Sanda Voïca su “Olympia”

Luigia Sorrentino, Credits ph Angelo Nitti

NOTA DI LETTURA DI SANDA VOICA

La poesia di Luigia Sorrentino scaturisce dalla linea di una soglia senza fine: da un presente allargato, senza limiti, ma che non è solo vita quotidiana, e che abbraccia sia il passato ( l’antico) sia il futuro (l’avvenire). Quanto al quotidiano, è il nostro mondo visibile, ma anche un altro, invisibile, che la poeta ci fa vedere.

Attraverso immagini oniriche, allucinatorie, irreali, inaspettate, insolite, ammalianti, abbaglianti e coinvolgenti, a volte leggere, a volte pesanti, che non sono esenti da dettagli realistici, concreti e attuali, seguiamo il percorso della poeta. Porta verso… la fonte della vita, ma anche della morte, e ognuna di esse coincide con la fonte della scrittura, della poesia: « quando ci dirigemmo verso la boscaglia / vedemmo in lontananza la ferrovia, / rapida discese verso il mare / l’avvicinamento carico nel vento / lì dove il rosa antico delle rose / e le ginestre trascinate vanno /nel bosco sempre più/siamo sempre più vicini al cielo / la muratura porosa ogni cosa / salda al giallo, strato su strato » (p. 18).

Questa città, Olimpia, è solo il luogo di origine e… fine di tutto e di niente. Ma anche di tutto e di niente. La sua stessa vita, la vita della poeta, il suo corpo, la sua scrittura sono già lì. Ma anche quella dei suoi cari, di coloro che le sono più vicini, che sono scomparsi – e anche degli sconosciuti.

Attraversiamo questa raccolta come un’insolita bolgia – sempre dall’aspetto dantesco, ma dove inferno, purgatorio e paradiso sono uno solo. Le diverse parti del libro, che possono essere lette separatamente, riescono a formare un insieme specifico. La poeta trova i mezzi per portarci nella sua poetica “città”; non restiamo a lungo alle sue porte.

Se l’antichità è convocata, se Hölderlin è presente anche lì, attraverso Iperione, la caduta, è perché la nuova città, simboleggiata da Olimpia, è solo la nuova poesia di Luigia Sorrentino. Il suo libro non è un’allegoria, l’autrice riesce a creare il suo universo poetico molto particolare. Immagini e idee sono strettamente legate: non è una dimostrazione, ma un’installazione, o una costruzione sui generis, man mano che la scrittura procede si crea un mondo. Senza un piano preparatorio, ma la città rimane perfettamente immobile.

Per molti versi, questo libro ci ricorda l’altro libro di Dante, Vita nuova, soprattutto attraverso la rinascita – attraverso i volti, le forme, i capelli, soprattutto – la memoria.

Le poesie sono apparentemente di difficile accesso, non facili da afferrare, ci giriamo intorno, a volte sconcertati. Ma una volta entrati, siamo sedotti: rimaniamo, insieme alla poeta, in uno splendido vagabondare, in una città sconosciuta. Grazie a questa lettura, condividiamo l’esperienza della scrittura poetica stessa, un’esperienza in cui alcuni degli elementi che vi entrano sono già lì, ma ce ne sono altri che dobbiamo andare a cercare noi stessi. C’è un orientamento bidirezionale permanente – ad ogni passo possiamo andare a destra o a sinistra. E prendiamo miracolosamente entrambe le direzioni allo stesso tempo – ed è questo che ci fa andare avanti. Prendere una sola direzione ci porterebbe a un vicolo cieco. Per non parlare dell’esperienza sconcertante che questa poesia offre: quella di includere il corpo della poetessa – mentre scrive, non… comodamente, a casa propria, ma in quest’altro mondo, al tempo stesso pericoloso, suggestivo, e misterioso, evanescente. Stare fuori e dentro, allo stesso tempo, e trovare il proprio equilibrio in questa oscillazione: questo è ciò che ogni scrittore o poeta cerca di fare attraverso i suoi libri.

Ma ciò che colpisce ancora di più è che la sua stessa esperienza, della vita e della scrittura, così come quella del proprio corpo e delle sue relazioni con gli altri (con gli esseri viventi e morti) e con il mondo – non sono solo quelle di un poeta! Se la poesia di Luigia Sorrentino è così forte, così convincente, è perché ognuno di noi, anche senza essere un poeta, potrebbe vivere questa esperienza, questa inquietudine di un altro mondo, e non necessariamente un mondo parallelo al nostro, anzi: un mondo, per quanto insolito, che è strettamente legato a ciascuno dei nostri gesti quotidiani. Realtà e sogno coincidono, ma questo non rende questa poesia surrealista. Se il sogno e la sensazione di sognare dominano, è solo perché la realtà degli stati (amorosa, affettiva, di mancanza…) e quella dell’esistenza concreta si trasformano al punto di avere solo la stessa consistenza: quella della scrittura stessa. Ciò che è scritto è vero. E soprattutto: se non fosse vero, non ci verrebbe detto.

L’intreccio permanente dei due “mondi”, che non è altro che tutta la vita, non cessa di essere velato e mostrato, in successione e molto rapidamente. E questo colpisce molto anche nella poesia di Luigia Sorrentino: attraverso questo gioco di nascondere/velare ciò che è vita, riesce a mettere i due gesti sui platani di un’immensa bilancia invisibile, che sarebbe la scrittura della poesia, e a dar loro lo stesso peso. Bilancia in perfetto equilibrio.

E, con nostro grande stupore e piacere, ci troviamo a casa nostra in questo passaggio in un universo “altro”. Il percorso di Luigia Sorrentino ha scopi precisi e consapevoli: riscoprire i propri cari attraverso la loro evocazione. Ma questo la porta, senza che lei lo sappia, a trovare l’essere che scrive: se stessa, ma che non è un essere… più conosciuto: rimane anche un’apparenza, una chimera, lontana e estranea come le altre – che ci sono o non ci sono più.

Il lontano e il vicino sono poi difficili da distinguere. Ma la poeta ci fa conoscere l’inaspettato.

Questa poesia è molto vicina a ciò che Jacques Sojcher afferma nel suo libro La démarche poétique, il capitolo “Dans la distance, mais si proche…”: […] “il poeta rifiuta di abdicare di fronte all’oblio (e all’oblio stesso dell’oblio), oppone, non una conoscenza, una dottrina, un’ideologia, semplicemente a un impulso, all’eco talvolta trattenuto di un canto precario e sempre minacciato, all’intermezzo di una certezza (che non si può nominare) e di un’incertezza che non è disperazione ma apertura, alleggerimento degli ostacoli, possibilità di presenza. ». Ed è proprio questo impulso, questa apertura, questa presenza evocata dal filosofo che abbiamo sentito pienamente quando abbiamo letto Olympia.

Philippe Jaccottet

Questo libro è anche molto vicino alla scrittura di Philippe Jaccottet, non è affatto come un pastiche, ma nel suo spirito più profondo, o almeno quello di Paysages con figure assenti: “E si finisce per pensare che tutte le cose essenziali possono essere affrontate solo con deviazioni, o obliquamente, quasi in segreto. ».

E non più lontano, da quei versi di Octavio Paz, che potrebbero anche caratterizzare l’impressione, molto forte, nella lettura di Luigia Sorrentino: “Le cose sono e non sono / Tutto viene disfatto in silenzio / Sulla pagina. “(Versant Ouest).

Ma lei ha saputo creare i propri strumenti per dire “l’essenziale”. Continua a leggere

“Olimpia, tragedia del passaggio”

Uno dei pastelli di Giulia Napoleone realizzato per l’edizione francese di OLIMPIA, uscito in Francia con la traduzione di Angèle Paoli (Al Manar, giugno  2019)

Breve commento di Luigia Sorrentino

Ci sono libri che entrano nella tua vita e, per diverse ragioni,  non vogliono più uscirne. Olimpia, (Interlinea, 2013, 2019) è per me uno di quei libri. Fa fatica a sparire dalla mia vita. Le traduzioni in tedesco di “Iperione, la caduta” che qui presento in anteprima assoluta ai miei lettori, sono di Bettina Gabbe. Sono  nate dalla necessità  di mettere in scena “Olimpia, tragedia del passaggio“, drammaturgia di Luigia Sorrentino.

Ringrazio Jacob Blakesley, (lui sa perché) e Alessandro Bellasio.

Iperione, la caduta

nulla può crescere e nulla
può così perdutamente dissolversi
come l’uomo.

(F. Hölderlin, Iperione)

 

LA LETTURA IN TEDESCO DI SEBASTIAN REIN

 

Coro 1

tutto stava su di lei
e lei sosteneva tutto quel peso
e il peso erano i suoi figli
creature che non erano ancora
venute al mondo
lei stava lì sotto e dentro

questa pena l’attraversava ancora
quando venne meno qualcosa

le acque la accolsero

e quando si avvicinò alla costa
della piccola isola ancora tutti
portava nel suo grembo

Hyperion, der Fall

Es kann nichts wachsen
und nichts so tief vergehen,
wie der Mensch.

(F. Hölderlin, Hyperion)

Chor 1

alles lag auf ihr
und sie trug all das Gewicht
und das Gewicht waren ihre Kinder
Kreaturen, die noch nicht
auf die Welt gekommen waren
sie lag da, darunter und darinnen

dies Leid durchfloss sie von Neuem
ils immer etwas schwand

die Wasser umschlossen sie

und beim Nahen der Küste
der kleinen Insel trug sie alle
im Schoß

Coro 2

c’è una notte arcaica in ognuno di noi
c’è una notte dalla quale veniamo
una notte piena di stupore
quella perduta identità dei feriti
si popola di volti,
quell’abbraccio mortale

in un tempo sospeso tra mente e cuore
mai la notte fu così stellata

gettati in mare ingoiarono acqua
e pietre, e strisciarono sulla sabbia
e furono in totale discordia
ebbero passi pesanti
e sparirono, sottoterra

il cenno si dissolve
da sé cade il fragile umano
frutto effimero, del mortale Continua a leggere

Milo De Angelis, “Ce soir tourne la veine”

Questa sera ruota la vena
dell’universo e io esco, come vedi,
dalla mia pietra per parlarti ancora
della vita, di me e di te, della tua vita
che osservo dai grandi notturni e ti scruto e sento
un vuoto mai estinto nella fronte, un vuoto
torrenziale che ti agitava nel rosso dei giochi
e adesso ritorna e ancora ritorna
e arresta la danza delle sillabe
dove accadevi ritmicamente e tu
sei offeso da una voce monocorde e tu
perdi il gomitolo dei giorni e spezzi
la tua sola clessidra e ristagni e vorrei
aiutarti come sempre ma non posso
fare altro che una fuga partigiana da questo cerchio
e guardare il buio che ti oscilla tra le tempie e ti castiga,
figlio mio.

Ce soir tourne la veine
de l’univers et moi je sors, comme tu le vois,
de ma pierre pour te parler encore
de la vie, de moi et de toi, de ta vie
que du fond des grands ciels nocturnes j’observe et je scrute
et je sens dans ton front un vide invincible, un vide
torrentiel qui t’agitait dans la flamme des jeux
et maintenant revient et encore revient
et immobilise la danse des syllabes
qui donnait son rythme à ta présence, et tu
es affligé d’une voix monocorde et tu
perds la pelote des jours et tu casses
ton seul sablier et tu stagnes et je voudrais
t’aider comme toujours mais je ne peux
rien choisir d’autre qu’une fuite partisane à partir de ce cercle
et regarder le noir qui oscille entre tes tempes et te punit,
mon fils.

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La ville d’Olympie/La città d’Olimpia

Luigia Sorrentino / Credits photo Fabrizio Fantoni

ANTICIPAZIONE EDITORIALE

A giugno 2019 sarà pubblicato in Francia dalla casa editrice Al Manar di Alain GoriusOLYMPIA di Luigia Sorrentino, Prefazione Milo De Angelis, Postfazione Mario Benedetti, con disegni di Giulia Napoleone. Traduzione in francese di Angèle Paoli.

Proponiamo qui sotto la lettura ad alta voce di Luigia Sorrentino della sezione
IL GIARDINO tratta da Olimpia (Interlinea, prima edizione 2013, ristampa 2019), con la composizione musicale Spiegel im Spiegel, di Arvo Pärt, i testi in lingua francese con testo italiano a fronte e uno stralcio della postfazione di Mario Benedetti.

LUIGIA SORRENTINO LEGGE IL GIARDINO


POSTFACE
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Alle vittime di Genova, “lei era rimasta lì”

lei era rimasta lì
tenue la luce diradava
con enormi occhi l’ultima
volta lui la guardava
abbandonava
e si sentiva abbandonato

nel fondo stabile degli sguardi
solo il nero degli inverni
quella bellezza che si posa
dall’iride cadeva
rinnovandosi in lei
allontanandosi da lei

(Da: Olimpia, di Luigia Sorrentino, Interlinea, 2013)

 

elle était restée là
ténue la lumière irradiait
de ses yeux grand ouverts la dernière
fois lui la regardait
abandonnait
et se sentait abandonné

au fond fixe des regards
cette beauté qui se pose
de l’iris tombait
se renouvelant en elle
s’èloignant d’elle

(Traduzione Angèle Paoli) Continua a leggere