Il giamaicano Raymond Antrobus

Raymond Antrobus

The Perseverance

Love is the man overstanding
Peter Tosh

I wait outside THE PERSEVERANCE.
Just popping in here a minute.
I’d heard him say it many times before
like all kids with a drinking father,
watch him disappear
into smoke and laughter.

There is no such thing as too much laughter,
my father says, drinking in THE PERSEVERANCE
until everything disappears –
I’m outside counting minutes,
waiting for the man, my father
to finish his shot and take me home before

it gets dark. We’ve been here before,
no such thing as too much laughter
unless you’re my mother without my father,
working weekends while THE PERSEVERANCE
spits him out for a minute.
He gives me 50p to make me disappear.

50p in my hand, I disappear
like a coin in a parking meter before
the time runs out. How many minutes
will I lose listening to the laughter
spilling from THE PERSEVERANCE
while strangers ask, where is your father?

I stare at the doors and say, my father
is working. Strangers who don’t disappear
but hug me for my perseverance.
Dad said this will be the last time before,
while the TV spilled canned laughter,
us, on the sofa in his council flat, knowing any minute

the yams will boil, any minute,
I will eat again with my father,
who cooks and serves laughter
good as any Jamaican who disappeared
from the Island I tasted before
overstanding our heat and perseverance.

I still hear popping in for a minute, see him disappear.
We lose our fathers before we know it.
I am still outside THE PERSEVERANCE, listening for the laughter.

The Perseverance

Amore è l’uomo che capisce fin troppo
Peter Tosh

Aspetto fuori da THE PERSEVERANCE.
Faccio un salto dentro.
Glielo avevo sentito dire molte altre volte
come tutti i bambini con un padre che beve,
lo guardo scomparire
dentro fumo e risate.

Non sono mai troppe, le risate
dice mio padre, che beve a THE PERSEVERANCE
finché tutto scompare –
Io sto fuori a contare i minuti,
ad aspettare che l’uomo, mio padre,
finisca il suo goccio e mi riporti a casa prima

che faccia buio. Questo lo sappiamo già da prima,
non sono mai troppe le risate
a meno che non siate mia madre senza mio padre,
che lavora al fine settimana mentre THE PERSEVERANCE
lo sputa fuori per un minuto.
Mi dà 50p perché io sparisca.

Con 50p in mano, io sparisco
come una moneta in un parchimetro prima
che scada il tempo. Quanti minuti
perderò ad ascoltare le risate
che tracimano da THE PERSEVERANCE
mentre sconosciuti chiedono, dov’è tuo padre?

Io fisso la porta e dico, mio padre
sta lavorando. Sconosciuti che non spariscono
ma mi abbracciano per la mia perseveranza.
Papà l’aveva detto prima questa sarà l’ultima volta,
mentre la TV rovesciava risate finte, e noi,
sul divano della sua casa popolare, sappiamo che da un momento all’altro

gli yams bolliranno, da un momento all’altro,
io mangerò di nuovo con mio padre,
che cucina e serve risate
bravo come un qualsiasi giamaicano sparito
dall’Isola che ho assaggiato prima
che capisce il nostro calore e la nostra perseveranza.

Sento ancora faccio un salto dentro, lo vedo scomparire.
I nostri padri li perdiamo prima che ce ne accorgiamo.
Sto ancora fuori da THE PERSEVERANCE, ad ascoltare le risate. Continua a leggere

Wendy Cope, poesie

Wendy Cope

Bloody Men

 

 

Bloody men are like bloody buses –
You wait for about a year
And as soon as one approaches your stop
Two or three others appear.

You look at them flashing their indicators,
Offering you a ride.
You’re trying to read the destinations,
You haven’t much time to decide.

If you make a mistake, there is no turning back.
Jump off, and you’ll stand there and gaze
While the cars and the taxis and lorries go by
And the minutes, the hours, the days.

 

Quei fetenti degli uomini

Sono come quei fetenti degli autobus –
li aspetti per circa un anno
e quando alla fine compare un bus
eccone altri due o tre che sbucano.

Mettono la freccia, guardi il lampeggio,
cerchi di leggere la destinazione.
Loro ti offrono un passaggio,
ma tu non hai molto tempo per la decisione.

Se commetti un errore, non puoi far dietrofront.
Salta giù, e starai là a fissare
le macchine e i taxi e i camion,
e i minuti, le ore, i giorni passare. Continua a leggere

Stefan George (1868 -1933)

Die sommerwiese dürrt von arger flamme

Auf einem uferpfad zertretnen kleees
Sah ich mein haupt umwirrt von zähem schlamme
Im fluss trübrot von ferner donner grimm.
Nach irren nächten sind die morgen schlimm:
Die teuren gärten wurden dumpfe pferche
Mit bäumen voll unzeitig giftigen schneees
Und hoffnungslosen tones stieg die lerche.

Da trittst du durch das land mit leichten sohlen
Und es wird hell von farben die du maltest.
Du lehrst vom frohen zweig die früchte holen
Und jagst den schatten der im dunkel kreucht ..
Wer wüsste je – du und dein still geleucht –
Bänd ich zum danke dir nicht diese krone:
Dass du mir tage mehr als sonne strahltest
Und abende als jede sternenzone

*

Devasta una maligna fiamma i campi

Da un argine di magra erba calpesta
vidi tra il fango torba la mia testa
nel fiume bieco di lontani lampi.
Da notti folli torbidi mattini:
avvelenata neve rifioriva
fatti acri stabbi i nitidi giardini
e sgomenta l’allodola saliva.

Tu vieni lieve ora per la campagna
e ai colori che temperi schiarisce.
Insegni a coglier frutti dalla rama
e scacci l’ombra che ne buio striscia…
Sapevi tu e la tua calma spera
che io ti offrirei ghirlanda di parole:
giorni tu mi raggirasti più del sole,
più di ogni zona d’astri qualche sera.

Stefan George, una poesia da Der siebente ring (Il settimo anello) 1907. La traduzione italiana è di Leone Traverso. Continua a leggere

Leopoldo María Panero (1948 – 2014)

Leopoldo María Panero

Oltre quel luogo dove
ancora si nasconde la vita, resta
un regno, resta da coltivare
come un re la sua agonia,
da far fiorire come un regno
il sudicio fiore dell’agonia:
io che tutto ho prostituito, posso ancora
prostituire la mia morte e fare
del mio cadavere l’ultima poesia.

Leopoldo María Panero nella traduzione di Alessandro De Francesco.
Dalla rivista Poesia, Crocetti Editore (anno 2012)

Más allá de donde
aún se esconde la vida, queda
un reino, queda cultivar
como un rey su agonía,
hacer florecer como un reino
la sucia flor de la agonía:
yo que todo lo prostituí, aún puedo
prostituir mi muerte y hacer
de mi cadáver el último poema.

Leopoldo María Panero
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Il poeta cileno Raúl Zurita

Raúl Zurita

Torturati

Niente non si sente niente se urlavano i torturati
dell’Unità 420 sotto il crepuscolo insanguinato nudi
tremando

Davanti ai moli che sembrano fluttuare nella sanguinante
aurora davanti alle stesse smantellate navi della baia
davanti allo stesso ferro di cavallo insanguinato
dell’oceano

Dove esistono solamente alcuni moli diroccati
e in fondo gli stessi detriti le stesse squadre
ammuffite gli stessi torturati nudi è che volevamo
sentirti dirigere le grandi mareggiate del Pacifico
dicevano quelli dell’Unità 420 a Ludwig Van Beethoven
che galleggiava allontanandosi immedesimato
estraneo verso la parte più inconfessabile del tramonto

(Traduzione di Alberto Marsala)

Torturados

Nada no se escucha nada se gritaban los torturados
de la Unidad 420 debajo del ensangrentado crepúsculo
desnudos temblando

Frente a los muelles que parecen flotar en la sangrante
aurora frente a los mismos desmantelados barcos de
la bahía frente a la misma herradura ensangrentada
del océano

Donde lo único que existe son unos derruidos molos y
al fondo los mismos escombros las mismas mohosas
escuadras los mismos torturados desnudos Es que
queríamos oírlo dirigir las grandes marejadas del
Pacífico le decían los de la Unidad 420 a Ludwig Van
Beethoven que flotaba alejándose ensimismado
extraño por la parte más inconfesable del atardecer

 

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