Damiano Sinfonico, ” Lingualuce “

Strana e accecante la tua frase recente:
si propaga nelle giornate come il rintocco di una campana
con il crescere della distanza si attenua il suo suono
più avanti si farà impercepibile
sarà una vibrazione in qualche area della memoria
dove anche noi saremo estinti.

*

Nuvole e acqua hanno fatto il loro lavoro.
Nessuna goccia cade dagli archi,
nell’aria rinfrescata si rincorrono le rondini,
da un capo all’altro si allarga
lo stesso cielo chiaro
di quando i bizantini si innamoravano.

*

Nelle biblioteche di provincia
la voce roca e cicalante
che da dietro uno scaffale
t’impiglia nel suo giro di spola
fra le chiacchiere quotidiane
fa mostra di tutta la polvere, l’opaco
che s’incrosta sulla lingualuce.

*

Nella capitale si celebrano presentazioni,
scambi di favori, di piaceri,
dove non si agita la spina della scrittura
ma una vanità più fredda.
Io preferisco il torpore di provincia
la quiete lontana dai commerci
in questa orbita lunghissima. Continua a leggere

Fabio Pusterla, “Variazioni sulla cenere”

Cenere o terra: mite
alto fusto di platano
si staglia sul cemento che rinserra.

L’hai seguito come guardandoti allo specchio:
fuga di verdi, un’ombra di cinigia,
poi giallo cupo, nudo ramo e secco.

Ora piccoli bozzoli puntuti
splendono quasi neri sopra il grigio.
Stelle di cenere, o terra. Giorni muti.

*
Cenere o terra? Luce, semplicemente,
trama di luce che si arresta per un attimo
nell’onda dei capelli traversati dal vento.

In controsole, nell’ultima
sferza del giorno, mentre non distanti
pecore trotterellano nei prati, sottomesse
alla legge dell’erba e dell’ora,
verso la sera che cala, il sonno dolce, la vita
che continua. Come nei tuoi capelli,
anche in loro la luce si accende
e si attenua e perdura.

Sul pensiero rimangono detriti,
tracce sparse che hanno il colore
di cenere persa, di calore
depositato sulla terra. Ora possiamo
ritornare lentamente verso casa. Lo sterro
si modella in collina, i nostri nomi
sono stati scolpiti sul legno,
un cammino si è compiuto.

La strada che prosegue fa un po’ meno paura.

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Daniela Andreis, “L’ottavo giorno della settimana”

Daniela Andreis

Scheda nulla il tuo volto che sfuma,
un dolore da soma
fuso con la schiena, fatto carne
nella carne, figlio che cambia la scapola
cambia il passo, la zoppìa
che precede il freddo
un antico segno, un proverbio per il maltempo;
così, il tuo mancare all’orecchio
al collo
alla bocca
chiama l’autunno nella foglia;
svestendomi ne ritrovo una
la raccolgo,
anche per oggi ti ripongo
non mi oppongo a questa sintesi,
alla sbilancia di istanti distanti. Continua a leggere

“Il disegno pieno” della vita

di Eleonora Rimolo

Ciò che Domenico Cipriano intende ricercare, all’interno del percorso del suo nuovo libro, L’ origine, non è semplicemente il principio di tutte le cose: l’autore, infatti, sa perfettamente che questo è inconoscibile, irraggiungibile. È il primo testo ad indicarci una preliminare possibilità: “Io sono/tutte le terre che ho visitato […] e sono tanti i segni sul mio corpo”. È quindi nel proprio passato, nella ricostruzione dei luoghi e delle proprie esperienze emotive, che va cercato il senso originario; è à rebours che bisogna procedere per quella necessità spasmodica di ripercorrere le tappe di un viaggio antico, odissiaco, che ci condurrà infine ad “un intimo inizio” – come da titolo della prima sezione. Ogni tappa di questa ricerca tutta interiore ma nello stesso tempo completamente proiettata verso l’esterno e le sue “soste” (“cercando altre soste/oltre la memoria conosciuta/dove un’origine smarrita ci appartiene”) si rivela atto fondativo della poesia dell’autore, il quale nella sua estrema onestà e nella sua totale apertura verso l’Altro ci avverte che “assumiamo il profilo della terra incolta/se non ricominciamo”. Il poeta, che è anche e prima di tutto l’uomo che sente di dover fare un bilancio, di dover scavare fino alle proprie radici – come l’Ulisse de L’ultimo viaggio di Pascoli – viene attanagliato dall’angoscia di esserci stato fino a quel momento senza alcuna ragione determinata, dopo aver preso freddamente atto della propria piccolezza al cospetto dell’infinità del cosmo. E così i versi si avvicinano ai dettagli, li raccontano, li indagano, rimestando nella cenere dopo che le braci si sono consumate: “Un dettaglio marginale – sepolto o inaccessibile -/che compensa l’angoscia/la distanza sconfinata dalle stelle”. Continua a leggere