Raymond Carver, “La poesia che non ho scritto”

Raymond Carver

The Poem I Didn’t Write

Here is the poem I was going to write
earlier, but didn’t
because I heard you stirring.
I was thinking again
about that first morning in Zurich.
How we woke up before sunrise.
Disoriented for a minute. But going
out onto the balcony that looked down
over the river, and the old part of the city.
And simply standing there, speechless.
Nude. Watching the sky lighten.
So thrilled and happy. As if
we’d been put there
just at that moment.

Raymond Carver

La poesia che non ho scritto

Ecco la poesia che volevo scrivere
prima, ma non l’ho scritta
perché ti ho sentita muoverti.
Stavo ripensando
a quella prima mattina a Zurigo.
Quando ci siamo svegliati prima dell’alba.
Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
usciti sul balcone che dominava
il fiume e la città vecchia.
E siamo rimasti lì senza parlare.
Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
Così felici ed emozionati. Come se
fossimo stati messi lì
proprio in quel momento.

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Giampiero Neri, “Da un paese vicino”

Giampiero Neri

I

Al giardino si entrava per un cancelletto di legno
che non aveva chiusura.
Era un luogo abbastanza grande, coltivato in
parte a ortaglia e piante da frutta, di prugne per lo
più, che crescevano rigogliose.
A sud confinava con il campo di un contadino,
un vero spauracchio, che a volte si affacciava
con la sua testa calva al muricciolo sbrecciato che
divideva i due terreni.

II

Abitavamo in via Mainoni al numero 5, e il giardino
era davanti a noi, lo si vedeva dalla finestra.
A me sembrava molto grande. Allora andavo alle
scuole elementari ma, in giardino, trovavo sempre
qualcosa da curiosare.
Quella volta era venuto anche mio cugino
Ezio, di poco più giovane.
Aveva in mano un giocattolo che gli avevo
presto sottratto. Lui si era messo a gridare e piangere.
Al rumore si era affacciata sua mamma, che
abitava sopra di noi, la zia Ester, e aveva comandato:
«Ezio, vieni su. Non giocare con quel cretinetti
in vacanza».

III

La zia Ester era una donna avvenente, alta, bruna.
Aveva modi piuttosto bruschi, uno sguardo deciso
che a volte aveva qualcosa di sprezzante.
Una figura solitaria, senza amici né tantomeno
compagnie.
I suoi litigi col marito erano furibondi, volavano
piatti e tovaglie, strappati dal tavolo con quello
che vi era sopra.
Aveva preso la patente e guidava una delle
prime macchine, una «Topolino».
Quel pomeriggio, quasi sull’uscio di casa, mi
aveva detto: «Vado a Como. Vuoi venire?». È stato
un viaggio avventuroso, abbiamo anche avuto un
pauroso testa coda, la macchina era slittata su un
tratto ghiacciato di strada.
Poi Como ci aveva accolti con il suo ridente
paesaggio. Continua a leggere

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Franca Mancinelli, “Tutti gli occhi che ho aperto”

Franca Mancinelli / Credits ph. Enrico Chiaretti

quando tornerai a vedere, troverai ogni cosa sorretta dai rami. Non è accaduto niente. Siamo qui, su questa intelaiatura di foglie. A tratti un grido spalanca la gola. Perdiamo tepore. Allora si scuote, ci culla nel vento leggero.

*

ritorno, ascolto l’aria. E poi salto.
I dove sono tutti provvisori.
Crescono come i rami.

*

l’infinito dei morti
espande un’altra galassia.
Il rosso nel buio continua
a sfociare nel mare
dove siamo senza corpo accucciati.

*

stringe la stanza come una mano
due pezzi di pane a sbriciolarsi

corpo esangue di nessuno
fate questo dimenticando
di voi solo un residuo
da spazzare via.

*

siamo noi, polline e polvere.
Poche ore per ere di lontananza.
Come la chioma di un albero prima
della bufera. Avere due occhi
riconoscerti. Di ogni tuo nome
porto alla bocca
tra sillabe di silenzio. Continua a leggere

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Alberto Nessi, “Perché non scrivo con un filo d’erba”

ANTEPRIMA EDITORIALE

Il 19 novembre 2020 compie 80 anni Alberto Nessi, Gran Premio svizzero di letteratura. Per festeggiarlo Interlinea pubblica la sua ultima raccolta Perché non scrivo con un filo d’erba, un’antologia che raccoglie i suoi testi più intensi, su dolore, ingiustizie, viaggi, natura e società con una particolarità da collezione: i testi sono accompagnati dai manoscritti dell’autore.

Il libro si chiude con testi di Fabio Pusterla dedicati al maestro e amico Nessi.

Dal 19 novembre  80 copie numerate e firmate dall’autore di Perché non scrivo con un filo d’erba sono disponibili fino a esaurimento, soltanto sul bookshop di Interlinea.

 

Invito

Il paese è di sorbi vendemmiati
di tetti miti all’aria di settembre
tra il silenzio degli alberi che anche tu
ricordi presso la casa di verderame.

Il tempo è quello incerto dell’attesa
l’orologio s’è rotto ed il segreto
ripete in alto il suo volo d’uccello.

1969

 

i segni dell’alfabeto vegetale
e la pioggia risillaba i cespugli: allora
nella mia testa le parole brillano
come topinambur,
dietro il cancello il fico
torce i suoi rami come un anacoluto.

1992

 

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Duncan Bush, poesie

Duncan Bush

Midsummer. Night.

There’s a moment in summer when everything stops.
Ten o’clock, and the young pear tree still
shines white as a bride

against trees lush with evening, black with June.
There’s a moment (though this may not be
the evening of the 21st)

when infinitesimally your life pivots
with the year (though probably it’s not your
thirty-fifth, and you may

not reach seventy). A moment
when the inch of wine set down forgotten
in your glass holds all

the failing light, and stands unwavering
as if your numberless progenitors had
lived, begotten, died

only so you should see such stillness.
There’s this moment one summer when summers
stand in silhouette, and the topmost leaves

of those trees which are as old as your bloodline
are stirred no more than by the breathing of
your sleeping child upstairs.

There’s a moment in summer when everything stops
(though the pear no bigger than a haw
will ripen under leaves)

and you sit so long at the window the room’s dark,
and just this tilted page is luminous,
though you can hardly see the letters.

Then you look outside again, and the peartree’s
gone, to the blackness beyond it. And tomorrow
from now on means only that:

a day, then a day, then a day. And life,
which was once vast as the atlas on the shelf,
is closer than your skin, and countable.

Mezza estate. Notte.

C’è un momento in estate in cui tutto si ferma.
Le dieci, e il giovane pero ancora
risplende bianco come una sposa

contro alberi turgidi per la sera, neri per il giugno.
C’è un momento (potrebbe anche non essere
la sera del 21)

in cui in modo infinitesimo la tua vita ruota
con l’anno (anche se forse non ne hai
trentacinque e potresti

non arrivare ai settanta). Un momento
in cui quel dito di vino dimenticato
nel bicchiere trattiene tutta

la luce che se ne va, e non ha un tremore
come se i tuoi innumerevoli progenitori avessero
vissuto, procreato, fossero morti

solo perché tu vedessi tale immobilità.
C’è questo momento in una estate in cui le estati
appaiono in silhouette, e le foglie più alte

di quegli alberi che sono antichi come la tua ascendenza
stormirebbero di più sotto il respiro
del tuo bimbo che di sopra dorme.

C’è un momento in estate in cui tutto si ferma
(ma la pera non più grande di una bacca
maturerà sotto le foglie)

e tu siedi tanto a lungo alla finestra che la stanza è buia,
e solo questa pagina alzata è illuminata,
anche se le lettere le vedi appena.

Poi guardi fuori di nuovo, e il pero
è sparito, dentro al buio circostante. E il domani
d’ora in poi significa solo questo:

un giorno, poi un giorno, poi un giorno. E la vita,
che una volta era grande come quel mappamondo lì,
ti sta più stretta della tua pelle, e la puoi contare. Continua a leggere

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