Silvia Bre

Silvia Bre / credits ph. Dino Ignani

di Eleonora Rimolo

In perenne tensione tra l’osservazione dell’oggetto e la scoperta della sua fragilità, la poesia di Silvia Bre esplora con circospezione quel rapporto sottile e precario tra il “sapere” e “l’essere”: un legame moribondo basato su “la forma / che si forma ciecamente / nel suo dire di sé / per vocazione.” Il dualismo, secondo il poeta, è il sistema fondante della nostra contraddittoria esistenza e ci pone sempre di fronte ad una scelta impossibile tra un prima e un dopo, da noi indipendenti: “un viale avevo / di sterminate rose / da guardare la sera” mentre “guarda adesso / com’è tutto raccolto in un mirino”. Perdere l’orientamento, la strada, lasciare il “mondo delle cose” non è tuttavia sintomo di smarrimento: è, invece, possibilità di raggiungere uno spazio nuovo, tutto interiore, dove i versi ramificano e “il cielo” si stende “sulle dita”, regalandoci una nuova ipotesi di felicità. Continua a leggere

Umberto Piersanti

 

        Umberto Piersanti/ credits ph. Dino Ignani

«Con gli occhi incerti tra ‘l sorriso e il pianto»: sulla poesia di Umberto Piersanti.

 di Eleonora Rimolo

Il punto nevralgico della poesia di Umberto Piersanti è, in maniera indiscutibile e come è stato più volte messo in luce, la natura. Attraversando in particolare due raccolte dell’autore, “L’albero delle nebbie” e “Nel folto dei sentieri”, la natura assume due ruoli fondamentali: da un lato è strumento di rievocazione della memoria antica (anch’io vi ricordo nella luce/stagliati tutti dentro l’aria,/Madío è sotto il ciocco/grande e guarda,/Celeste sale lento lo stradino,/alla Fenisa gli anni non hanno tolto/il chiaro dentro gli occhi/e sulla testa l’orcio non pende/o sussulta), e dall’altro è genitrice impietosa nelle sue leggi incontrovertibili (fino a dicembre/questa terra squallida/e contorta, profanata/dagli uomini e dai cani,/due fiori l’hanno scelta,/così segreti/ed appartati,/caso o necessità/non c’è risposta). Continua a leggere

Il mondo fenomenico di Bruno Galluccio

di Eleonora Rimolo

Nei testi di Galluccio piano fisico e metafisico sono le due rette parallele lungo le quali il verso si snoda fino a ricongiungersi in un’unità semantica dalla quale emergono punti focali ben definiti: sull’angoscia esistenziale e sulla solitudine dell’uomo Galluccio modella i suoi fantasmi interiori, e a questi confida tutti i suoi rimpianti (“quella che sarebbe potuta essere mia figlia/sta correndo e mi chiama/ancora indecisa se esistere”). Il mondo fenomenico, per quanto ordinato e compreso scientificamente, cela la reale natura delle cose: e così dal buio una luce artificiale emerge riflettendo le ferite nascoste, i rimorsi (“Il faro illumina involontario/la cicatrice che non mostravi/il mezzo volto penitente”). Le suggestioni si rincorrono con il ripetersi delle stagioni e i nodi emotivi maggiori si sciolgono sul calare dell’inverno (“nel buio inverno per te”): necessario si fa dunque il rifugio e indispensabile la voce, per coprire il silenzio del lampo e per riscaldare corpo e materia. Continua a leggere

Patrizia Valduga

Patrizia Valduga credits ph Dino Ignani

di Fabrizio Fantoni

Voce tra le più rilevanti della poesia del secondo novecento, Patrizia Valduga si è caratterizzata, sin dal suo esordio poetico, per la ripresa di generi metrici tradizionali quali il sonetto, l’ottava e la terzina dantesca. Una scelta questa che lungi dall’essere frutto di classicismo o peggio di citazionismo trae origine dalla necessità, avvertita dall’autrice, di porre un argine ad un’inarrestabile energia vitale che nei versi trova concreta espressione in un Eros irrefrenabile e dilagante inteso, come scrive Recalcati, in un “erratico, eccentrico, incostante oltrepassamento di qualunque soddisfazione possibile».
Tale modalità stilistica, riprodotta anche nelle raccolte successive, trova piena compiutezza nel libro “Requiem” (1994) che può essere considerato, a pieno titolo, come il risultato più rilevante della sua produzione poetica. Qui il dolore, evocato tramite la reale esperienza della morte del padre, diviene oggetto di un canto in cui contenuto e forma metrica non sono più presupposto l’uno dell’altro ma divengono un tutt’uno, si fondono dando vita, come scrive Luigi Baldacci, ad una “cronistoria di un’agonia e di un’angoscia, del padre e della figlia: una morte riguardata dalle ultime trincee della vita” in cui “niente è lasciato alla sfera della metafisica, tutto si riporta all’immanenza, al concreto”. Sono versi di forte impatto emotivo che ci parlano della lontananza che si crea tra persone legate da vincoli di sangue e di una figlia che, nel dolore, vede dischiudersi davanti a se la vita del padre colta in tutta la sua intensità proprio nel momento del suo perdersi. Continua a leggere

Alessandro Ceni

Alessandro Ceni

di Giovanni Ibello

La poesia di Alessandro Ceni sembra quasi un rituale di recessione, una metamorfosi di elementi che si deformano, di insetti dormienti, di erbe gelate nello stomaco del bue.

Attraverso un processo di accensioni visionarie, le riflessioni metafisiche dell’autore ci conducono a una spudorata evidenza del nulla.

La scansione dei versi è regolata da leggi “autonome”; pertanto l’eleganza della parola si alterna a un impeto, a una risolutezza espressiva che spiazza anche il lettore più attento.
Al di là degli inevitabili richiami a Walt Whitman e Dylan Thomas, Alessandro Ceni resta un poeta fedele a sé stesso, un autentico numero primo.

L’impressione è che per l’autore la “natura delle cose” si risolva in un’esperienza sinestetica e drammatica, dove l’assenza è generata dal tumulto del tragico e l’io regredisce spontaneamente nel selvatico, in un bianco primitivo, senza storia, senza dominio e per questo “prossimo al divino”. Continua a leggere