
Mario Ramous
LIMITE
UNA campana è il mio cuore più cupo
d’un disperato suonare a distesa.
Non c’è riposo alla vasta ossessione
dei grilli in questa notte già recisa
dal richiamo dei treni. E il tuo viso
appena sfiorato dal mio amore
ora è già smorto, caduto. Potranno
piangere gli uomini con il lamento
lungo delle strade, potremo piangere
che non ci è dato nulla oltre il nome.
Ricordo solo il tuo seno malato.
A MEMORIA
ERI come il cadere molle dei colli alla pianura,
quando si spande il caldo dell’estate,
il crescere sottile e schivo degli agnelli.
Poi il riposo, lungo e confortato di pianto.
Assopirsi lento dei sensi
e compiacersi del proprio silenzio.
Pure il tuo respiro era solo tristezza
e chiuso dolore:
un esilio vuoto di parole,
un levigato dormire.
In te era il mio gesto
come un’ombra sfiorita di accenti,
se ancora un limite mancava alla persona.
Così si spengono i tuoi occhi alla memoria.
PRESENZA
QUESTO incredibile pianto e il suono
che s’affloscia in sorde cavità
della ragione; il suono come vento
mutevole d’uccelli, di severi
animali inquadrati nelle valli,
immobili negli occhi. O ancora
la presenza ha un senso in questa vita
dirotta dal tempo? E forse io vivo? Continua a leggere




Paolo Lagazzi, riconosciuto dallo stesso Bertolucci (in un’intervista apparsa nella rivista “Gli immediati dintorni”, n.2, 1989) come colui «che forse più di ogni altro mi ha letto in estensione e in profondità», ripercorre negli scritti raccolti nel presente volume alcuni tra i capitoli decisivi della storia del poeta: l’inesausto amore per la pittura; la passione per le opere di Proust e di Eliot; l’affinità elettiva con un originalissimo, fantastico e umano storyteller quale Silvio D’Arzo; il lavoro svolto con leggerezza e lungimiranza nei campi del giornalismo e dell’editoria; il dialogo tra la sua poesia e il cinema del figlio Bernardo.
