Luigia Sorrentino, tre poesie

Luigia Sorrentino

THE FIGHT
By Luigia Sorrentino
(Inedito)

they’d beaten him with kicks and punches
violently, on his back
they’d entered into the cocoon
of his dignity

they’d come for his ashy
eyes
they’d held him in their arms
with no reaction

he smelt of flowers with no response

his cardiac beat
the voice of the universe
lost in the ocean

***

strength grips his clothes
his flesh
it jerks and drags
his body

it pulls it up from its armpits
it sits it up
it moves foot and thigh behind the pelvis
it falls back and sits behind its shoulders

it keeps it close between its legs,
it envelopes it with its arms
it lets the pain slip down
along its back

muddy eyes breathe
in its belly
fatal buried
intimate love

***

the street is visible from the glass
a glossy murky
tongue
its eyes wide open

it’s hungry at night

the weightless smell of rain
has hit the hidden body
the smell comes from below

the soles of the shoes
haven’t worn out
the unfamiliar
depth of seeing

Traduzione di Giorgia Sensi

LA LOTTA
di Luigia Sorrentino
(Inedito)

l’avevano picchiato con calci e pugni
colpi violenti inferti sulla schiena
erano entrati nel bozzolo
della dignità

erano venuti a cercare i suoi occhi
inceneriti
l’avevano tenuto fra le braccia
senza risposta

odorava di fiori senza più ritorno

perduta nell’oceano
la frequenza cardiaca
la voce dell’universo Continua a leggere

… ancora Piero Bigongiari…

Piero Bigongiari

Sono il mittente, il latore, o chi,
ricevuto il messaggio, non sa aprirlo
o non osa, e rigira tra le mani
il plico oscuro, (forse il suo domani?).
Ho viaggiato seguendo anch’io la rotta
del sole nella immaginaria grotta
del cielo, non foss’altro per udire
lo sciacquío del Pacifico su coste
friabili…

E forse ho creduto
che dinanzi ai miei occhi quasi inabili
lo stesso e il diverso coincidessero.
Dovevo trovare qualcuno, e
non ho fatto che una serie di frecce
indicanti che più in là, forse più in là…

Forse più in là ritroverai la dimora,
la sconosciuta per eccellenza,
la tua di cui non puoi fare senza,
anima, che se qualcuno la sorveglia,
se il tuo essere non è ancora un’essenza.

Smuovi ancora una volta la nidiata
dei fanciulli assiepati sulla soglia.
Entra. O chi entra con te, per te?
Lì troverai chi non può rispondere
a te, forse all’altro. Lì vedrai
l’inutile messaggio necessario
volatilizzarsi nelle tue mani.

Se devi essere dove non puoi essere.
Ma il raggiro è lento, compensato.
Se uno è stato dove non è stato.
È l’amore che ronza come un’ape
vicino al fiore. Il polline è incantato.

Ma il salvatore non si è salvato.

Piero Bigongiari, una poesia da L’eruzione solare della notte, in Dove finiscono le tracce, Le Lettere. Continua a leggere

Clemente Rebora (1885 – 1957)

Clemente Rebora

O PIOGGIA DEI CIELI DISTRUTTI

O pioggia dei cieli distrutti
che per le strade e gli alberi e i cortili
livida sciacqui uguale,
tu sola intoni per tutti!
Intoni il gran funerale
dei sogni e della luce
nell’ora c’ha trattenuto il respiro:
bussano i timpani cupi,
strisciano i sistri lisci,
mentre occupa l’accordo tutti i suoni;
intoni il vario contrasto
della carne e del cuore
fra passi neri che han gocciole e fango:
scivola il vortice umano,
vibra chiuso il lavoro,
mentre s’incava respinta l’ebbrezza.
Ma tu, ragione, avanzi:
onnipossente a scaltrire il destino,
nell’inflessibil mistero
a boccheggiare ci lasci;
ma voi, rapimento e saggezza
in apollinea gioia
in sublima quiete,
al marcio del tempo le nari chiudete
o mitigando l’asprezza
nella fiala soave dell’estro
o vagheggiando dall’alto
la vita, che qui di respiro in respiro
è con noi belva in una gabbia chiusa!
Un’eletta dottrina,
un’immortale bellezza
uscirà dalla nostra rovina.

Clemente Rebora, da Frammenti lirici, Libreria della Voce, Firenze, 1913 Continua a leggere

Giuseppe Todisco, il poeta del margine


Sentire un peso – l’ottava parte
di un grammo – e tu che dall’altra
parte mi pareggi se cedo
un lascito di cose estive prese
in prestito ogni volta che ti penso.
Irene, sei già più grande di me
che sembro appena nato
ed è tutta mia questa moltitudine
di giorni da colmare – che pare
ci sia vento sempre
e sempre qualcosa da dire.
Io me ne starei con te, non fosse
tutta in cielo l’anima che posso,
perché è come amare un frutto
quando cade, se poi la terra
si dimostra.

 

L’aria che tira,
l’ammacco delle stagnole
sul mare piccolo,
ma come fai verso tu
che ti ritrai per non so quale
rigolo e tocca a me la biglia.
E resti sulla linea a mezzeria
come sanno fare bene
le sole taccole,
che per distinguersi
gettano gli occhi al sentiero
e un corpo di grigio lassù
fino alle scapole.

 

Passato via tutto il trambusto
potrei estrarti viva da un orecchio.
L’ostio del cielo radice al vento –
il maltempo agglutina nell’orto,
grugnisce un lampo.
Questo è il mio nome per sempre,
vetro minuscolo di ossidiana
che dalla cima sterile di un pino
punta dritto verso casa.
Tutti sanno dove andare: l’acqua
nel mastello, il cieco alla fontana.
Ma qualcuno ha detto basta. L’odore
di chinino allerta la ferita:
vita mia divisa – del tempo cosa fare. Continua a leggere