Beppe Fenoglio

Beppe Fenoglio


di Fabio Izzo

“Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sotto terra.
Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta la casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel’avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po’ su la testa.”

Incipt de La Malora

Beppe Fenoglio è stato un vero uomo di Langa (in piemontese). L’incipit de “ La Malora”, a mio modesto parere è uno degli inizi maggiormente riusciti della nostra letteratura. Questo estratto infatti rende al meglio l’idea dell’intensità del rapporto tra lo scrittore e la sua terra, ufficialmente inclusa, insieme al Roero Monferrato, nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Fenoglio ne ha raccontato la storia e le vicissitudine nelle pagine dei suoi romanzi “I ventitré giorni della città di Alba”, “La malora”, “Una questione privata”, “Il partigiano Johnny” e “La paga del sabato”. Continua a leggere

John Kinsella

John Kinsella Ph. Andrew De La Rue

 

il filamento di blu, l’invisibile corrimano

Scala a chiocciola verso un filamento di blu:
su Santa Lucia di F. Furini
(Galleria Spada, Roma)

 

Discesa di compensazione

nell’abituare gli occhi

a scrutare dal buio —

occhio strappato ed esposto —

quel che resta sembra

già abbastanza difficile per un paio,

ti penetra da parte a parte,

un feroce tumulto,

l’avido sguardo della singolarità —

occhio strappato ed esposto —

non guardare dove il guardare

non è voluto — messaggio

invertito — per entrare

con l’inganno nella chiarità, i becchi

delle aquile al di sopra di Hong

Kong Harbour, e a casa prima

che lasciassero i cieli

sulla vallata di Jam Tree

Gully — in absentia —

cos’è successo, un filamento

di blu sulla nuca, capelli blu

che accendono uno spalle-scoperte

riflettendo di rimando non

una convenzione pittorica,

le scale di pietra

che la raggiungono,

avanzando a tentoni

nella poca luce

che facciamo — nel filamento

di blu che seguiamo,

l’invisibile corrimano. Continua a leggere

In memoria di Joëlle Gardes

Joëlle Gardes

 

di Tommaso Di Dio

Dedicate alla memoria della poetessa, studiosa e traduttrice Joëlle Gardes, da poco scomparsa, si presentano qui tre poesie, nella lingua francese e italiana.

Dopo aver generosamente tradotto il mio libro Tua e di tutti per Recours au Poème, Joëlle era da tempo impegnata insieme a Jean-Charles Vegliante nella traduzione dell’opera del comune amico Mario Benedetti. Fin da subito, capii che la traduzione per lei non aveva un semplice significato letterario, ma era – e non poteva che essere – una concretissima e affettuosa pratica di conoscenza: un modo di abbracciare ciò che la sorte ha posto lontano.
Per questo, noi suoi amici vogliamo salutarla con quello stesso gesto che le era caro: traducendo insieme una sua poesia inedita e traducendo reciprocamente le nostre due, dedicate a lei. In questo scambio di lingue, in questo lavoro o travaille, ognuno fa proprio, per un momento, quella comunione con la pura lingua dell’intraducibile che ogni poeta non può non tenere a mente; e Joëlle in questo – e non solo in questo – era ed è stata la più fine poeta. Continua a leggere

Joëlle Gardes. Un ricordo, attraversando la poesia di Julien Blaine

Joëlle Gardes

di Alberto Bramati

Nella sua prima raccolta di saggi scritta in francese, “L’arte del romanzo”(Gallimard 1986, tr. it. Adelphi 1988), Milan Kundera presenta nel capitolo intitolato “Sessantasei parole” il suo dizionario personale, le sue «parole-chiave», «parole-problema», «parole-amore» (p. 172). Alla voce “Eccitazione”, si legge:
ECCITAZIONE. E non piacere, godimento, sentimento, passione. L’eccitazione è il fondamento dell’erotismo, il suo enigma più profondo, la sua parola-chiave. (p. 180)
Ho riflettuto spesso su questa definizione e credo di non essere d’accordo con Kundera. Ciò che rappresenta il mistero delle relazioni umane non è per me l’eccitazione ma l’attrazione, un fenomeno psichico che non riguarda solo la dimensione dell’erotismo ma l’intero campo delle relazioni affettive.

Quando l’attrazione è reciproca, ciò che nasce e si sviluppa è un attaccamento che coinvolge due esseri fino ad allora estranei. La nascita e lo sviluppo di un legame affettivo – come da una totale estraneità si passi per slittamenti impercettibili a una più o meno profonda intimità – sono sempre stati per me un mistero impossibile da ricostruire e da spiegare. Ogni volta che ripenso a come sono nati i legami che hanno contato nella mia vita, la mia memoria si blocca, divento incapace di ricostruire in modo ordinato le tappe che dall’iniziale estraneità hanno portato all’esistenza del legame affettivo. E questo mi succede anche ora, ripensando alla mia amicizia con Joëlle.

Alberto Bramati

La conobbi nel 2003, durante il mio dottorato in linguistica all’Université de Provence. Non era la mia direttrice di tesi, ne seguivo i corsi solo per interesse personale. Quando mi fu chiesto di fare un esame in più per la convalida della mia attività annuale, mi rivolsi a lei. Ricordo che mi chiese che cosa mi interessasse. Le risposi che mi sarebbe piaciuto studiare la concezione del linguaggio di Gorgia. «Interessa anche a me», mi disse. Fui colpito dalla sua volontà di trasformare un obbligo burocratico in un’occasione di ricerca e di arricchimento reciproco. Quando finii il dottorato, si era trasferita a Parigi alla Sorbona. La contattai per un eventuale scambio docenti nel quadro delle borse Erasmus. Fu subito d’accordo. Per tre anni ebbi così l’occasione di intervenire nei suoi corsi. Poi vennero i convegni, le conferenze, le pubblicazioni, e negli ultimi anni, dopo che aveva lasciato l’università, le visite di piacere, io a casa sua, ogni volta che andavo a Aix, e lei a casa mia, quando veniva a trovare i suoi amici milanesi. Continua a leggere

Louise Colet

Louise Colet, lithographie de Marie-Alexandre Alophe

Un’autrice troppo dimenticata: Louise Colet

di Joëlle Gardes

Nessuno è profeta in patria e Louise Colet ne è l’esempio. Lei, relativamente conosciuta in Italia per il suo impegno politico durante il Risorgimento e per i suoi volumi L’Italie des Italiens, è oggi, nel suo stesso paese, ridotta al ruolo di musa di Flaubert, Musset o Vigny…
Il trattamento riservatole in vita è una testimonianza lampante degli ostacoli che una donna, bella, indipendente e autrice, poteva incontrare all’epoca. Più che la scrittrice è la donna che si attaccava, come se una donna non potesse essere dotata nella scrittura, come se ogni minimo successo fosse dovuto unicamente alla sua avvenenza.
Louise Colet è nata ad Aix-en-Provence, nel 1810. La famiglia originaria era borghese da parte di padre, e aristocratica ma di spirito rivoluzionario da parte di madre. Dopo la morte del padre, si trasferisce con la madre e con i fratelli e le sorelle a Servane, nei pressi di Saint Rémy de Provence. In disaccordo con la famiglia, molto conservatrice, dopo la morte della madre che la sosteneva, Louise non ha che un’idea in testa: sposarsi e trasferirsi a Parigi, ciò che fa sposando il musicista Hyppolite Colet, con il quale però non andrà mai d’accordo. I due finiscono per separarsi, ma è a casa di lei che lui morirà, di tubercolosi, nel 1851. Continua a leggere