William Carlos Williams, “La primavera e tutto il resto”

William Carlos Williams

La primavera e tutto il resto (1923) è la precoce testimonianza di una fra le più inesauste e febbrili esperienze di poesia del Novecento.

Scritto dal grande poeta modernista americano William Carlos Williams come risposta alla pubblicazione di The Waste Land di T.S. Eliot del 1922, La primavera e tutto il resto è un prosimetro che raccoglie i versi giovanili che egli riteneva migliori e mostra quanto l’esperienza dell’arte cubista e la violenza della grande guerra appena conclusa avessero destrutturato ogni scrittura e reso necessaria una radicale apertura verso un’incognita vita nova.

Ne risulta un’opera fremente, mossa, spezzata, liberata da ogni piaggeria formale, in cui il poeta pone al centro il tentativo di una rinascita dell’intera cultura Occidentale grazie all’immaginazione, intesa però come l’unica forza capace di far sostare il lettore su ciò che da sempre gli è stato tolto, ovvero il momento attuale, l’adesso, dove ognuno di noi possa infine ritrovare se stesso.

ESTRATTI

Se qualcosa del momento verrà fuori – tanto meglio. E più probabilmente ciò accadrà, tanto più non ci sarà nessuno che vorrà vederlo.

C’è una costante barriera tra il lettore e la sua consapevolezza dell’immediato contatto con il mondo. Se c’è un oceano, è qui. O piuttosto, l’intero mondo è nel mezzo: Ieri, domani, Europa, Asia, Africa, – tutte le cose remote e impossibili, la torre della chiesa di Siviglia, il Partenone. Continua a leggere

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

L’amicizia fra Castor Seibel e Giacinto Scelsi

Domenico Brancale cura per PROVA D’ARTISTA Un’amicizia – Castor Seibel e Giacinto Scelsi. La nota di questa amicizia artistica e profonda è per Domenico Brancale, il Mi, la terza nota della scala musicale, l’unica priva di diesis e di bemolle come se Brancale volesse affermare la verità umana nell’assolutezza del suono della parola: l’amicizia fra due persone emette un suono netto, definito, privo di  “alterazioni”, perché  per Brancale, è un dialogo infinito, perenne, che non può esistere senza l’essere umano, così come la musica non può esistere senza il suono.

(Luigia Sorrentino)

 

ESTRATTO

Antifona

per Sharon Kanach

M’illumino / d’immenso – la poesia di Giacinto Scelsi, se solo fosse capace di definirsi, potrebbe certo fare suo questo grido di Giuseppe Ungaretti.

Sant’Agostino confessa: “A chi mi rivolgo quando mi rivolgo a Dio? Alla luce che è in me.” Come parlare dunque, in altri termini, della poesia? Lei che, con ogni poeta genuino*, estende i suoi confini? Sant’Agostino, per continuare: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so bene, ma se mi chiedono di spiegarlo, non lo so più.”

La poesia – quando c’è poesia – rifiuta e distrugge ogni tentativo di spiegazione. La poesia è, punto e basta.

È lei che porta l’uomo verso il suo interno che è spazio illimitato. Come, come voler spiegare la poesia quando è lei stessa che spiega il mondo!

Per Giacinto Scelsi, poesia e suono costituiscono questo spazio illimitato, questa luce che ci unisce all’universo.
L’uomo e l’universo, così pensati, fanno un tutt’uno: ma solo così. Lui, Scelsi, si vuole messaggero!
Imbevuto, compenetrato, impregnato di ciò che ascolta in se stesso e che trasforma in poesia verbale o musicale, ce lo comunica al più alto grado d’incandescenza, laddove l’incanto – incantesimo**, dice lui – comincia ad agire.
Scelsi si immagina come semplice veicolo attraverso cui passa ciò che, continuamente, è in divenire.
Attenzione però a non sbagliarsi: il chiaro non deriva dal chiaro ma dall’oscuro, dalla notte più profonda, come dice Henri Michaux, amico di Scelsi, “oscurità antro da cui tutto può scaturire, in cui tutto bisogna cercare, dal lato più oscuro della notte”.

Ecco! La noche oscura e la nada di San Juan de la Cruz.

Notte che genera luce, come il diamante, che viene dall’antracite informe del carbone e che, sotto l’immensa energia di una pressione millenaria, si cristallizza.

Colui che vuole rendere la luce sul foglio bianco, cominci con il tratto nero della grafite.

Giacinto Scelsi: la sua ossessione per le forme geometriche, luogo elevato in cui musica e poesia si congiungono. La sua geometria è ascensionale, poiché va verso la trasfigurazione di se stessa.
Poetica di forme che suscitano l’emozione estetica: visione poetica della nostra esistenza terrena. Forme che si esaltano, parossismo dei loro stessi contorni nella metamorfosi che solo può l’amore di un cuore ardente, quello di Giacinto Scelsi, che immaginava lo spirito come una luce viva sull’anima.

Castor Seibel
Parigi, gennaio 2006

* In italiano nel testo
** Testo apparso nel volume Giacinto Scelsi, L’homme du son, Acte Sud, Arles 2006 Continua a leggere

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Angela Leighton, “A Lighthouse”

Angela Leighton

La poetessa e studiosa inglese Angela Leighton ha scritto una poesia per commemorare Anne Stevenson, che ci ha lasciato il 14 settembre di quest’anno. È stata pubblicata su TLS, The Times Literary Supplement, del 16 ottobre.

Amica di Anne da molti anni, Angela ha voluto ricordare con i suoi versi alcuni aspetti del suo carattere ben noti a lei e ai suoi lettori, quali l’impegno serio e costante nella poesia, durato una vita, e il sense of humour che la portava a fare un uso giocoso del linguaggio e le permetteva di affrontare con spirito lieve anche i momenti per lei più dolorosi.

Anne Stevenson

Anne Stevenson aveva da poco pubblicato quello che lei stessa prevedeva sarebbe stato il suo ultimo libro, dal titolo profetico, Completing the Circle (che ha voluto dedicare alla sua traduttrice italiana).

Il titolo è tratto dalle Elegie Duinesi di Rilke e, come lei stessa dice, esprime il lungamente meditato convincimento che “la morte è il giusto e naturale completamento del cerchio che accettiamo e riconosciamo essere la vita”.

Questa consapevolezza serena riecheggia fin dalle prime parole della poesia di Angela Leighton, in cui l’amica ricorda una frase scherzosa di Anne a commento dei suoi disturbi cardiaci : “Ariel flutters” . È un gioco di parole, purtroppo intraducibile, basato sull’assonanza tra il nome di Ariel, lo spirito dell’aria, uno dei personaggi della commedia La tempesta di William Shakespeare, e “atrial flutter”, il termine medico che indica la fibrillazione atriale, un’aritmia cardiaca che i pazienti avvertono come uno sfarfallio del cuore. Ha voluto lasciarci con un sorriso. Continua a leggere

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Luigia Sorrentino, poesie

Luigia Sorrentino, gennaio 2020

nascosto nella tana dorme il bosco

le mani non sostengono più niente
piccole ossa, radici pietrose
di alberi accresciuti
dal seme oltre misura

l’eterno, la cosa compiuta
nella parola, appare in un coro

**

totale il sentiero della terra

la piccola forma della luce
è una fiamma,

innerva il collo
nel ritmo del torace

così dispiegata nel vento,
nello stesso petto discende

aderendo, siamo succo denso,
qualsiasi cosa, aperta e vuota

mostrata senza palmo
la sua essenza liberata
con la stessa devozione
del tradimento, di tutte le parole
si consuma l’intero universo

**

la massa del fiore
corolla di inesauribile accoglimento
urta il vento

incalcolabile il pianto, dai nudi
occhi scivola,
non è più sua
la piccola vita, si mette via

interrogata trema
fra i tronchi degli alberi

canta, così canta
tutta la notte adagiata Continua a leggere

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

La parola, il valore della testimonianza

Perché scrivere? Quale impulso muove da secoli l’uomo a narrare storie? È l’interrogativo da cui parte la riflessione di Franco Rella, facendo appello al bagaglio di letture accumulate nel corso della propria vita e interpellando gli autori che più lo hanno segnato. Da Dante a Cavalcanti, da Shakespeare a Benjamin, e poi Goethe, Kafka, Bataille, Roth, senza dimenticare i classici greci e latini, non esiste narratore che non si sia posto l’interrogativo e che non abbia cercato di spiegare – e spiegare a sé stesso – la realtà che ci circonda. L’esigenza di raccontare nasce proprio da quella realtà, e chi scrive può manipolarla, far interpretare la parte del protagonista a un personaggio di finzione, per poi rendersi conto che la protagonista assoluta della narrazione è la parola stessa, unica difesa che l’uomo abbia contro il male, unica arma capace di organizzare l’immagine del mondo e della realtà, come in un ideale inventario che raccolga tutte le esperienze vissute. Quella stessa parola che Pasolini suggeriva di usare con cautela, che per il solo fatto di portare con sé «un carico d’anima» legittima l’altrimenti insensata attività di scrivere.

Continua a leggere

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •