Fabio Izzo, “Consigli dalla Punk Caverna”

Fabio Izzo

SINOSSI

Nel Salento, dove la gente preferisce ascoltare le previsioni del tempo piuttosto che il proprio vicino, troviamo il protagonista di questa insolita storia di disamore, cioè Heyjoe, cantante e chitarrista del locale gruppo punk chiamato White Rubbish (Spazzatura bianca), animato da una insana passione per i libri e deluso dal sogno infranto di poter diventare un giorno amministratore di condominio ( in una terra dove i condomini non abbondano di certo.). Il giovane punk si ritrova faccia a faccia con la peggiore delusione amorosa che potesse mai capitargli: cioè quella di essere mollato dalla propria donna andata a cercare fortuna e occasioni migliori nella lontana Milano.

Così tra mille espedienti, come il contrabbando di rari e preziosi numeri dell’Uomo Ragno delle Edizioni Corno, e tanta, tantissima music  Heyjoe e la sua scalcinata punk band (formata assieme gli amici di sempre cioè lo il Spino, Ruscio e Pripri, personaggi che imparerete presto ad amare) si ritrovano, volenti o nolenti, l’occasione per dare una svolta alle proprie vite: peccato che non si tratti del concerto che dei punk duri e puri come loro hanno sempre sognato! Continua a leggere

Anime Baltiche Slave, Mickiewicz e Miłosz

Carnet di viaggio poetico

di Fabio Izzo

L’identità è la concezione che un individuo ha di se stesso nell’individuale e nella società, l’insieme di caratteristiche, secondo la definizione presa in prestito da Wikipedia, che rendono l’individuo unico e inconfondibile. L’identità nazionale è quindi il concetto che una nazione ha di se stessa, ma tutto ciò vale per i poeti? Che identità assume un poeta? Un’identità linguistica, animata da valori patri? Forse sì, forse no, in maniera salomonica, ogni poeta ha la sua individualità espressa per lingua. La lingua quindi, potrebbe essere uno dei principali identificatori identitari. Ma la lingua, la forma di espressione scelta, cambia associazione a pari merito con la storia, come nel caso di Mickiewicz, o Mickiewicius, e Czesław Miłosz.
Vilnius, definita dal premio Nobel polacco, città senza nome, è un crogiolo di strade calde e piccole, un formicaio che si anima di giorno per dormire di notte, appesantita dalle prime nevi di novembre.
Salite e discese collinari ne delineano il panorama e in vetta si trova quasi sempre una chiesa, di ogni credo. La tolleranza è una delle virtù locali, il baltico si dimostra accogliente e aperto ai viaggiatori.
La città ha cambiato così tanti nomi nel corso della sua storia che finisce con non conservarne nemmeno uno per lungo tempo. La città dalle molte identità, ebrea, polacca, lituana, russa finisce con lo specchiarsi attualmente nell’improbabile monumento a Frank Zappa, che poco o nulla ha a che fare con questa parte di mondo, salvo l’aspetto universale della musica. L’originalità spigolosa di Zappa, musicista esemplare, ben si rispecchia nell’animo lituano. Eppure Vilnius è il centro focale della poesia polacca e non solo di questa.
Anche la letteratura tutta e la storia sono sorelle gemella in questi due paesi.

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Hikmet, il grande poeta mistico

Nazim Ikmet

Nota di Fabio Izzo

Nemo profeta in patrie.
Molto amato in Italia ma decisamente dimenticato nelle sue due patrie… stiamo infatti parlando di uno dei poeti più universali della letteratura mondiale, cioè Hazim Hikmet. Poeta turco con cittadinanza polacca, a suo tempo comunista e con diversi anni di vita trascorsi in prigione, ma quel che a noi più interessa è la sua assoluta fede nell’uomo, mai venuta meno.

Non perdete tempo a cercarlo nei media polacchi, nella sua patria di adozione, vi troverete ben poco o quasi nulla, eppure lì sono nate le sue radici, non solo la cittadinanza. Hikmet paga tuttora la sua fede politica (visione portata fino all’estremo, quasi all’utopia), il suo essere un immigrato delle lettere, un rifugiato del verso. C’era quindi un tempo quando l’Europa accoglieva…. Continua a leggere

Wislawa Szymborska & Herbert Zbigniew

Di Fabio Izzo

Le vetrine delle principali librerie di Varsavia e di Cracovia sono invase da un libro non di poesia ma che possiamo tranquillamente definire“poetico”, stiamo parlando di “Jacyś złośliwi bogowie zakpili z nas okrutnie: Korespondencja 1955-1996”, (traducibile con “Alcuni dei malvagi ci hanno disprezzato crudelmente: Corrispondenza 1955-1996”). Wisława Szymborska e Zbigniew Herbert sono stati due grandi poeti, due grandi amici e forse qualcosa in più, come viene svelato in questo epistolario appena pubblicato in Polonia, ma lo vedremo mai pubblicato in Italia?

Le loro missive sono cordiali e intime, ma non è di un improbabile pettegolezzo che vogliamo parlare oggi. Dalle loro lettere possiamo invece ammirare la padronanza del linguaggio che si sviluppa in domande e risposte concise, piene di umorismo. Questo volume “Jacyś złośliwi bogowie zakpili z nas okrutnie”, come già accennato, contiene le lettere di entrambi, ma non solo. Ci sono anche gli immancabili collage della Szymborska e alcuni interessanti disegni di Zbigniew Herbert. Continua a leggere

La zona poetica di Giovanni Pascoli

di Fabio Izzo

ll poeta che più di tutti interpreta le contraddizioni dello sviluppo del capitalismo è Giovanni Pascoli, il primo letterato italiano a limitare, in maniera implicita, gli argomenti poetici. La sua distinzione vuole che l’anima dell’arte sia universalmente sviluppata e che questo sviluppo sia raggiungibile evitando il contatto diretto con la produzione industriale. D’altro canto i futuristi si dedicano al feticcio macchina e al mondo industriale abbandonando l’uomo e i suoi sentimenti, schierandosi con l’imperialismo e in spregio a qualsiasi dialogo con il passato dichiarano morta l’arte tradizionale. Nato in Romagna lì dove le industrie del Nord cominciano a fare spazio all’agricoltura del centro su dell’epoca, zona in cui le ribellioni contadini si appropriavano dei valori dell’anarchia.
Pascoli vuole restituire all’uomo la carica eroica che è andata perduta dopo il Risorgimento.

Pascoli divulga in campo letterario quello che di solito è discusso nelle riviste politiche dell’epoca, cioè lo sfruttamento del capitale straniero sull’industria italiana L’Italia, nella sua visione, è tutta proletaria e di conseguenza borghesi e operai devono allearsi contro lo sfruttamento europeo, imporsi al rispetto internazionale, migliorare le proprie condizioni. Se tutto ciò è generalmente contestualizzabile nello spirito dell’epoca, soprassedendo sulla propensione colonialista, vediamo che quello che è davvero originale nel poeta è la ricerca di una forma artistica e addirittura estetica in grado di riprodurre queste idee senza il ricorso alla forzatura politica. Pascoli intuisce l’oppressione dell’uomo, limitato dall’avanzante industrializzazione, e il suo temperamento gli impedisce di ignorare la questione. Il suo limite è quello di vedere le classi italiane unite , così la sua sincerità poetica lo porta a evitare la finzione dei grandi temi. Pascoli è diviso tra la sua intuizione dell’uomo che tende a liberarsi e svilupparsi e la convinzione che la società industriale sia l’ostacolo più grande.

Pascoli scioglie i suoi dilemmi isolando dal complesso della realtà gli elementi che a suo parere rendano immune l’essere umano dai mali del capitalismo. Inizia così una ricerca dedicata a una realtà dove gli uomini abbiano comune possibilità d’esprimersi. Eguaglianza e pieno sviluppo industriale coincidono, secondo il poeta infatti un nucleo sentimentale uguale è in tutti noi, basta saperlo ritrovare, acquistando coscienze e mettendoci in comunicazione alla pari con gli altri superando quindi le vessazioni imposte dal capitalismo. Se si accatta globalmente la società capitalista si perde il dono della poesia. Questa area sentimentale è una zona poetica che definisce l’uomo sviluppato. Stiamo ovviamente parlando del “fanciullino” che esiste e resiste negli individui, nelle società ingiuste dove l’uomo è oppresso , aliena e limitato, non ascoltato.

L’obiettivo del Pascoli non è sociale, ma estetico, l’arte serve a svegliare il fanciullino, non esiste arte che non implichi la necessità individuale di esprimersi al di là delle limitazioni imposte dalla società borghese capitalista. L’artista moderno è obbligato a scegliere i propri temi in seguito a una serie di rinunce, i grandi temi sociali lasciano posto all’intimismo. Continua a leggere