Fernanda Pivano e Edgar Lee Masters

Fernanda Pivano

Fernanda Pivano, nome tutelare della Beat Generation in Italia, cominciò la sua attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese, nel 1943, con la traduzione dell’Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters. Un libro considerato scandaloso per quei tempi, che divenne, con la pubblicazione, un grande successo editoriale.

Il racconto di Fernanda Pivano a Luigia Sorrentino

“Cesare Pavese [n.d.r. professore di comparatistica della Pivano], un giorno mi lasciò in portineria alcuni libri: A Farewell to Arms di Hemingway, A Storyteller’s Story di Sherwood Anderson, The Leaves of Grass di Walth Whitman e, coperta da una carta da imballo arancione, di Edgar Lee Masters l’antologia di Spoon River. Avevo aperto il libro a caso e mi era capitata la poesia con l’epitaffio di Francis Turner. E lo tradussi così.”

Continua a leggere

Dedica, a Mahmud Darwish

Mahmud Darwish e Luigia Sorrentino (Festivaletterature, Mantova, 2005) Photo di Fawzi al-Delmi

 

Come poeta palestinese posso dire di aver fondato
una patria per i palestinesi con le parole
.”

Mahmud Darwish

(Poesia scritta da Luigia Sorrentino il 13 agosto 2008 dopo aver seguito  in televisione i funerali a Ramallah, in Cisgiordania, del poeta palestinese).

 

Le scarpe del poeta
                                    a Mahmud Darwish

 

il cerchio legato alle caviglie batte
alla forma del piede
che imprime da sé
fino all’altro
non ci sono che piedi,
camminamenti
come obbedendo

avvicinandomi
ogni volta mi hanno detto allontànati
non distendere la lingua
sullo steccato

forma ripetuta molte volte sulla muratura

ho sbagliato la pronuncia
le gambe
hanno tenuto
il nome della ferita
palpebre chiuse hanno asciugato
il fiore del mandorlo o più lontano
il movimento, nella corteccia
il feretro,
la bocca piena di terra

(Inedito. 10 agosto 2009)

Luigia Sorrentino

Continua a leggere

La poesia di Chandra Livia Candiani

Chandra Livia Candiani

Tu, prossimo o lontano, proprio tu

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

La poesia di Chandra Livia Candiani  è diretta, rapida, come una freccia. Non indugia nella traiettoria che compie per arrivare al bersaglio. La sua voce irrompe dal silenzio della stanza, una cosa viva, che colpisce con estrema precisione, al centro, penetrando uno spazio interiore e profondo che appartiene a ognuno di noi.  Ascoltando e leggendo le sue poesie si ha la sensazione che a prendere la parola sia una bambina che però ha la sapienza di una vecchia. Una bambina che ha la consapevolezza che qualcuno le ha fatto del male quando le ha rubato l’infanzia.  Eppure Chandra ha nascosto di quella età – forse in fondo a un cassetto, in un baule, in una credenza – lo stupore, la meraviglia, l’urlo della bambina. A volte c’è proprio il grido nei suoi versi, così come altre volte,  c’è una parola sussurrata all’orecchio complice di chi vuole finalmente ascoltare.

 

ESTRATTI

“Nel mondo ci sono i suoni.”
Ah sì?
E qualcosa li accoglie
e li abbandona?
Vie di mare,
perdute e abissali.
L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro.

da: La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore, Einaudi, 2014 Continua a leggere

Il ritorno di “Poesia e destino”

Un libro, POESIA E DESTINO, dopo una lunga assenza, torna nelle librerie italiane con l’assoluta voglia di esserci.

L’autore, Milo De Angelis, ripropone nel 2019 integralmente il volume stampato con Cappelli nel 1982 senza alcun ripensamento. Queste pagine,  spiega Milo De Angelis nella nota introduttiva, “da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro [ …] e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre.

 

POESIA E DESTINO
Nota introduttiva di Milo De Angelis

 

Perché ristampare queste mie vecchie pagine? Perché da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro – intatto, quasi intoccabile dal tempo – e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre. Molti temi di Poesia e destino sono quelli che mi scuotono ancora oggi: la tragedia, l’eroismo, l’adolescenza, il mito, il gesto atletico. Ma il tono è un altro. Il tono è furente, perentorio, imperativo, dà sempre l’impressione di un ultimatum che io pongo a me stesso e a chi mi legge. E’ come se da lì a poco dovesse scaturire una sentenza senza appello, l’ultimo grado di un processo dove si gioca la condanna o la salvezza. E questo tono guerresco circola nel sangue di una sintassi verticale, scoscesa, rapidissima, piena di strappi e impennate, la stessa di Millimetri, per intenderci, che è stato scritto nei medesimi anni. Ora non potrei nemmeno immaginare quella corsa sulle macchine volanti della parola. Me ne sono accorto trascrivendo il libro in un file per necessità editoriali. A volte ero pienamente d’accordo con me stesso, felice di essere rimasto fedele alle grandi passioni giovanili. Ma molto più spesso non capivo, letteralmente, il nesso troppo segreto tra due termini o due affermazioni. Dovevo leggere e rileggere, farmi aiutare dall’insieme della pagina. Continua a leggere

Il primo blog di poesia della Rai

William Kentridge Tevere eterno

William Kentridge, fiume Tevere  Triumphs and Laments, 20 aprile 2016 – credits Ph. Fabrizio Fantoni, ombra supplicante Luigia Sorrentino

 

L’IDENTITA’ DELLA POESIA

DI Luigia Sorrentino

 

La mia esperienza di blogger è cominciata nel settembre 2007. Intendevo creare in rete, sul sito di Rai News 24, un luogo di confine nel quale custodire, difendere e  proteggere, l’identità dei poeti e della poesia.   Volevo, insomma, determinare un luogo ove fosse riconosciuta l’identità dei reietti, sempre respinti e costretti a vagare nella solitudine e nell’isolamento. Desideravo un luogo di sguardi. Volevo depositare il seme di una presenza, mettere radici su quel confine e lasciare la traccia di volti emersi dal magma della parola, in tutta la loro verità.

Il primo blog di poesia sul sito della Rai, è diventato in breve tempo, un luogo di forza sul quale si è fermato lo sguardo di coloro che, come me, volevano stupirsi, meravigliarsi. Finalmente i volti dei poeti emergevano in tutta la loro potenza espressiva, in uno scatto autobiografico e fotografico. Grazie, devo dire, anche, alla collaborazione del fotografo e poeta, Dino Ignani, alcuni di quei volti, sono stati, via via, sempre più riconoscibili. Un grazie enorme anche a Viviana Nicodemo, attrice, regista e  fotografa straordinaria: ci ha donato scatti e intuizioni indimenticabili. Grazie a poeti come Antonella Anedda, Silvia Bre, Franco Buffoni, Nanni Cagnone, Alessandro Ceni, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mariangela Gualtieri, Valerio Magrelli, Umberto Piersanti, Davide Rondoni, Patrizia Valduga, Gian Mario Villalta, per citare solo alcuni dei più importanti poeti italiani contemporanei che ci hanno offerto i loro contributi e talvolta, anche testi inediti e anteprime editoriali. Grazie al loro prezioso contributo il blog si è accresciuto e affermato come luogo privilegiato della grande poesia italiana.

Nel 2007 lavoravo a Rai News 24 e avevo realizzato  per i programmi di approfondimento culturale interviste televisive (oltre che con i poeti italiani già citati) con alcuni dei maggiori poeti  noti a livello internazionale  fra i quali, il poeta siriano Adonis, il grande poeta francese Yves Bonnefoy, l’inglese Tony Harrison, le polacche Julia Hartwig e Ewa Lipska, i Premi Nobel Seamus Heaney, Derek Walcott e Orhan Pamuk, il Premio Pulitzer Mark Strand e il poeta candidato al Nobel, Adam Zagaiewski e molti altri.

ORHAN PAMUK

Nel settembre 2006, quindi un anno prima di iniziare l’esperienza di blogger, avevo avuto l’ occasione di incontrare a Napoli per un’intervista per RaiNews24, lo scrittore turco Orhan Pamuk pochi giorni prima che l’Accademia di Svezia gli conferisse il Premio Nobel per la Letteratura.

Orhan Pamuk, che in Italia aveva pubblicato romanzi come Il mio nome è rosso, Neve e Istanbul, mi aveva profondamente colpito perché al centro della sua opera di scrittore,  aveva messo il tema dell’identità, un argomento poco riflettuto e quasi per niente esplicitato nella letteratura contemporanea in quegli anni. Per me fu illuminante scoprire in quel preciso momento storico, che a porsi domande così importanti sulla propria individualità, su quella della propria nazione in relazione a altre culture e minoranze etniche, non fosse un poeta laureato, ma uno scrittore. La riflessione e l’osservazione dell’opera di uno scrittore nato e vissuto in Turchia che si è battuto per il riconoscimento dei dei diritti umani, dei crimini contro l’umanità, mettendoci “la faccia”, sapendo perfettamente quali erano i rischi che correva, è stata per me una lezione fondamentale. Pamuk mi ha fatto comprendere che anche la poesia e i poeti dovevano andare in quella direzione  rimettendo in discussione il proprio ruolo e la propria posizione nella storia di questi anni.

Fin da adolescente, avendo vissuto a Napoli e nella provincia, ho sempre sentito di avere qualcosa in comune con il popolo turco. Basti pensare che ancora oggi, alcune parole della lingua napoletana sono identiche a quelle turche: ad esempio,  “avash” in napoletano, in turco pronunciato “javash”,  hanno lo stesso significato: “abbassa”, “non correre”, “fermati”. E’ il “tono”, l’autorità con cui la parola viene pronunciata che fa assumere alla stessa parola diversi significati, ma il senso è lo stesso.

Ho ancora negli occhi la prima volta che vidi Istanbul. Il meraviglioso Palazzo Dolmabahçe, il primo palazzo in stile europeo di Istanbul, situato nella parte occidentale della città a ridosso del Bosforo, ex residenza di Ataturk, e poi le stradine di Sultanahmet, l’università,  il venditore di acqua, i minareti, Santa Sophia, la moschea blu, la voce del muezzin, il mercato coperto, l’odore del pesce fritto e servito sulla carta, la confusione a piazza Taksim e l’affabilità delle persone, mi avevano dato la netta sensazione di non essere poi tanto lontana da  Napoli. E tutte le volte che ero tornata lì, nel tempo, e mi ero  fermata di notte sul Bosforo a guardare il paesaggio, nel brulicare delle luci davanti a me, avevo  avvertito sulla mia pelle una certa familiarità con quel luogo. I contrasti, le contraddizioni, i sentimenti di discordia tra fratelli descritti  da Pamuk nel suo romanzo autobiografico Istanbul, li conoscevo; facevano parte anche della mia cultura e erano realtà incandescenti almeno quanto lo erano per Pamuk.

Continua a leggere