Silvano Trevisani, “Le parole finiranno, non l’amore”

Silvano Trevisani

Per Giovanna Sicari

Il profumo delle sere d’estate
inseguiva le tue assenze.
Si sapeva di te qualcosa più
della tua bellezza,
vertigine di sé, i tuoi ritorni
annottavano in nidi di poesia,
nei quali comprendevi che l’amore
è speranza ribelle,
e quel passo leggero
lo potevi ricalcare all’infinito.
Reduci dei tuoi ritorni
arieggiati dal volume dei capelli
inseguendoti nei passi, noi
puerili annidavamo
nelle mani i nostri sogni
un poco balbettanti. Inanimati.
E poi non c’eri, quando
per te divenne la poesia
la strada il tempo la distanza.
E la memoria è la panchina assolata del viale
dove si era giovani una volta sola, e poi
le omissioni diventano dimenticanza.
E i giorni sono un lacero breviario
in cui si scrive da sola
la distratta ricordanza dei passati.

Dopo la notte

L’innesto, complicato, del mattino
ha nelle tue parole
lacunose, intersezioni ritmiche
che, a volte, mi spingono
a ritardare la contezza, il profanarsi
del sogno che avevo trattenuto.
Come mistica rivelazione
mi apparivi
flessuosa ed avvenente come sei, ma assetata
di me, della mia giovane afasia
vertigine di senso e di paura
negazione della morte, ovvero
della vita. E correvi
a piedi nudi, come sorretta
da uno spot di gelati di una volta.
Come è facile avere
vent’anni di più di quello che ti bastava
per vivere la vita come un sogno.

Continua a leggere

Eliot, le parole si muovono soltanto nel tempo

di Bianca Sorrentino

Tempo, eterna ossessione dell’uomo; inafferrabile, rivelatore, impietoso per chi fa i conti con la propria caduca, mortale esistenza. «Tempo» è anche la parola con cui T.S. Eliot sceglie di aprire i suoi Quattro quartetti, dopo aver dimostrato nel suo capolavoro, The Waste Land (1922), quanto la Poesia costituisca un fluire ininterrotto, rispetto al quale le contingenze hanno ben poco potere; con un approccio rivoluzionario, in un momento desolante sia per le vicende di portata epocale sia per alcune circostanze private, l’autore, novello rapsodo, aveva cucito tra loro versi provenienti da culture e secoli lontani, dando vita a un canto nuovo eppure ancestrale, un respiro all’unisono in cui la Filomela di Ovidio avrebbe potuto condividere con l’Ofelia shakespeariana il suo destino di vittima, un prodigio letterario per il quale Tiresia, l’indovino della classicità, avrebbe saputo parlare al Novecento in virtù di quella forza che accomuna il mito alla poesia, la capacità di trascendere i confini spazio-temporali.

Questa universalità, documentata empiricamente ne La terra desolata proprio attraverso l’applicazione del metodo mitico – in base al quale il mŷthos diviene cioè paradigma per il presente –, nei Four Quartets viene indagata attraverso una meditazione altissima e rarefatta. Le passeggiate nella campagna inglese, lontana dalla polvere sotto la quale giace la capitale in guerra, forniscono l’occasione al poeta per riflettere sul senso della memoria, della ciclicità, del concetto di principio che finisce per compenetrarsi con quello di fine. Non è raro che in questo cammino gli elementi del paesaggio siano figura dei moti dell’animo, segnato nel profondo e reso consapevole dallo scorrere del tempo: si tratta di versi frutto di un’età matura, per di più limati nel corso di sette, lunghi anni (1936-1942), durante i quali la strada è riuscita a levigare le asperità di certe visioni. Così, in uno slancio di rinnovata fiducia e riscoperto senso del sacro, gli occhi si posano su un’arcana primavera invernale, un palpito di vita che ancora resiste dentro i ghiacci.

Continua a leggere

Flavio Santi, “Il ragazzo X”

Riletture, Flavio Santi
a cura di Luigia Sorrentino

Se esiste l’MTV generation, molto probabilmente esiste pure la Leopardi generation. Così Flavio Santi avrebbe voluto intitolare il suo poemetto “Il ragazzo X” pubblicato da Atelier Edizioni nel 2004.
In realtà si tratta di un poemetto non concluso, per stessa ammissione dell’autore, che in questi testi bene impersona le incertezze dei giovani d’oggi, destinati a un lungo precariato in ambito lavorativo,  “a cui nessuna partita IVA della finanza e del cuore può porre rimedio”.
Riproporre questo piccolo testo, in continua evoluzione, mi sembra di grande attualità.

Intanto, di Flavio Santi è uscito a giugno del 2012 per l’editore Scheiwiller Mappe del genere umano, un nuovo libro di poesia nato dalla stratificazione di due plaquettes – Viticci (Stamperia dell’Arancio 1998) e Il ragazzo X (Ed. Atelier 2004).

CONTINUA A LEGGERE QUI, SUL BLOG “LE PAROLE E LE COSE”

La playlist di Barack Obama

Esistono omologie tra gusti musicali e proposte politiche? Preleviamo due titoli a caso dalla playlist elettorale composta personalmente – pare – da Barack Obama (la playlist completa la trovate qui). Prima di lamentarvi considerate che quella di Romney è probabilmente peggiore. A meno che non vi piaccia il country (la playlist di Romney la trovate qui).

Continua a leggere alla fonte, su Le parole e le cose. (Pubblicato da Luigi Simonetti).

Carmelo Bene, e il “Manfred” di George Gordon Byron

Immagine anteprima YouTube

«Ci sono più cose in cielo e terra. Orazio,/Di quante non ne immagini la tua filosofia»): sono le parole che Amleto rivolge all’amico fedele allorché si tratta di giurare fedeltà allo spettro. E sono anche i versi che due secoli dopo, Byron pone come epigrafe a Manfred, un’opera composta, a detta dell’autore, in uno stato d’animo «metafisico».