i fili fibrosi dell’erba
e la schiuma dell’argine che soverchia i sassi

*

da che centro remoto io ti saluto, assente più dei morti, mentre la prima luce
si intride di tutto ciò che tocca
e il sole diventa
capra, sasso, papavero e ginestra
sulle argille bianche
e altrove, nel carnevale barbaro del mare

*

bacino di fanghi rossi sulla falda ampia, che sommuove il canale di scolo delle saline
in diaspro e manganese e tu respiri
sepolta nel mio cuore incombustibile
e com’è vero questo non finire

*

ma in fondo a cosa serve volersi bene?
e che dobbiamo fare, rattoppiamo le perdite Continua a leggere

Claudio Pasi, “Ad ogni umano sguardo”


LA NAVIGAZIONE INTERNA NELL’88 D.C.

Per queste terre basse, nella nebbia
o sotto il sole a picco, lungo prode
inabitate e astrusi labirinti
di canali e lagune, trasportiamo
derrate e passeggeri da Claterna
agli scali di Spina conficcando
nel fondale melmoso le pagaie.

Su queste onde scorre lentamente
tutto il tempo del mondo, e allora smettano
di farci fretta consoli e mercanti
o poeti venuti da lontano.
Vanno così le nostre vite e senza
né dolore né gioia proseguiamo,
pigri Argonauti verso nessun dove.
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SOPRA LA COROGRAPHIA DI G. B. ALEOTTI STAMPATA NELL’ANNO 1603

Qui è dove convergono le piene
dei torrenti discesi dai calanchi
franosi d’Appennino che, travolti
gli sbarramenti e le fragili dighe
fatte di malta e di fascine, vanno
a spagliare per tutta la pianura. Continua a leggere

Mattia Tarantino, da “Fiori estinti”

Mattia Tarantino

Mi hai donato fiori morti
da lanciare nella stanza, fiori
già sporcati da una voce, e seppelliti
dove la parola non fa tana.
Ed è questo il trucco degli amanti:
se prendi un fiore puoi legarlo
in fondo al cielo, puoi impiccarlo
a qualche nome e poi morire.

*

È da un po’ che le foglie sono incerte,
che il cielo non sprofonda
nelle loro vene scure, dove il sangue
aggrovigliato gira e cade.

Stamattina un passero di ronda
annunciava la catastrofe cantando. Continua a leggere